Casini: «erano anni che non si vedeva un campionato così combattuto»
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Casini: «erano anni che non si vedeva un campionato così combattuto»

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Le parole del presidente della Lega Serie A Casini: «Il livello della A non è così basso, guardate la Coppa Italia»

Lorenzo Casini, presidente della Lega Serie A, ospite del forum Il Calcio che l’Italia si merita organizzato dal Corriere dello Sport, ha detto la sua sul campionato.

«La situazione è drammatica, inutile essere troppo ottimisti. L’accoppiata pandemia e conflitto in Ucraina sta determinando per le società di calcio di tutto il mondo un crollo dei ricavi: per carità, i diritti tv sono rimasti, ma se ne sono persi tanti altri e sono aumentati i costi. Adesso finalmente stanno arrivando dei primi ristori per le spese di tamponi e simili ad alcune società: alcune neanche li avranno, saranno dati a quelle con meno risorse economiche. Le società oggi hanno l’80 per cento di spese fissi sui salari e ricavi al ribasso»

Ma alzare il livello dello spettacolo non è l’obiettivo primario?
«Anche per me è la priorità, il monte ingaggi però non è il tema primario. Io non credo che il livello sia così basso, la finale di Coppa Italia l’abbiamo vista e quello che non abbiamo apprezzato è stato il bordo campo (riferimento al parapiglia nel finale tra Allegri e la panchina dell’Inter, ndr), e ci stiamo lavorando. Però la BBC è venuta a intervistarci perché erano anni che non si vedeva un campionato così combattuto. Ci vedo un po’ di italianismo, che debba andare tutto male… Il livello non è lo stesso degli anni ’90, ma non è crollato. Gli unici due campionati aperti sono la Premier League e la Serie A»

Ma si può ridurre tutto a un tema economico?
«Nessuno vuole ridurre tutto al tema finanziario, e nessuno vuole farlo. Il problema è la frattura, storica: la cessione di Zidane segna il passaggio di un’era. Però oggi i bambini e le bambine vogliono giocare a calcio, sono appassionati: a un certo punto, si fermano. Su questo dobbiamo lavorare, così come sugli stadi che non sono accettabili»

Il Decreto Crescita penalizza i giovani italiani?
«Dai dati che abbiamo raccolto, è veramente poco influente rispetto al numero di calciatori chiamati così. Identificare nel decreto fiscale la causa o la ragione di un poco impiego degli italiani è tecnicamente sbagliato. Poi è chiaro che se se ne abusa è diverso: ricordiamo che il beneficio va tutto ai giocatori. I dati che abbiamo però dicono che non c’è stato un abuso».

Beh, però ci sono squadre tutte di stranieri, tra l’altro non di altissimo livello. Il Venezia per esempio. Voi vi siete opposti a fissare dei limiti.
«La soglia di un milione impatta diversamente sulle varie squadre: ne riguarda solo alcune e ne fa fuori altre. Tenere un beneficio fiscale per alcune e toglierlo per altre non mi sembra che aumenti la competitività».

La priorità su cui lavorare?
«Sui temi tecnici, sarei un pazzo a esprimere posizioni diversi da Capello e Ancelotti. VAR a chiamata e tempo effettivo, la posizione è favorevole. Sui playoff va approfondita. La priorità secondo me emerge a livello culturale: se non partiamo da lì… Noi abbiamo un Paese con governi che durano uno-due anni, non c’è cultura della programmazione e non appartiene all’Italia. Ora, non pretendo cambi la politica, ma nel calcio forse ce la possiamo fare. Il metodo è la comparazione: ci sono tanti Paesi che hanno fatto cose eccellenti, è improbabile riprodurre un modello ma è doveroso imparare da quelle esperienze».

Playoff e playout?
«Se ne potrà ragionare più avanti. Adesso, con tutti i problemi che ci sono, non mi sembrano la priorità. Hanno pro e contro: valorizzano la fase finale, limitano la regular season. In NFL o NBA non è che c’è il rischio di cose diverse: in Italia, cosa può succedere durante la regular season?».

Il nuovo stage con giovani voluti dalla FIGC per l’Italia di Mancini?
«L’idea di riprendere il programma dei giovani di interesse nazionale è bella e necessaria, stiamo attivando maggiore collaborazione con le scuole: è da lì che bisogna ripartire, altrimenti difficilmente poi faremo progressi».

Venti squadre in Serie A sono troppe?
«Se guardiamo le altre leghe europee, la risposta è no. Però è indubbio che negli anni il progetto della Serie A è cambiato tanto, è un tema che va discusso anche con le altre leghe».

La media company è un progetto finito?
«La media company non è stata affosata, è una fake news. Ci credono tutte e venti le società, a saltare è stata la modalità cioè i fondi di investimento: non è l’unico modo e collegare la media company a un’operazione che portasse anche a una cessione di proprietà è stato un errore».