Serie A, silenzio e decadentismo - Calcio News 24
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2012

Serie A, silenzio e decadentismo

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L’ottava giornata di Serie A è stata la giornata del silenzio, e già questo di per sé è preoccupante. Ore 14.30: Siena – Juventus, stadio Artemio Franchi di Siena, poco prima del calcio d’inizio il settore ospiti espone uno striscione eloquente: Il nostro silenzio sarà assordante. Sciopero del tifo prolungato, ad oltranza dice qualcuno. Inizia così la domenica calcistica in Italia. Non che lo sciopero sia sbagliato o assurdo, anche se a guardare il tutto in maniera superficiale potrebbe sembrarlo. Una squadra prima in classifica che non viene supportata; questo concetto ha in sé un qualcosa di ossimoricamente affascinante, ma lascia anche un senso di tristezza. I motivi poi sono più complicati di quanto sembrerebbe e la tristezza arriva per l’assurdo di un calcio italiano che diventa sempre più il Grande Fratello, dove l’unica esigenza è quella televisiva e i tifosi, agonizzati, si spera diventino  spettatori. Ma la domenica di Serie A darà il meglio nel posticipo, o nei posticipi che dir si voglia. E correggo il tiro: la cosa più preoccupante ora è questa. C’è il derby di Milano: San Siro stracolmo, cornice degna di una grande partita, solo la cornice, il quadro no, ha tinte troppo chiare. L’Inter passa in vantaggio dopo pochissimo su un corner, Il Milan gioca quasi tutto il secondo tempo con l’uomo in più ma non riesce a pareggiare, non segna nemmeno. 0-1. Il silenzio degli attaccanti, il silenzio di Silvio Berlusconi. Il presidente rossonero non parla, non ci mette la faccia, quasi come se non fosse affar suo. Si dice che Allegri sia in bilico, che Galliani potrebbe perdere il posto, ma Berlusconi non commenta, ascolta, poi magari deciderà ma per ora contribuisce al regime di silenzio.

Mentre Inter e Milan balbettavano in un derby sicuramente combattuto, giocato al massimo ma privo di spettacolo e pieno di polemiche (queste sì, molto loquaci), all’estero si consumavano monologhi degni dei migliori oratori latini. Partite affascinanti per davvero, e non (solo) per la grinta messa in campo o per le coreografie dei tifosi. In Francia Ibra e Gignac si davano battaglia a suon di gol, una doppietta per entrambi e tutti contenti. Spettatori compresi. In Spagna poi c’era un qualcosa che forse non si può nemmeno definire. Uno spettacolo: fantasia, concretezza, bel gioco, grinta, tutto. Il bel calcio, insomma: Barcellona – Real Madrid. Cristiano Ronaldo e Messi si dividono la posta in palio con una doppietta a testa nel clasico spagnolo, ma se la Spagna (calcistica) conquista il mondo allora diventa il clasico e basta. Una partita che è un peccato non poter vedere in Italia, uno spot per il calcio, per il gioco più bello del mondo. Ecco appunto, il gioco più bello del mondo. Il gioco. La differenza con il derby di Milano è tutta in cinque lettere e un mare di divertimento. In Italia monologhi del genere ormai mancano da anni, dagli anni di Zizou, Zico, Ronaldo, Kakà, Del Piero. Poi c’è qualche caso isolato, qualche lampo nel buio. Di Natale per esempio, genio, senza sregolatezza. Come i geni veri.

Ma le squadre fanno fatica. Manca un qualcosa che unisca concretezza ed estetica, velocità e ragionamento, il calcio vero e bello soprattutto. Ci sono le eccezioni dirà qualcuno, ma in questi casi il silenzio sarebbe d’oro. Zeman è un esteta del calcio che non sa fare altro, mostra un calcio sicuramente bello da vedere ma privo di contenuti. Un calcio destinato a fallire, almeno dal punto di vista dei risultati. La forma è straordinaria ma il contenuto è scadente. Petkovic si  è adattato ad un calcio estremamente concreto e ha approfittato, finora, di un campionato dal livello abbastanza basso per mostrare la sua obiettiva preparazione e poco altro. Di certo nessuna innovazione. Mazzarri è concreto, ha costruito una bella squadra con carattere e concretezza. Ma senza un bel gioco e raramente il Napoli è bello da vedere. Lo stesso si può dire per la Juventus di inizio campionato. Conte l’anno scorso c’era riuscito: concretezza e spettacolo. E il progetto era anche stato vincente. Quest’anno, anche per la condizione fisica non esaltante, la Juventus è concreta e fredda sotto porta ma non è quella squadra-meraviglia che lo scorso anno aveva incantato gli amanti del calcio e aveva a tratti diminuito il distacco siderale con il resto del calcio d’Europa. O almeno quello delle big europee, che oggi non sono Milan e Inter.  Le due milanesi (e non solo) balbettano, laddove il discorso o è povero di estetica o è privo di contenuti. Mentre all’estero Messi, Ronaldo, Gignac e Ibrahimovic (l’ultimo vero poeta perso dal nostro calcio) danno vita ad un movimento e ad un gioco bello, in Italia regna il decadentismo. E quel maledetto silenzio.