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Cinque, poi il nulla

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Oleg Salenko, l’uomo che in una sola partita segnò cinque gol ad USA ’94

I record, lo dice il termine stesso, rimangono impressi nella storia. Possono essere positivi o negativi ma sono nella storia, tutti. Ci sono dei record che lasciano l’amaro in bocca, altri clamorosamente finiti nel dimenticatoio. Ed altri ancora che prima di essere dimenticati hanno lasciato l’amaro in bocca. Per l’ultima categoria chiedere informazioni ad Oleg Anatol’evic Salenko, nome sconosciuto ai più ma che in qualche modo è finito nella Hall of Fame della storia del calcio. Una carriera ai limiti dell’anonimato, come tanti altri. Ma in un caldo pomeriggio di fine giugno Salenko scrisse la storia, per poi tornare nel nulla da cui era venuto.

 

GLI INIZI IN PATRIA – Oleg nasce nella fredda Leningrado sul finire del 1969 e, come molti coetanei, cresce con il pallone nella testa. L’adolescenza con indosso la maglia della squadra della sua città, lo Zenit Leningrado. A soli 16 anni l’esordio in prima squadra. La partita è di quelle toste, in casa della temibile Dinamo Mosca. All’entrata dello Dynamo Stadium si erge imponente una statua di Lev Yashin, giusto per incutere un po’ di timore agli avversari di turno. E’ la prima volta che il mister Sadyrin lo porta con sé, e Salenko lo ripaga con ciò che si chiede a tutti gli attaccanti: il gol. Il suo, messo a segno all’esordio, è la rete del 3-4 che manda al tappeto la squadra della capitale, una delle compagini storiche della Soviet Top League. La sua carriera non avrebbe potuto avere inizio migliore. Nelle due stagioni successive veste il blu-bianco-azzurro quarantasette volte, segnando undici reti. Non male per un diciannovenne che si sta affacciando al professionismo. Deve averlo pensato anche la Dinamo Kiev, potenza indiscussa del calcio sovietico, che lo mette sotto contratto. Tutto sembra andare per il verso giusto, è la classica storia di un giovane di belle speranze che sogna in grande. A Kiev Salenko trova una nuova realtà, non è più considerato l’enfant prodige di Leningrado. Si trova, neanche ventenne, in una delle squadre più blasonate della nazione, di fianco a giocatori con esperienza internazionale che riforniscono la nazionale dell’URSS. Non è un’esperienza tutta rose e fiori, ma l’attaccante di Leningrado riesce comunque a lasciare il segno, segnando ventotto gol in novantuno apparizioni.

L’EUROPA – Nel 1992 lascia l’ormai sciolta Unione Sovietica per l’Europa. Se è vero che il Logrones non è il Real Madrid o il Barcellona, è anche vero che per giocare nel Vecchio Continente ogni via è lecita. Sono anni d’oro per il piccolo club di La Rioja (che sta vivendo il periodo di maggior luce della sua storia), e Salenko decide che è arrivato il momento di farsi conoscere nel calcio che conta. Sette gol alla prima stagione, quasi un rodaggio in vista della seconda annata, chiusa con sedici reti. I sostenitori del Logrones si sfregano le mani: il russo segna, i tifosi sognano. In Spagna Salenko trova l’ambiente ideale per sbocciare dopo i timidi tentativi delle esperienze sovietiche. La Russia è lontana, ma il suo ex allenatore dei tempi di Leningrado ora è il ct della neo nata nazionale russa. Pavel Sadyrin lo aveva lasciato quando ancora era un diciannovenne di belle speranze con la maglia del Leningrado. Storia di sette anni (e una sessantina di gol) prima. Il ct russo decide di chiamarlo per i mondiali negli Stati Uniti del 1994. Per Salenko è l’occasione della vita: anche i campioni devono aspettare quattro anni per partecipare ad un mondiale, figurarsi quelli come lui, modesti giocatori che portano la classica ed umile pagnotta a casa. Per l’attaccante classe ‘69 si profila un ruolo di secondo piano, dietro ai più noti ed esperti connazionali Bescastnych, Juran, Korneev e Radchenko, attaccanti cresciuti nella Soviet Top League e poi migrati in squadre europee di spessore. 

