2015
Luciano Favero, proprio un difensore coi baffi
«Annullai Maradona e la mia carriera juventina decollò. Però a Platini, per pudore, non chiesi mai il numero di telefono…»
«Quest’intervista mi sorprende un po’, pur facendomi molto piacere». Luciano Favero, il grande esterno baffuto del calcio anni ’80 (Avellino, Juventus e Verona), ci risponde con la sua tipica cadenza veneta al primo squillo di cellulare. Sta guidando nell’entroterra veneziano – dove è tornato a vivere da anni – ed è gentile esattamente come quando giocava nell’indimenticabile Zebra dei vari Platini, Scirea, Cabrini, Serena e Laudrup. Gentile coi tifosi e la stampa, s’intende, perché in campo non faceva sconti a nessuno. «Mi sorprende – aggiunge lui- perché di carattere sono un po’ chiuso verso l’esterno; anche quando giocavo ero sempre quello che si concedeva di meno all’opinione pubblica e mi andava benissimo così…». Poco male, la timidezza è vinta. Ormai Luciano è nostro gradito ospite e questi – come da tradizione – sono i suoi Tempi Supplementari. Ascoltiamolo.
Molti pensano che tu abbia appeso le scarpette al chiodo nei primi anni ’90 dopo le ultime stagioni col Verona. E invece…
«E invece sono andato avanti almeno fino al 2005/2006. Nel calcio dilettantistico, s’intende: lo facevo per restare in forma. E giocare in seconda o terza categoria era l’ideale per tutto ciò. Poi ho avuto problemi all’anca e mi sono dovuto operare chiudendo di fatto la mia ‘attività’ agonistica. Nel frattempo ho compiuto 57 anni, dovrei andare sotto i ferri anche per l’altra anca, ma per il momento stringo i denti.»
Sei rimasto in buoni rapporti col calcio attuale?
«Sì, continuo a seguire alcune squadre del territorio veneziano e, quando posso, vado a Torino a tifare la mia Juve. Faccio parte delle Juventus Legends anche se la mia stella allo Stadium non c’è! (ride) Niente di grave, eh. Con quella maglia hanno giocato così tanti campioni che mi sento sempre in buona compagnia.»
Esaltato dall’esito delle recenti sfide col Real Madrid?
«E come potrei non esserlo? Nella partita d’andata, allo Stadium, c’era un’atmosfera da brividi. E comunque anche ai miei tempi ce la giocammo alla grande col Real di allora dei vari Butragueno, Michel, Hugo Sanchez, Martin Vazquez, Valdano, ecc. Uno squadrone fortissimo a cui cedemmo solo ai rigori. (la Juventus fu eliminata negli ottavi della Coppa dei Campioni ’86/’87 ed uno dei penalty lo sbagliò malauguratamente proprio Favero, NdR)»
Ci ripensi ogni tanto a quel disgraziato tiro dal dischetto?
«Recentemente mi è tornato in mente ma, se anche lo avessi segnato, eravamo comunque in una gran brutta situzione: Tacconi avrebbe dovuto parare il rigore successivo, Michel (Platini, NdR) segnarlo e infine andare ad oltranza. Fu una lotteria oltremodo sfigata: Sergio Brio – che qualche mese prima segnò a Tokyo contribuendo alla vittoria della Coppa Intercontinentale – in quel caso tirò male e centrale, io mi feci prendere dall’emozione, Cabrini era uscito e non potè partecipare alla serie, ecc. Peccato perché in allenamento ero infallibile, ma al termine di una maratona di 120 minuti la situazione è leggermente differente…»
Lo senti ancora Michel?
«No, sono sempre stato abbastanza riservato verso i miei compagni di squadra per quel che riguarda la loro vita privata. Ogni tanto chiamo Beniamino Vignola e Marino Magrin in occcasione di feste o ricorrenze, ma di Platini non avevo il numero di telefono neanche quando dividevamo lo stesso spogliatoio. E lo abbiamo fatto per tre lunghi anni. Michel è sempre stato un grande.»
