Trapattoni: «La mano di Henry fu una spina nel cuore. E poi quelle risate dell'arbitro...» - Calcio News 24
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2015

Trapattoni: «La mano di Henry fu una spina nel cuore. E poi quelle risate dell’arbitro…»

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In occasione dell’uscita della sua autobiografia ‘Non dire gatto’, il più vincente degli allenatori italiani si confida con CN24

Dunque, da dove partiamo? Giovanni Trapattoni da Cusano Milanino, 76 anni portati splendidamente, è un patriarca del calcio italiano e tante, troppe cose ci sarebbero da dire sul suo conto. Dalle più ammirevoli (i suoi innumerevoli successi conquistati in quattro nazioni diverse, esattamente come un certo Josè Mourinho) alle più scontate (il suo calcio pragmatico basato sul risultato sempre e comunque, da buon ‘figlio’ di Nereo Rocco) passando per la celebre marcatura asfissiante su di un giovane Pelè, l’esoterismo dell’acqua santa portata in panchina, il furore maccheronico di quella famosa conferenza stampa bavarese (‘Sind wie flaschen leer! Ich habe fertig! Strunz!’ e via gridando), il folklore dei suoi fischi e ovviamente i suoi strambi aforismi passati di diritto alla Storia della comunicazione moderna.

E proprio dal più celebre di questi ultimi (‘Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco’, pronunciato ad un divertito Bruno Longhi prima di un Inter-Sampdoria di fine anni ’80 che profumava di scudetto) nasce ora una bella autobiografia dove si cerca di raccontare l’uomo più che l’allenatore. Esattamente come nel nostro piccolo abbiamo provato a fare noi di Calcionews24 quando ci siamo ritrovati di fronte quegli occhi azzurri che seppero dire di no a Roberto Baggio ed incitare a più non posso Paolo RossiMichel Platini, Lothar Matthaus, Gabriel Batistuta o Francesco Totti. Poche storie: il Trap è football come gli U2 sono rock epico (e difatti Giuanin in Irlanda è amato al pari di Bono Vox). Benvenuti nella sua personalissima tempesta elettrica…     

Il libro di Giovanni Trapattoni: “Non dire gatto”

Non sono un po’ poche 306 pagine per raccontare tutta l’epopea del Trap?
«Forse sì, ma mica potevo arrivare in libreria con un tomo da mille pagine… (sorride)».

E perché no? Tu d’altronde hai esordito col Milan nel lontano 1957. E da allora è come se avessi vissuto almeno tre/quattro vite di un comune mortale…
«Già, ma non mi sono mai piaciuti i libri ricolmi d’enfasi e di lusinghe a go go. In ‘Non dire gatto’ abbiamo raccontato tutto quello che era giusto raccontare e devo aggiungere che Bruno (Longhi, NdR) è stato un maestro nel far quadrare l’intera vicenda.».

Lasciami dire che ne è venuta fuori una lettura molto sobria e godibile. E sottolineo ‘sobria’ in un mondo così chiassoso come è quello del calcio…
«Diciamo che ho preferito non esagerare. D’accordo che ci girano attorno milioni di euro, ma stiamo pur sempre parlando di un pallone. Un pallone che mi ha dato tanto e fatto vivere una vita bellissima, ma alla fin fine un semplice oggetto che rotola. Ecco, manteniamo costantemente quest’oggetto nei confini dell’intelligenza e della civiltà.».

Come ha fatto Bruno Longhi a convincerti? Tu mi sembri una persona con lo sguardo puntualmente diretto al futuro, non certo verso il passato.
«Come ci è riuscito? Beh, ha insistito quei venti/trent’anni – praticamente da quando mi conosce –  e alla fine ho ceduto per sfinimento. ‘Ma sì – mi sono detto – mettiamole giù queste quattro righe sulla vita del Trap!’ (sghignazza)».

Questo, ad onor del vero, non è il primo libro su di te. Anni fa uscì il bellissimo ‘Fischia il Trap’ a firma di Angelo Caroli…
«Hai ragione: lettura eccellente anche quella, ma fondamentalmente diversa. ‘Fischia il Trap’ si soffermava di più sugli aspetti tecnici/tattici del mio modo d’allenare, soprattutto durante il periodo juventino. In ‘Non dire gatto’ invece c’è il pacchetto completo, dall’infanzia alla vecchiaia.».

 

Il celeberrino fischio del “Trap”

Secondo te manca un Giovanni Trapattoni al calcio italiano contemporaneo?
«Ehm, mi metti in difficoltà con questa domanda. Al massimo dovrebbero essere gli altri miei colleghi a risponderti…»

Certo che sarebbe bello avere un Mister odierno con la tua fisicità, la tua mimica e la tua voglia di analizzare scrupolosamente le squadre avversarie…
«Beh, ai miei tempi bisognava vederne di VHS per scovare i segreti di quella tal squadra europea sconosciuta ai più. Oggi, al contrario, si sa tutto di tutti, pure troppo. Ci sta talmente tanta informazione che se un allenatore vuole erigersi sulla massa deve soffermarsi sui particolari, i minimi dettagli. Ecco, se posso permettermi un consiglio alla categoria dico: ‘Cari mister odierni, studiate con attenzione i dettagli insignificanti, non gli schemi dominanti’. Chiaro, no?».

