Coni, Petrucci: "Presto riforma della giustizia" - Calcio News 24
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2012

Coni, Petrucci: “Presto riforma della giustizia”

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CALCIOSCOMMESSE CONI PETRUCCI – La riforma della giustizia sportiva è uno dei temi più caldi del calcio italiano. La redazione di Tuttosport lo ha affrontato con Gianni Petrucci, presidente del Coni, che in quanto tale è l’unica persona dalla quale la riforma può prendere il via.

Buongiorno presidente Petrucci, quando e perché si è reso conto che la riforma della giustizia sportiva è diventata un un punto necessario dell’agenda del Coni?
«Prima che iniziasse la cosiddetta Scommessopoli stavo parlando con Abete proprio di questo tema. E convenivamo sul fatto che i vecchi regolamenti andavano riattualizzati. E noi, come Coni, avevamo iniziato un percorso con la Figc, in quanto Federazione più popolare e di maggiore evidenza pubblica: la prima sterzata, per esempio, aveva portato ad accorciare i ricorsi. Poi lo scoppio dello scandalo da una parte ha fermato la riforma perché non la si può fare durante processi di questa portata, ma dall’altra ha ulteriormente evidenziato la necessità di ripensare alcuni aspetti della giustizia sportiva».

A questo punto quali possono essere i tempi?
«E’ ovvio che si deve fare a bocce ferme o, per lo meno, non così in movimento, perché ferme non lo saranno mai. Penso che quando si saranno esauriti i processi di quest’ultimo scandalo si possa mettere il punto di partenza. Saranno comunque il Coni del futuro e la Figc a stabilire meglio i tempi».

Sulla necessità di una riforma sembra esserci accordo unanime. Ma per lei quanto deve essere profonda?
«Su questo tema ho molto apprezzato l’intervista al vostro giornale del professor Manzella, che oltre a essere un luminare nel campo del diritto è anche un grande esperto di calcio. Quindi, dico che bisogna andare con i piedi di piombo. Dei cambiamenti sono necessari, ma serve una valutazione attenta. Noi che siamo politici dobbiamo dettare le linee e le idee che i tecnici devono poi tramutare in leggi, tenendo conto di aspetti che, magari, a noi sfuggono».

Ha la sensazione che da parte degli appassionati di calcio, ci sia una certa perplessità, se non proprio una netta sfiducia nei confronti della giustizia sportiva, a volte poco comprensibile nei suoi meccanismi e soprattutto nelle sue decisioni?
«Credo che sia fisiologico. Sono stato tanti anni nel calcio e nel basket e ogni processo ha sempre suscitato discussioni come, per altro, accade pure in ambito penale. Io credo che la necessità della giustizia sportiva di essere celere lasci inevitabilmente qualche punto interrogativo in più, daltra parte non si può pensare di allungare troppo i tempi. Se penso che il processo penale di Calciopoli non ha ancora avuto l’appello dopo così tanti anni… Qualche scontento ci sarà sempre, ma non è detto che il giudizio di chi osserva sia più giusto di chi è stato chiamato a giudicare».

Una volta i tifosi parlavano di tattica e tecnica, oggi i famosi 60 milioni di ct si sono trasformati in 60 milioni di pm o avvocati…
«Questo per la quantità di scandali, e non solo quelli di casa nostra, che sono emersi negli ultimi tempi e l’enorme popolarità del fenomeno calcistico. Pensate che qualche giorno fa parlavo con David Stern, lo storico commissioner della Nba, e lui mi diceva che la forza che ha il calcio nel mondo non ce l’ha nessuno».

Il difetto principale da correggere, secondo molti addetti ai lavori, è la mancanza di garantismo, sovrastato dalla presunzione di colpevolezza che pervade i processi sportivi. E un punto sul quale si può ragionare in sede di riforma?
«Se ne può parlare, ma vorrei citare ancora l’intervista di Manzella che mi sembra una buona base sulla quale impostare la filosofia della riforma. Le sue idee sono quelle di un esperto di diritto che ha avuto ruoli operativi nel calcio e io dubito sempre di quelli che sanno tutto , ma non hanno mai avuto responsabilità dirette. E credo che Manzella sia stato chiaro sul concetto di specificità dello sport e dell’autonomia della sua giustizia che deve per forza ricalcare in tutto e per tutto quella penale. Detto ciò, maggiori garanzie per l’imputato possono essere un elemento di discussione».

Crede che i molti e celebri avvocati penalisti entrati nel mondo della giustizia sportiva possano non interpretare correttamente la peculiarità del mondo dello sport?
«Non saprei, però sono convinto che personaggi come il professor Coppi o l’avvocato Bongiorno possano essere solo un arricchimento per il nostro mondo. Quando ero segretario della Figc dal 1985 al 1991 non c’erano esperti di diritto sportivo come oggi e raramente i grandi penalisti si occupavano di sport. Ora abbiamo esperti di diritto sportivo, di cui esistono anche corsi universitari, e il contributo dei legali di fama è a mio parere sempre prezioso. Pensate che già Coppi, molti anni fa, mi disse che secondo lui bisogna rimettere mano alle regole della giustizia sportiva, era avanti…».

A proposito di avvocati: protestano perché vedono leso il diritto alla difesa. E chiedono tempi tecnici più lunghi e più spazio nel contradditorio, con la possibilità – per esempio – di controinterrogare gli eventuali pentiti. Hanno ragione?

«Gli avvocati che dicono questo sono in genere quelli che perdono, quelli che vincono non parlano quasi mai».

Il diritto alla difesa è però un tema caldo sul fronte della riforma.
«Sono sicuro che non verrà trascurato».

