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Mantovani tra Torino, identità e vivai: «Oggi manca l’attaccamento alla maglia e non c’è più quella voglia di crescere i ragazzi e farli esordire»
Mantovani tra Torino, identità e vivai: le parole dell’ex calciatore granata protagonista della promozione del 2005 a Tuttosport
Protagonista di quel Torino giovane e arrembante che nel 2005 riconquistò la Serie A prima del fallimento societario, Andrea Mantovani si è raccontato a Tuttosport. L’ex difensore, oggi attento osservatore del calcio giovanile, ha recentemente pubblicato il libro Diventa un campione. Guida per giovani calciatori e le loro famiglie, nato dall’esperienza diretta sui campi di periferia e da una riflessione profonda sul calcio di ieri e di oggi.
L’IDEA DEL LIBRO – «Anche mio figlio gioca a calcio, lo seguo da quando è piccolino e vedendo ripetutamente nei campi di periferia certi atteggiamenti dei genitori o dei ragazzini è nata in me l’esigenza di scrivere un libro che possa essere un aiuto per i ragazzi e anche per le famiglie. Serve incanalare l’energia nel modo giusto, perché si vedono davvero tanti episodi negativi».
DIFFERENZE TRA IERI E OGGI – «I ragazzini crescono bombardati dai social. Io punto soprattutto sull’educazione e sulla creazione di un ambiente salutare: magari non tutti arriveranno nel calcio che conta, ma se cresci con certi fondamentali diventi una persona capace di stare nel mondo, quindi un campione nella vita».
LA CRISI DEI VIVAI – «Io, Sorrentino, Comotto, Mezzano, Balzaretti, Quagliarella, Pinga. Oggi non c’è più quella voglia di crescere i ragazzi e farli esordire. Buongiorno è uno dei pochi, forse uno degli ultimi. Il calcio è sempre più globale e così si perde l’ossatura di italiani che arrivano dal vivaio».
IL VALORE DELL’IDENTITÀ – «C’era un attaccamento particolare, si giocava per la maglia. Oggi questo manca completamente. Si possono anche ottenere risultati, ma non esistono più le bandiere e un’ossatura che dia identità alla squadra».
IL TRAUMA DEL 2005 – «Abitavo a cinque minuti dallo Stadio delle Alpi, andavo con mio nonno a vedere tutte le partite. Vincere i playoff col Perugia davanti a 70 mila persone fu incredibile. Poco dopo ci siamo ritrovati in quella situazione: credo di aver vissuto la più grande depressione sportiva della mia vita».
DESTINO E RIMPIANTI – «Preferisco dire che è stato il destino a indirizzarmi. A Verona ho conosciuto la donna che è diventata mia moglie. La ferita però è stata enorme: sognavo di diventare il capitano del Torino del futuro».
LA GARANZIA PETRACHI – «Petrachi conosce l’ambiente e può dare quella concretezza che serve: credo sia una garanzia per il Torino».
LA SPINTA DELLE VITTORIE – «Sei punti possono dare una spinta importante. Baroni è il condottiero giusto, c’è un girone di ritorno da scrivere e si può risalire, diventando quella squadra fastidiosa che il Torino deve essere. Davanti il reparto è di assoluto livello per una Serie A di medio-alta fascia».
LE AMNESIE DIFENSIVE – «È un problema di mentalità e di forza mentale: semplicemente non ci si deve arrendere alla prima difficoltà».