Insisto: Paulo Sousa si è recentemente paragonato a te. E mezza Italia pallonara ha subito abboccato all’intrigante parallelismo…
«Paulo è un amico: ci conosciamo bene visto che portiamo tutti e due il Portogallo nell’anima (Trapattoni ha allenato il Benfica nella stagione 2004/2005, NdR). In Italia sta facendo un figurone e sì, l’ho notata anch’io questa analogia tra me e lui; ma la mia, alla fine della fiera, era un’altra epoca calcistica, per certi versi irripetibile. Paulo deve levarsi le sue soddifazioni qui ed ora visto che stiamo parlando di un grande, grandissimo Mister.».

Senti, tra la finale di Coppa Campioni persa ad Atene nel 1983 (Amburgo 1 Juventus 0) ed il gol rubato di Gallas nei supplementari di Francia-Irlanda del 2009 (spareggio per accedere ai Mondiali in Sudafrica) cos’è che ancora ti leva il sonno?
«Nella maniera più assoluta il tocco di mano di Thierry Henry precedente alla rete di Gallas. Sai, il Mondiale di per sè è già un traguardo difficilissimo e in quel caso vederselo sfumare a pochi minuti dalla fine e dopo tutto quel lavoro svolto, beh è dura da mandar giù… (gli occhi del Trap si fanno lucidi nonostante siano passati quasi sei anni dal fattaccio di Saint-Denis, NdR) Lo sai cosa non ho mai digerito di quella partita? Le risate dell’arbitro (lo svedese Martin Hansson che si sarebbe poi ritirato nel 2013, NdR) susseguenti alla mia legittima protesta. Fu un atteggiamento davvero irritante, il suo.»

Parliamo un attimo del Mondiale nippo-coreano del 2002?
«Volentieri, nonostante quella sia un’altra ferita aperta…»

Byron Moreno permettendo, qualcuno sostiene che alla partita decisiva con la Corea del Sud (persa poi per 2-1 dall’Italia) ci arrivammo un po’ spenti a causa del ritiro pre-gara. Che si tenne in un lugubre ospedale militarizzato sperduto in mezzo al nulla…
«Parto col dire che non c’era una situazione politica facile da quelle parti, soprattutto nell’anno del Mondiale. La mia non è assolutamente una giustificazione, ma quel ritiro ci fu quasi imposto dagli organizzatori coreani e – se devo dirtela tutta – a me andava perfino bene così. Sai, sono un uomo di mondo, sono stato un atleta anch’io ed ero al corrente di quante tentazioni notturne ci sarebbero potute essere in una metropoli come Tokyo o Seul. Meglio l’isolamento a quel punto perché i calciatori sono pur sempre ragazzi di 20 anni con i loro legittimi desideri. Anche se noi continuiamo a dipingerli come robot insensibili, buoni solo a colpire il pallone coi piedi…».

Cambiamo argomento: poniamo il caso che domani ti squilli il telefono e ti offrano una panchina in Italia o all’estero. Tu che fai?
«La accetterei, ma non prima di aver parlato col presidente di turno. Dicendo a quest’ultimo che il mio nome è Giovanni e non San Giovanni (fa uno sguardo furbesco, NdR). Voglio dire: allenare mi esalta, ma non sono ancora specializzato in miracoli. Però…».

Però?
«Alla fine direi di sì perché, quando seguo il calcio in televisione (e ti assicuro che di partite ne vedo parecchie durante la settimana), mi piace sempre perdermi in tattiche, interventi, soluzioni, consigli, fischi. In pratica ci sono ancora dentro fino al collo!».

Trap, mi sorge un dubbio proprio in conclusione: non è che alla fine siamo stati troppo ingenerosi verso di te? Voglio dire: tu hai vinto sette scudetti in Italia (record assoluto) ed ogni tipo di coppa internazionale ma, quando spunta il tuo nome, siamo ancora lì a ‘menartela’ col gatto nel sacco, l’acqua santa e la conferenza stampa in tedesco a colpi di Strunz…
«(scoppia a ridere) Ma no! Anzi, quegli strafalcioni epocali li rivendico tutti e sono felice che i media li abbiano riportati tali e quali al grande pubblico. Le mie sono sempre state esternazioni genuine e spontanee, mica provocazioni costruite ad arte. E questo chi mi conosce lo sa. Lo sa che io sono fatto così: puro e senza sofisticazioni. Parola di Giuanin.».

 

 

1998: Bayern Monaco, Trapattoni dice al mondo cosa pensa di Strunz

‘Non dire Gatto’ (Rizzoli), l’autobiografia di Giovanni Trapattoni scritta assieme a Bruno Longhi è in vendita da ora nelle migliori librerie.

Intervista a cura di Simone Sacco ; per comunicare: calciototale75@gmail.com