Boskov, Mancini: «Barbe fatte e vestiti in ordine, la Sampdoria è stile» - Calcio News 24
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2014

Boskov, Mancini: «Barbe fatte e vestiti in ordine, la Sampdoria è stile»

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BOSKOV MANCINI – Dopo la morte di Tito Vilanova, la scomparsa di un altro grande allenatore: Vujadin Boskov. Il mondo del calcio si è stretto attorno al ricordo dell’ex centrocampista e tecnico serbo, che ha fatto grande la Sampdoria, con cui ha vinto due Coppa Italia, un campionato, una Supercoppa italiana e una Coppa delle Coppe. Ha segnato la storia blucerchiata Boskov, che stamattina è stato ricordato da Roberto Mancini, ex attaccante del club ligure, ora allenatore del Galatasaray. Attraverso le colonne de “La Gazzetta dello Sport”, Mancini ha raccontato e ringraziato il suo mentore.

IL RETROSCENA – Dalla richiesta di “stile” al legame alla nascita del legame con lo spogliatoio, che sapeva bacchettare, caricare e rincuorare con ironia: «Vujadin Boskov si presentò allo spogliatoio un bel mattino d’estate, ci squadrò a lungo scuotendo ogni tanto la testa, e alla fine dell’esame, alzando un po’ la voce, più o meno disse: “Voi siete Sampdoria. Da oggi barbe fatte, vestiti in ordine e niente occhiali da sole, perché quando la gente vi vede deve pensare che Sampdoria è club di stile”. Non ricordo verso chi mi girai, ricordo quel che gli dissi “ma chi è? Hitler?”. La cayenna durò tre giorni, perché da una parte noi togliemmo dal guardaroba le magliette proprio impresentabili e dall’altra lui smise i panni del poliziotto, e dopo altri tre giorni eravamo quasi amici. Dico quasi perché tra allenatore e giocatori un minimo di distanza deve esserci sempre, ma fu ben presto chiaro a tutti che per Vujadin non eravamo soltanto lavoro. Ci voleva bene. E siccome la Samp aveva già un “padre”, Paolo Mantovani, lui non volle mai essere altro che un fratello maggiore, pronto a metterci a disposizione la sua enorme esperienza. Eravamo una squadra giovane e talentuosa, lui fu l’uomo giusto al momento giusto: nei momenti difficili – e ce ne furono anche nell’anno dello scudetto – comunicava una tranquillità disarmante. “Siete i migliori, troverete la strada. Magari io conosco una scorciatoia…”. E si finiva sempre a ridere: era la sua strategia per stemperare la tensione».

IL “TERRORISTA” – Ma anche la capacità di gestire personalità difficili, come quella dello stesso Mancini: «Io combinavo un sacco di cavolate. In campo mi arrabbiavo, con l’arbitro e a volte anche con i compagni. Una domenica passai proprio il segno, e Boskov all’intervallo – con espressione furiosa – gridò davanti alla squadra “Mancini, tu sei un terrorista dello spogliatoio!”. Ma no, mister… Ridevano tutti tenendosi la pancia, alla fine mi acquietai pure io. Sapeva prenderti, come tutte le persone molto intelligenti. E sapeva darti fiducia. Ricordo che prima delle partite col Milan diceva sempre a Vierchowod “tu prendi Gullit e infilatelo nel taschino”».

L’AUTOSTIMA – Infine, l’importanza e l’intelligenza di Boskov, che ha saputo lanciare giovani talenti: «Raccontate adesso magari sembrano scemenze, ma in qui momenti l’autostima della squadra cresceva a dismisura. Giocavamo il calcio dell’epoca pre-Sacchi, con il libero, i marcatori e una manovra studiata per far arrivare la palla in fretta a me e a Vialli. Forse eravamo i talenti migliori, di certo Vujadin ci ricordava sempre quanto fossimo inutili senza il lavoro della squadra. Sembrano banalità, ma per ragazzi di 20 anni con il mondo nelle mani certe lezioni sono preziosissime. Lo ringrazio ancora oggi, Boskov ha reso la mia giovinezza straordinariamente bella. Abbraccio con forza la sua famiglia, e me lo immagino in cielo, seduto accanto a Mantovani. Se me li ricordo bene, staranno già ridendo».