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Lo Juventus Stadium e il protagonismo individuale

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Juventus Stadium, ovvero come si fa a vincere sempre in casa

A cicli ricorrenti si sottolinea l’importanza dello Juventus Stadium. Sottolineando la modernità dell’impianto e l’interesse dell’operazione complessiva che sta popolando di “J” un’intera zona della città, tra Museum, Store, Medical e presto il Village, non si può fare a meno di notare l’incredibile score che la squadra sta avendo davanti al proprio pubblico, con Antonio Conte prima e con Massimiliano Allegri poi. Siamo su livelli d’eccellenza europei, il bilancio è superiore persino a quello dei top club che vanno per la maggiore, eppure si finisce per pensare che tutto questo appartenga alla normalità. Come se vincere 22 gare consecutive – questa è la striscia di successi in atto alla vigilia di Juventus-Pescara – non fosse un evento eccezionale per molti motivi. Perché un incidente di percorso ci può sempre essere, anche nelle stagioni vincenti, anche se questo gruppo ha dimostrato di cercare e talvolta trovare la perfezione assoluta, come avvenne quando i 102 punti furono sostanziati da 19 vittorie su 19 gare casalinghe. E perché, particolare tutt’altro che trascurabile, in una sequenza così lunga di partite c’è molto di più della “prevedibile” superiorità nei confronti delle piccole, visto come in molti casi a pagare dazio a Torino siano state squadre in lotta per lo scudetto con ambizioni più che legittime (si pensi agli ultimi due confronti diretti con il Napoli, 90 minuti vissuti come un braccio di ferro tra pari grado, risolti poi dall’improvviso colpo di un attaccante bianconero).

L’importanza dello Juventus Stadium la si percepisce per intero ripensando agli anni che l’hanno preceduto (peraltro neanche con Capello giocare in casa equivaleva a una legge di supremazia totale, anzi…). Furono proprio certi inciampi casalinghi nel corso del campionato a dare il senso delle difficoltà nel tentativo di rinascere, prima ancora dei risultati finali, a regalare un senso d’insicurezza, di nobiltà perduta (qualcuno pensava irrimediabilmente). Una sensazione che nel problematico avvio dello scorso torneo sembrava riaffiorare, quando tra Udinese, Chievo e Frosinone la Juve aveva racimolato la miseria di soli 2 punti e – quel che è peggio – si notava un coraggio del tutto nuovo da parte delle piccole, che pensavano possibile la grande impresa perché qualcuno prima di loro era riuscito a materializzarla. La straordinarietà della rimonta è stata anche costruita sul ripristino di questa certezza, con la non banale constatazione che averla riconquistata l’ha resa ancora più solida, come se avesse attraversato una febbre di crescita, un test importantissimo per evitare pericolosi rilassamenti.

La prova si ha nel corso di quest’anno. Juve strafavorita, certo. Juve che ha preso alla concorrenza due giocatori fondamentali come Higuain e Pjanic, sicuro. Ma non sbagliare neanche un colpo in casa, persino nelle giornate non necessariamente travolgenti, significa evidentemente qualcosa. E forse, tra le cose non ancora dette e celebrate a sufficienza, c’è la simbiosi che si va a creare tra il teatro e l’attore protagonista. Il trascinatore, che accende lo Stadium e trae dalla spinta del pubblico ulteriore spinta per emergere compiutamente. La successione degli eventi torinesi, volendo, si può raccontare anche così.
Nelle prime due partite, l’aspettativa su Higuain era palpabile, una scossa nell’aria. E la riposta del Pipita fu tale da far scrivere anche la battuta che forse 90 milioni erano persino un prezzo scontato. Con la Fiorentina il suo ingresso in campo, con il gol che ha regalato 3 punti, ha fornito subito la prova di quale contributo realizzativo potesse fornire l’argentino.

Cosa poi ancor più valorizzata nel primo quarto d’ora con il Sassuolo: due reti da bomber di primissimo livello e un assist di Dybala non riuscito fino in fondo che avrebbe potuto determinare una tripletta tra le più rapide della storia (alla Lewandowski, per intenderci, che è andato anche oltre…). Altri leader di giornata sono usciti fuori nei successivi appuntamenti. Lemina con il Cagliari, a coronare un inizio di stagione che spesso lo ha portato a ricevere applausi a scena aperta. Dybala con l’Udinese, in gol prima su punizione e poi su rigore, un campione che sono convinto vincerebbe un ipotetico sondaggio su quale giocatore meriti il prezzo del biglietto, troppa è la sua produzione di calcio originale e coinvolgente per incontrare rivali (almeno, io voterei così, non essendoci più Pogba a garantire un ballottaggio). Cuadrado con la Sampdoria, due assist gol, con accelerazioni esaltanti e – ancor più – un coinvolgimento nel gioco sempre maggiore, che lo sta rendendo un indispensabile nella Juventus 2016-17. Infine, il Bonucci di Juventus-Napoli, molto più in partita dell’Higuain risolutore, a confermare nei 90 minuti quella leadership che esprime al momento del riscaldamento, quando il rito lo vuole precedere tutti i suoi compagni nell’ingresso in campo.

Non è banale constatare una distribuzione del protagonismo individuale in tutti i reparti. E’ anche così che una squadra accresce la propria autostima, dove il più possibile dei componenti ha modo di emergere di volta in volta.