2012
Quando il calcio diventa follia
Sono passati otto giorni dalla tragica morte sul campo di Piermario Morosini, la cui scomparsa è stata salutata con grande commozione sui quattro angoli del pianeta. Premetto che questo editoriale non nasce come una lezione di moralismo giornalistico, cosa che qualcuno nel mio stesso campo ha provato a fare attraverso altri mezzi: si tratta solo di un’amara constatazione della finzione e della falsa commiserazione in cui galleggia, rischiando spesso di annegare, il mondo pallonaro italiano.
Sono passati otto giorni, ma chi governa lo sporco universo calcistico del nostro Paese, assieme alle figure di rilievo dei maggiori club della massima serie, hanno pensato bene di far scivolare questi giorni con parole e azioni assurde, degne di una nazione seppellita dai debiti e dagli scandali.
C’è stato chi ha pensato bene di lamentarsi e di parlare di ‘campionato falsato’ dopo la decisione della Lega di non far slittare le restanti giornate di campionato: basta leggere, o quantomeno ricordarsi alcuni passi del regolamento, per capire che lo slittamento delle giornate non è previsto ed è a dir poco illegale.
C’è stato chi, di fronte a una prestazione scialba della propria squadra in una sfida cruciale per la conquista di un traguardo importante, ha avuto ancora una volta la voglia di inneggiare agli errori arbitrali ormai risalenti all’anteguerra di questo campionato: va bene, mister Allegri, il gol non assegnato a Muntari in Milan-Juve è un errore sesquipedale, ma provi a rivedere con attenzione le partite contro Fiorentina e Bologna e si renda conto che i punti-scudetto li ha persi più in questa occasione che nello scontro diretto.
Dulcis (ma non troppo) in fundo, c’è stato chi, comprando un semplice biglietto per gli spalti di uno stadio, ha avuto il potere di far sospendere una partita e di ridurre gli attori del più grande spettacolo del weekend nel ruolo di marionette in loro pugno: le immagini di Genova contengono qualcosa di macabro e di raccapricciante, visto che negli occhi di quei tifosi, sentitisi traditi per qualcosa che non mi è del tutto chiaro, non c’erano più le immagini di una squadra risalita dalle polveri della cadetteria e che, per puri demeriti sportivi che rientrano nell’ordine delle cose, in Serie B rischiano di tornarci.
E mi tornano in mente le immagini di Marco Rossi e Beppe Sculli, due vere e proprie icone per il pubblico di fede genoana ma che nel folle pomeriggio di Marassi sono stati costretti da quella gente a togliere addirittura la maglia che hanno indossato con grande impegno e dedizione per tanti anni, passando da uno status di ambasciatori del Grifone a quello di luridi mercenari. Immagini senza senso, che non possono giustificare la rabbia per l’andamento di una squadra costruita per vincere e che invece lotta per sopravvivere.
A questo punto è lecito chiedersi se il calcio italiano e i suoi protagonisti siano ancora in grado di commuoversi di fronte alle vere disgrazie della vita, se otto giorni dopo la morte di un ragazzo sul campo di gioco assistiamo a piagnistei isterici di allenatori sull’orlo di una crisi di nervi e alla presa in ostaggio di alcuni calciatori da parte dei propri pseudo-sostenitori.
E intanto il pallone continua a rotolare e si avvia, finalmente, verso l’epilogo di un campionato a dir poco contorto…