Inter News
Guarin rivelazione shock: «Ho toccato l’inferno, poi è iniziata la mia partita più importante. Ho pensato al suicidio. Alcuni ex Inter hanno provato ad aiutarmi, ma…»
Guarin rivelazione shock: le parole dell’ex centrocampista dell’Inter in un’intervista personale e toccante al Corriere della Sera
In una lunga e toccante intervista rilasciata al Corriere della Sera, Fredy Guarín, ex centrocampista dell’Inter, ha deciso di raccontare senza filtri la parte più dolorosa della sua vita.
Un racconto umano, profondo, che va oltre il calcio e che mette al centro la fragilità, il senso di smarrimento e la forza necessaria per chiedere aiuto. Guarín ha spiegato come il suo malessere sia esploso negli ultimi mesi in nerazzurro, fino a trasformarsi in una battaglia quotidiana contro se stesso.
LA DISCESA NELL’INFERNO – «Ho bussato alle porte dell’inferno. Ho dovuto toccarle per rinascere. Dico sempre che strade come quella dell’alcolismo hanno quattro destinazioni: l’abbandono, l’ospedale, il carcere, la morte. Il mio malessere è iniziato durante i miei ultimi mesi all’Inter. Ho iniziato a bere. Ma l’alcol non era il vero problema».
IL DOLORE FAMILIARE – «Stavo male per la mia situazione familiare. Mi stavo separando dalla mia ex moglie, vivevo in un’altra casa ed ero lontano dai miei bambini. Non lo accettavo. L’alcol era un tentativo di rispondere al mio malessere, un rifugio dove nascondermi».
L’AIUTO DALL’INTER – «Gli altri sì, io no. Zanetti, Stankovic, Mancini, Icardi, Cordoba e altre persone dell’Inter cercavano di aiutarmi, ma il mio problema ormai era già troppo grande, difficile da controllare. Per questo motivo ho dovuto lasciare l’Italia».
IL PUNTO PIÙ BASSO E LA RINASCITA – «Ho pensato di suicidarmi. E tre volte ho provato a togliermi la vita. Dio mi ha salvato. Ho telefonato alla mia psicologa e al mio agente per chiedere aiuto. Mi hanno portato in una fondazione. Lì è iniziata la mia partita più importante. Ho fatto tutto quello che mi hanno chiesto. Ho smesso di bere. Per due mesi mi sono svegliato alle sei di mattina e per tutto il giorno seguivo sessioni di allenamenti o facevo incontri con psicologi e psichiatri. Poi mi è stato fatto un programma riabilitativo. Non ho più smesso di seguirlo. Mi ha salvato».