2012
Roma, ritorno al futuro (?)
“Il vostro futuro non è ancora stato scritto, quello di nessuno. Il vostro futuro è come ve lo creerete. Perciò createvelo buono” (Emmet Brown, ‘Ritorno al futuro – Parte III’)
L’America, si sa, ci ha regalato tante tendenze: dai pantaloni a vita bassa che quando cammini ti si vede l’elastico delle mutande comprate dai cinesi a 99 centesimi al paio, passando per gli hamburger infarciti di roba che una passeggiata a Chernobyl forse è più salutare, per finire con la musica del momento, quella che pompi nelle casse per farti figo con la Fiat Duna del babbo il sabato sera con gli amici: ‘acchiappanza’ 100%.
Su una cosa però, come diceva il buon Fabio Caressa prima di un Italia – USA ai tempi in cui la sua unione di fatto con Bergomi non aveva ancora assunto contorni simili a quelli di una serata di Malgioglio al ‘Muccassassina’, non si può obiettare: questi americani di calcio non ci capiscono una mazza.
Per questo, quando un americano ha comprato la Roma, io ho storto il naso. Un po’ anche perchè tale DiBenedetto mi dava l’aria di uno che non c’aveva manco una lira, ma soprattutto perchè, ecco lo ammetto, ho un pregiudizio verso due categorie di persone: gli egiziani che fanno il kebab con la mozzarella e lo chiamano ‘pizza’ e gli americani che fanno calcio con i dollari e lo chiamano ‘football’.
Un anno dopo, la Roma, passando per l’addio di un allenatore e la compra-vendita di non so quanti giocatori, non è ancora riuscita ad imporsi all’attenzione del grande pubblico per una motivazione che non sia il nuovo taglio di capelli di Lamela (qualcuno dovrebbe dire a questo ragazzo che somigliare a Cristiano Ronaldo non ne fa l’erede, anche se Ronaldo potrebbe avere figli un po’ in tutto il mondo pensandoci bene), l’ennesimo spot in tv di Totti (se passa a rivendere anche materassi e poltrone massaggianti, Mastrota ha concluso il suo business) ed un’altra polemica di Zeman (ma su questo ho già scritto un editoriale, chi vuole se lo vada a rileggere, perché per ogni editoriale non letto, c’è un editore in qualche parte del mondo che muore). Troppo poco insomma per una piazza come quella giallorossa.
Il più grosso problema della Roma, secondo la mia inutile (ma proprio per questo fastidiosissima) opinione è che, come quelli di ‘Ritorno al Futuro’, anche i proprietari americani giallorossi hanno fatto male i calcoli e sono andati così avanti nel tempo che si sono ritrovati indietro, inghiottiti da un abisso spazio-temporale in cui il nuovo d. g. è il vecchio d. s., l’allenatore è lo stesso di 15 anni fa (per altro sempre uguale, come nemmeno per una plastica facciale) e le idee di gioco sono talmente all’avanguardia che, a confronto, anche il walkman in cui mettevo le musicassette con le sigle dei Puffi di Cristina D’Avena ad otto anni sono oggetti di estrema tecnologia.
Quindi, cosa fare? Tornare un po’ indietro nel tempo con una Delorean guidata da Perrotta e Taddei, bloccare l’aereo di Dibenedetto (che viaggiava in seconda classe, come gli studenti di ritorno dall’Erasmus che si imboscano l’erba nello zaino), fare un paio di telefonate allo sceicco del PSG e convincerlo, tramite l’utilizzo di svariate minacce (del tipo: “Non rivedrai mai più i tuoi cammelli”), a farsi un giro a Roma. O, in alternativa, piano un po’ più complesso, me ne rendo conto, provare a fare qualcosa di nuovo, di diverso, di giovane, di… moderno.
D’altronde, il futuro di nessuno è ancora scritto (nemmeno quello della Roma). Perciò se proprio c’è da crearselo, che sia creato ‘buono’, per la miseria!