Magari lui sarebbe contento di risentirti…
«Lo so per certo. Una volta, quand’era già capo dell’UEFA, si è trovato a passare dall’aeroporto di Venezia. Là ho un amico che ci lavora e che ha avuto modo di dialogare con lui. ‘Ma davvero sei in contatto con Luciano? Dai chiamalo e fallo venire qui che ho voglia di riabbracciarlo!’, questo fu l’esatto messaggio di Michel…»
E tu non ci sei andato?
«Mi sarebbe piaciuto tantissimo! Solo che quel giorno avevo un impegno e mi trovavo altrove… (sospira)»
Chi è l’amico migliore, oltre ai già citati Vignola e Magrin, che il football ti ha lasciato?
«Tutti, io mi sono trovato bene un po’ con tutti. Come ti dicevo prima fa parte del mio carattere: magari un po’ chiuso con i media, ma buono e generoso nei confronti dei colleghi.»
Ti va se ti faccio una domanda un po’ dolorosa?
«Tranquillo, chiedi pure.»
Tra pochi giorni ricorrerà il trentennale della tragedia di Bruxelles…
«Lo so. Quello è un buio che non sono mai riuscito a decifrare fino in fondo. Lo Juventus Club di Bassano del Grappa mi ha già invitato per una commemorazione (la cittadina veneta ha contato delle vittime che quel 30 maggio 1985 erano in trasferta all’Heysel, NdR), ma io non so se riuscirò a presenziare. Mi tocca ripetermi: quella coppa è stata il buio in mezzo ad altri tifosi luminosi che ho conquistato in quegli anni. Un ricordo sempre negativo e costante. Il giro di campo a fine gara col Liverpool? Fu un festeggiamento relativamente sobrio e dettato dall’emozione, ma la stampa anche lì ha voluto ricamarci sopra… Ti va se parliamo d’altro?»
Parliamo della costanza di Favero, allora. I tuoi primi mesi alla Juventus (autunno del 1984) non furono immuni da critiche, molti non ti vedevano nel ruolo (terzino destro) che fu di Claudio Gentile per anni, ma tempo una stagione e diventasti insostituibile ricoprendo diverse posizioni difensive…
«Questo significa che nel calcio ci vuole sempre un po’ di pazienza, oggi come allora. E poi valutare le partite in base all’avversario: se incontri Messi e lui ti fa gol, diciamo che ci può stare…»
Qual era quello che non ti faceva dormire la notte?
«Eh, ce n’erano tanti in quegli anni visto che all’epoca avevamo davvero il ‘campionato dei campionissimi’. Tra tutti direi Spillo Altobelli: quando giocavo ad Avellino era la mia bestia nera e riusciva sempre a farmi gol. Alessandro era fatto così: per 85 minuti si faceva annullare, poi al momento propizio la buttava dentro. E tanti saluti.»
Maradona?
«Fu il mio lasciapassare per la juventinità! Diego era un mostro sul campo, ma nel primo anno alla Juventus riuscii a fermarlo per 90 minuti e da lì presi una convinzione pazzesca in me stesso. Trapattoni si fidava di me tant’è che a volte ho giocato anche centrale o libero per sostituire il povero Gaetano Scirea (soprattutto nella finale di Tokyo contro l’Argentinos Juniors per la Coppa Intercontinentale del 1985 vinta dalla Juventus ai rigori, NdR)»
Elkjaer?
«Ma come? Ancora quella storia della scarpa volata via? (ridacchia)»
Ebbene sì.
«Lì non ebbi colpe. Il danese in quel Verona – Juventus (2-0 per gli scaligeri nell’anno dello scudetto gialloblu, NdR) sfuggì al suo marcatore diretto Stefano Pioli, l’attuale allenatore della Lazio, in un’azione cominciata a metà campo. Io ho cercato di frenare la sua corsa chiudendo alla disperata in area. Piede contro piede, ma lui segnò e contemporaneamente perse lo scarpino…»
Sei passato alla Storia del Bentegodi.
«Per una scarpa altrui! E dopo coppe, scudetti ed oltre 200 partite in serie A. Ma pensa te…(ride)»
Rubrica a cura di Simone Sacco – per comunicare: calciototale75@gmail.com