Mario Stagliano, prima nella Procura Federale ora avvocato, ha proposto di abolire un grado di giudizio per evitare la frettolosità che contraddistingue l’iter processuale. «Meglio due gradi fatti bene che tre fatti male» è la sua idea. Cosa ne pensa?
«Posso dare una risposta, ma non da dirigente: è una possibilità, ma non conosco i gangli e i meccanismi così a fondo da poter dare un giudizio tecnico. Certo, con un grado in meno si rischia di togliere delle possibilità a chi si difende».

Si è a lungo parlato, in questi ultimi mesi, del principio per cui su deve condannare «ogni oltre ragionevole dubbio». Eppure di dubbi ne sono rimasti parecchi, almeno a livello giornalistico e di opinione pubblica. E’ un problema solo dei media o anche della giustizia sportiva?
«Quando i giornali parlano così tanto e in modo così convinto di certi argomenti sono dell’idea che probabilmente non inventino nulla, al massimo possono in certi casi esagerare. E se i media ritengono necessaria una riforma della giustizia sportiva, qualche revisione ci deve essere».

Questa volta citiamo noi Manzella. Sulla selezione dei giudici ha detto: non devono essere tutti selezionati dalle Federazioni per garantire la terzietà e devono essere veri esperti dello sport sul quale vanno a giudicare. Cosa ne pensa?
«Né io né Abete siamo gelosi di questo potere, che è oltretutto fonte di problemi, quindi piena apertura. Tengo comunque a sottolineare che quando, per esempio, si parla di Tnas io non conosco la maggior parte dei suoi componenti, che sono selezionati attraverso una sorta di concorso sulla base dei loro curricula. Sono perfettamente d’accordo, inoltre, con il concetto di competenza sportiva di chi è chiamato a giudicare nello sport. Non basta conoscere il codice, bisogna conoscere anche lo sport o il calcio, se l’ambito è quello calcistico. Un grande arbitro non conosce solo il regolamento, ma anche la tattica e le caratteristiche dei giocatori e così deve essere un giudice. Chi fa parte della giustizia deve conoscere lo sport, anche per interpretare in modo corretto la legge comprendendo a fondo l’intenzione del legislatore».

Quanto la popolarità di un personaggio e il conseguente affetto dei tifosi nei suoi confronti può inficiare o complicare un’inchiesta e l’eventuale processo?
«Quanto non lo so, dico che non dovrebbe essere così».

Le società battono sul tema della responsabilità oggettiva, che vorrebbero vedere molto ridimensionata.
«E’ un caposaldo, quindi deve rimanere, ma deve essere rivisto anche alla luce certi nuovi reati non prima prevedibili. E’ ovvio, per esempio, che bisogna distinguere fra chi trucca una partita per suo vantaggio personale o chi lo fa in modo che ne tragga beneficio la società».

Il calcio italiano riuscirà a smaltire i veleni che stanno scorrendo da un po’?
«Ma sì! Si smaltiranno, come accadde in passato. Oggi parliamo ancora dei centimetri di Turone, ma sono una leggenda che fa sorridere. Me lo tengo ben stretto il nostro calcio, io che giro il mondo e vedo tutto lo sport. Non c’è nessuno che non abbia un problema o uno scandalo. Le isole felici non esistono. L’Inghilterra tanto decantata ha dei debiti enormi, la nazionale spagnola finisce per non vendere i diritti tv di una sua partita ufficiale».

Non crede che certe evidenti incongruenze legate a Calciopoli siano all’origine del clima nei confronti della giustizia sportiva?
«La chiarezza totale in processi complessi come quelli è un’utopia. E ci sarà sempre qualcuno scontento. Chi, infatti, può ammettere di aver sbagliato? Tutti cercano di tirare acqua al proprio mulino. E’ una questione di immagine, come certi discorsi: senti parlare di problema degli stadi, ma chi fa qualcosa? Certo, si aspetta la politica, ma chi l’ha voluto fare, lo stadio, l’ha fatto: la Juventus. Se tutti i progetti che sono stati presentati fossero diventati operativi oggi avremmo più stadi che chiese. Meno male che la Lega sta ricominciando a lavorare di buzzo buono grazie a tanti giovani dirigenti tra cui Agnelli».

A proposito di Agnelli, lui il tema della giustizia sportiva l’ha messo pure nella relazione di bilancio 2011.
«Me l’aveva detto e ne avevamo parlato insieme. E’ un presidente che ama la propria squadra e la segue con attenzione, ma ha grande sensibilità politica per il movimento
in cui si muove».

Può essere, lui come altri presidenti, un interlocutore per la riforma?
«Abete è un presidente aperto. Anzi a volte gli viene rimproverato di esserlo troppo. E’ disponibile ad ascoltare qualsiasi interlocutore per migliorare il calcio italiano. E’ un momento di crisi per tutti, ma io per esperienza so che dai momenti di crisi escono le idee migliori e si rinasce più forti. Vedo segnali interessanti: presidenti che fanno meno follie sul mercato, per esempio. E non perché manchino loro i soldi, ma perché li investono in modo più intelligente, meno esterofilia, più giovani nelle squadre..».

A proposito di riforme, il nostro giornale ne ha proposta una per il campionato: niente soste per la nazionale, ma un blocco estivo di due mesi a maggio e giugno.
«E’ un’idea, ma bisognerebbe mettere d’accordo almeno tutta l’Europa, un po’ complicato. Ma sulle pause della nazionale vorrei dire una cosa ai presidenti che si lamentano per i viaggi dei sudamericani. Mi tornano stanchi, dicono. E io penso: Ma perché li hai presi allora? Lo sapevano che quelli forti di solito vanno in nazionale, no?».