I MONDIALI – La Russia capita nel gruppo B con Brasile, Svezia e Camerun. Lo storico esordio della nazionale ai mondiali di calcio non finisce come sperato: il Brasile di Bebeto e Romario non mostra compassione per la neo nata selezione e la liquida con un gol per tempo. Nella seconda giornata le cose sembrano andare meglio: al 3’ i russi sono già in vantaggio sulla Svezia proprio grazie a Salenko, titolare per l’infortunio occorso a Juran nella partita d’esordio. L’attaccante del Logrones è abile a spiazzare Ravelli dagli undici metri e far sognare la nazione, ma i gialloblù si risvegliano e ne rifilano tre alle matricole russe. La qualificazione è compromessa ma ancora possibile, anche se ormai non dipende solo dai russi. La squadra di Sadyrin vede le sue sorti appese ad un sottile filo chiamato ItaliaMessico. Agli azzurri di Sacchi serve un successo per avere la certezza di passare il turno, ma la gara si conclude 1-1. Il peggior risultato possibile, perché lascia con il fiato sospeso gli italiani (non ancora certi del passaggio del turno) e con tanti rimpianti l’ormai eliminata Russia, alla quale sarebbe bastato un misero punto in due partite per essere ancora in corsa per qualificarsi come una delle migliori terze. L’Italia ora deve sperare che proprio la Russia superi il Camerun, altrimenti sarebbero gli africani a passare e mandare a casa gli uomini di Sacchi.

