Napoli, vantaggio e non del pressing alto. L'apnea del sarrismo senza Messi - Calcio News 24
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Napoli, vantaggio e non del pressing alto. L’apnea del sarrismo senza Messi

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Il Napoli di Sarri vince ancora: pratica Sassuolo archiviata e testa della classifica prontamente riconquistata. L’analisi

La Serie A dice ancora Napoli: la vittoria meritevolmente ottenuta dalla Juventus sul campo del Milan nell’anticipo pomeridiano dell’undicesimo turno di campionato aveva messo pressione sugli uomini di Sarri, costretti all’immediata reazione ma con la testa inevitabilmente rivolta (anche) all’impegno europeo con il Manchester City di Guardiola. L’insidia Sassuolo dunque – bestia nera del Napoli di Sarri – era tangibile: i partenopei hanno archiviato la pratica nel contesto di una situazione psicologica con cui dovranno imparare a convivere, con le pressioni che spettano alla capolista della classifica e contemporaneamente ad un club impegnato sul fronte internazionale. L’analisi però è meno liscia rispetto al risultato, chiaro e forte: intendiamoci, il Napoli ha vinto con enorme merito, ma…

Il Napoli di Sarri, il pressing alto ed asfissiante: vantaggi e…

Elemento che ha sostanziato il guardiolismo così come il sarrismo è l’ambiziosa impostazione del pressing: alto, asfissiante, attuato nella metà campo avversaria, finalizzato a recuperare il pallone non appena perso. Operato dunque su centrocampisti e difensori avversari, che si ritrovano per lunghi tratti di gara a giocare in apnea: una sensazione di costante pericolo in cui diventa facile sbagliare, proprio perché pressato sia sotto il profilo fisico che (soprattutto) psicologico. Per poter praticare un calcio del genere ovviamente si necessita di interpreti disposti ad attuarlo: attori brevilinei che fanno della corsa e della resistenza un valore aggiunto. E che, una volta recuperato il pallone, possano gestirlo con tempi e qualità in modo da trattenerlo. I dati medi sul possesso palla del Napoli in tal senso non mentono. Il vantaggio legato a tale impostazione dunque è proprio questo: favorire il possesso palla. Tenere il pallone, ossia non farlo gestire agli altri. Secondo la massima comune: più ce lo hai tu e meno rischi. Al pressing alto nel caso del Napoli è ovviamente associata la gestione qualitativa del pallone: Sarri ha costruito una squadra in cui tutti e undici i calciatori in campo sappiano dare del tu alla sfera. Per intenderci, quelli che nelle altre realtà sono i portatori di acqua, nel Napoli diventano i vari Allan, Koulibaly, Hysaj. Componenti che – soprattutto dopo gli anni di lavoro con il tecnico partenopeo – oramai non abbassano il livello della gestione palla non appena chiamati in causa.

Svantaggi

La scelta è ambiziosa, lo abbiamo detto. Ambiziosa nel senso che qualcosa tocca pagare in termini di concessione agli avversari, rispetto ad esempio all’impostazione della rivale Juventus, che spesso e volentieri se ne resta sulle sue, tiene compatte le linee ed una volta in vantaggio rischia davvero poco o nulla. Anche il Napoli compatta le linee del suo 4-3-3 ma lo fa proiettato in avanti: ragion per cui, nella dimensione spazio-tempo di una squadra impostata alla Sarri, non appena un meccanismo salta e ci si ritrova contro una squadra – seppur di media dimensione – abile a gestire rapidamente una ripartenza, ci si imbatte nelle proverbiali praterie. Come accaduto ieri contro il Sassuolo: il livello del pressing non può essere impeccabile quando la stanchezza che scaturisce dagli impegni ravvicinati si lascia avvertire, la conseguenza è quella di concedere corsie ai Politano e Ragusa (mancava Berardi) di turno. Ricapitolando: 1) pressing alto 2) immediato recupero palla 3) gestione qualitativa del palleggio. Copione standard. Quando si complica: 1) pressing alto 2) salta un meccanismo 3) innesco della ripartenza avversaria 4) praterie a disposizione. Il campo aperto è oramai diventato una prerogativa del dinamico ed atletico calcio inglese: l’accortezza (mentalità ed attitudine difensive?) tattica del calcio italiano espone decisamente meno le partite a tale fattispecie. Se però hai scelto di difendere con la linea dei quattro difendenti nei pressi del centrocampo e contestualmente salta un meccanismo di pressing e ci si ritrova contro un avversario capace ad orchestrare una ripartenza, lo stesso si ritrova automaticamente a disposizione una prateria di erba da aggredire.

Napoli, Sarrismo senza Messi

Elemento di approfondimento molto interessante è andare a ripescare le dichiarazioni che hanno segnato l’evoluzione della carriera di Pep Guardiola. Nella sua linea logica ed incredibilmente coerente non si perde mai di vista il rapporto del suo genere di calcio con il fenomeno Messi: il vate spagnolo non ha mai nascosto di avere nella Pulce argentina la più desiderata delle exit strategy. Tradotto: quando e se qualcosa non funziona, abbiamo il miglior calciatore del mondo. E ne liberiamo l’inventiva, l’esagerato talento individuale, l’innata capacità di determinare. Libero, libero di uscire dal copione, di trovarsi la mattonella fuori schema, quella da cui decidere le sorti di una partita. Intendiamoci: nessuna de-responsabilizzazione collettiva, quel tipo di calcio funziona in un certo modo e Messi ne è tassello integrante. L’exit strategy può diventare: Messi solista. Del resto un modello calcistico che tarpi le ali dei suoi calciatori più talentuosi non avrebbe senso di esistere. Riscontro emerso con ancor più forza quando Pep Guardiola si è poi ritrovato ad allenare squadre diverse dal Barcellona e giocarci contro. Indimenticabile il suo testuale in presentazione della sfida di Champions League poi persa dal suo Bayern Monaco contro il Barcellona: puoi inventarti quello che vuoi, raggiungere il miglior livello calcistico possibile, ma se Messi decide di vincere una partita la vince. Non a caso andò così. Il concetto è super realistico (la carriera di Messi parla da sé) ed ovviamente estremizzato: il miglior calciatore del mondo non può decidere tutte le partite, soltanto una squadra ha in organico il miglior calciatore del mondo. I due corollari. Interessante legare il Napoli a quest’ultimo concetto: Messi non è un calciatore partenopeo e l’exit strategy di cui discutevamo è giocoforza più debole, eppure l’unica realtà oggi accostata da ogni prima pagina internazionale sportiva a quel Barcellona è il Napoli di Sarri. Giusto per comprendere il livello raggiunto. Il confine poi tra diventare una realtà vincente o la più bella perdente di sempre, insomma tra il Barcellona di Guardiola e l’Olanda di Crujiff, è talmente labile da meritare altra sede di discussione.

https://www.youtube.com/watch?v=jojaNChJHzA