2014
Albertini: «Ecco come voglio cambiare il calcio italiano»
L’ex centrocampista svela i progetti per rinnovare il calcio italiano.
FIGC ALBERTINI – In corsa per la presidenza della FIGC dopo le dimissioni di Giancarlo Abete, Demetrio Albertini ha lanciato la sfida a Carlo Tavecchio. L’ex centrocampista del Milan vuole affrontare la tempesta piombata sul calcio italiano e cambiare le cose: «Non c’è dubbio che in Federazione regni l’ingovernabilità. Credo che si debba superare l’attuale struttura direttiva della Figc. Io immagino, dentro il consiglio federale, la creazione di due “consigli d’amministrazione” specifici per l’area professionistica e quella dilettantistica, ognuno con le proprie competenze. Compiti? Innanzitutto riforma dei campionati, ma che sia organica e armonizzata. Solo così il massimo campionato potrà tornare a confrontarsi con le giuste credenziali con l’Europa e le altre categorie potranno dedicarsi alla formazione e alla territorialità», ha dichiarato il vicepresidente federale dimissionario ai microfoni de “La Gazzetta dello Sport”.
I PROGETTI – Ma Albertini è entrato poi nello specifico degli interventi da apportare e sui suoi piani di rinnovamento del calcio italiano: «Una Serie A a 18 squadre, una B a 20 e una Lega Pro che è stata appena ridotta a 60, dopo tanti anni, e quindi non è detto che debba scendere ulteriormente. Quello che mi interessa è la sostenibilità finanziaria: negli ultimi tempi abbiamo perso troppe realtà, le ultime Padova e Siena. Ma la riduzione delle partecipanti è solo il primo passo. In A ciascun club dovrà avere rose con un massimo di 25 giocatori e un minimo di 10 locali, cioè cresciuti nei vivai, indipendentemente dalla nazionalità perché l’Unione europea non ce lo consentirebbe. Come si valorizza il nostro patrimonio di calciatori? Di certo non serve bloccare gli extracomunitari. Non sono gli extra Ue che frenano la crescita del movimento della Nazionale: in squadra potresti avere 11 francesi, tutti comunitari, e nessuno convocabile. Dobbiamo puntare sulla qualità. Da un lato l’obbligo di utilizzare gli elementi formati nei settori giovanili italiani, dall’altro l’apertura delle frontiere, all’interno dei flussi decisi dal Governo, per essere più competitivi sul mercato globale».
CAPITOLO GIOVANI – Albertini sposta poi l’attenzione sul lavoro da svolgere per far emergere i talenti del calcio italiano: «Non mi riconosco in questo calcio, va fatto qualcosa. Ognuno si prenda le sue responsabilità e rinunci a qualcosa, altrimenti tra un po’ chiudiamo bottega. L’attuale sistema di valorizzazione dei giovani non funziona. La Serie A deve guardare al lavoro delle categorie inferiori e premiarlo facendo fare il salto a prospetti validi che poi giochino davvero. Le seconde squadre restano la ricetta giusta per me. Mi convince pure la collaborazione tecnica sull’esempio di quella tra Inter e Prato. Quanto alle multiproprietà, mi piacciono di meno perché non ci sono solo finalità sportive. Il mondo dilettantistico deve fare di più su formazione e reclutamento, dialogando con la scuola e tenendo conto di un Paese con mille differenze: fare calcio in Lombardia è diverso che farlo in Sicilia. Quando dico di rimettere al centro il calcio giocato parlo dei ragazzi, non solo dell’élite milionaria».
LA FORMAZIONE – A proposito di formazione, l’ex Milan ha spiegato le novità che introdurrebbe anche per gli allenatori: «Intanto gli allenatori specifici per i giovani, con un percorso di formazione ad hoc. Da noi l’esperienza nei settori giovanili è vista solo come un trampolino di lancio per sperare di arrivare, magari, in Serie A. Coverciano deve essere riportato agli antichi splendori, nel segno della modernità. La Federazione è fatta di persone, di allenatori preparati che vadano in giro a insegnare calcio».
LA NAZIONALE – Infine, Albertini ha parlato della Nazionale e, quindi, degli interventi mirati che ha in mente per rilanciarla: «Oggi quel che manca è la possibilità di scegliere. La Nazionale va di pari passo con i risultati dei club: basti pensare a Spagna e Germania. Se fai qualità, dopo avrai calciatori di qualità anche per la maglia azzurra. Col Club Italia abbiamo cercato di supportare tutte le rappresentative con formazione, esperienze all’estero, metodi simili d’allenamento. In 4 anni abbiamo ottenuto un secondo posto con l’Under 17 e con l’Under 21, la Nazionale maggiore è arrivata seconda all’Europeo e terza alla Confederations. Flop ai Mondiali? Non è vero che c’è stato uno scontro tra giovani e vecchi. Avendo vissuto da vicino, ho notato che è mancata quella fascia intermedia tra chi aveva grande esperienza internazionale e chi si affacciava per la prima volta alla Nazionale. È mancato l’approccio al grande evento. Tavecchio in vantaggio? Non ho mai fatto una corsa sui numeri, ma sulle idee e sulla voglia di cambiare. Io e Tavecchio siamo due persone con percorsi completamente differenti e tipi di rappresentanza diversi. Posso essere un’opportunità, chi la vuole cogliere la colga».