L’INUTILE RECORD – 28 giugno 1994, ad appena otto giorni di distanza dallo storico esordio in un mondiale, la Russia torna allo Stanford Stadium per la sua ultima apparizione ad USA ’94. Di fronte c’è il Camerun di Milla, in una partita che paradossalmente interessa più all’Italia che ai sovietici. Salenko è ancora titolare, non sa che quel pomeriggio tanto amaro lo farà entrare nella storia del calcio. La partita è sin dalle battute iniziali vivace, i russi non hanno nulla da perdere e si vede. Al 16’ Cherchesov rinvia e trova la difesa camerunense impreparata, Salenko scatta in profondità ma non viene servito e libera lo spazio per l’inserimento di Tetradze. Il centrocampista perde palla ma Salenko la recupera, prende la mira in qualche decimo di secondo e scarica alle spalle di Songo’o un destro non irresistibile ma letale. Non irresistibile ma letale, quasi una descrizione dell’attaccante del Logrones, non certo tra i più talentuosi del panorama calcistico russo ma, almeno per un giorno, letale. Il Camerun reagisce, la Russia sbanda vistosamente in difesa ma regge il colpo e controbatte. Gli africani attaccano a pieno organico lasciando a protezione di Songo’o due soli uomini, i russi aspettano il momento opportuno per colpire in contropiede. Poco prima del duplice fischio gli uomini di Sadyrin sfruttano una clamorosa disattenzione dei camerunensi: palla in verticale a Tsymbalar, partito in posizione dubbia, Salenko segue l’azione ed il centrocampista lo premia servendogli su un piatto d’argento l’occasione del 2-0. E’ la sua prima doppietta in nazionale ed ai mondiali. Passano quattro minuti, gli africani sono tramortiti e le loro lacune tecniche amplificate. Al 45’ Tsymbalar viene steso in area, il siriano Al-Sharjf non ha dubbi: è rigore. Sul dischetto si presenta Salenko. La palla in mano, le spalle al portiere mentre la poggia con cura sul dischetto. Forse un gesto scaramantico, d’altronde contro la Svezia era andata bene. Ora potrebbe firmare una tripletta ed aumentare i rimpianti della sua nazionale. Salenko è ancora di spalle, tergiversa con il pallone tra le mani, lo poggia con estrema calma sul prato dello Stanford Stadium. Prende una lunga rincorsa, fino a calpestare la linea della lunetta dell’area di rigore. Al-Sharijf fischia, Salenko cambia angolo rispetto al rigore contro la Svezia e spiazza Songo’o: è 3-0, e pensare che sarebbe bastato un solo punto nelle prime due giornate per continuare a sognare. Al rientro in campo Milla mette a segno il gol del 3-1 ed il Camerun prende coraggio, sfiorando nei minuti successivi il 3-2. La selezione africana si riversa nella metà campo russa prestando il fianco ai contropiedi degli uomini di Sadyrin. Tensione, caldo e fatica pesano sui camerunensi, che vedono sfuggire minuto dopo minuto un successo che avrebbe potuto significare ottavi di finale. Tetradze scappa sulla destra e mette in mezzo. Sul pallone ancora lui, Oleg Salenko. Piatto destro e pallone sotto la traversa, è 4-1 al 72’. Quattro gol in una sola partita sono merce rara, ancor di più ai mondiali. Certo che avrebbero avuto tutt’altro sapore se la Russia fosse stata ancora in corsa. Passano tre minuti e Salenko è di nuovo davanti a Songo’o, che in uscita prova ad evitare il quinto gol. Nulla da fare, il numero 9 si è trasformato in un infallibile cecchino. Cinque gol, nessuno era mai riuscito a segnarne tanti in una singola partita di un campionato del mondo. Un record tanto importante quanto amaro: sono solo numeri. Numeri inutili che aumentano i rimpianti di quella che sarebbe potuta essere un’impresa. Nel finale di gara arriva anche il gol di Radchenko, che fissa il risultato sul 6-1. Finisce così il primo mondiale della storia della Russia, con molti rimpianti ed un record tanto importante quanto triste. Salenko, al termine della competizione, vincerà anche il titolo di capocannoniere a pari merito con il leggendario Stoichkov.

 

L’INIZIO DELLA FINE – Nella stessa estate il suo record fa il giro del mondo ed il suo nome finisce sui taccuini dei club di mezza Europa. Ad accaparrarsi quello che sembrava un talento in rampa di lancio è il Valencia. Al Mestalla, però, Salenko si perde. O forse, tesi sostenuta da molti, non si era mai trovato. Le sue prestazioni sono altalenanti e ben presto perde il posto da titolare. Sette gol in venticinque presenze sono davvero un bottino misero per colui che divise il primato di gol ad USA ’94 con Stoichkov. Anche le convocazioni in nazionale si fanno sempre più rare. E’ l’inizio della fine, segue il passaggio ai Rangers Glasgow: in Scozia mette insieme quattordici presenze e sette gol, ma non riesce a legare con l’ambiente ed è di nuovo costretto a cambiare aria. Così prova a ricominciare da zero all’Istanbulspor. Beh, non proprio da zero: anche in Turchia si ricordano di quel russo che qualche anno prima, nei mondiali statunitensi, fece cinque gol in una sola partita. Qui le cose migliorano, Salenko segna 11 gol e ritrova una buona forma fisica, ma è costretto a chiudere la carriera nel 1998 per un grave infortunio al ginocchio. O meglio, sembra costretto a chiudere la carriera: nel 1999 torna sui campi di calcio. Prova a riprendersi tornando in quella Spagna che gli aveva permesso di diventare grande, ma l’esperienza di Cordoba è da dimenticare. Nella stagione successiva veste la casacca dei modesti polacchi del Pogon Stettino. Veste, si fa per dire: una sola presenza, l’ultima di una carriera colata a picco sotto i colpi delle false aspettative create da un record tanto importante quanto inutile.