Italia 90, la grande onda e ciò che poteva essere - Calcio News 24
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2014

Italia 90, la grande onda e ciò che poteva essere

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MONDIALI ITALIA 90 – Ciò che poteva essere e non è stato. Un Mondiale in casa sfumato poco prima dell’arrivo. Con la spinta di un intero Paese, centro dell’universo per più di un mese tra giugno e luglio del 1990. I Mondiali di calcio di Italia ’90 sono lo spartiacque tra il prima ed il dopo: ciò che poteva essere e ciò che non è stato. La delusione sportiva, maturata nell’eliminazione in semifinale solamente ai rigori contro l’Argentina di Diego Armando Maradona in un San Paolo diviso a metà, e quella avveniristica, del punto di partenza che quel Mondiale doveva essere per il calcio italiano e non, come accadde, un punto di arrivo. Circa 4 miliardi di euro per realizzare stadi e infrastrutture che potessero permettere all’Italia di essere il centro nevralgico del calcio per più di un mese. Ma anche tante cattedrali nel deserto, in alcuni casi abbandonate, in altri demolite. Come la stazione di Farneto, a Roma, realizzata con 15 miliardi di lire e chiuse dopo una ventina di giorni di funzione: o il Terminal Ostiense, chiuso definitivamente nel 1993. Lo stadio Delle Alpi di Torino, forse l’unico caso di un impianto demolito dopo 19 anni dalla sua costruzione. O il famigerato Albergo Italia 90 di Ponte Lambro, progettato per aumentare la capacità ricettiva di Milano che si tradusse in una clamorosa incompiuta. 678 infortuni sul lavoro, 12 vittime nei cantieri di costruzione e ristrutturazione degli impianti sportivi. Incompiute propagate poi nel corso degli anni, mentre ancora oggi nel 2014 ci si interroga saltuariamente sull’inadeguatezza degli impianti sportivi del Belpaese. 

GIOCALA – C’è grande fermento in Italia nel 1990 e specialmente nella capitale, Roma, che ospiterà le partite degli azzurri nello Stadio Olimpico. La città vive in fibrillazione e nei primi giorni di giugno ondate di supporter stranieri iniziano ad invadere le città italiane. Mentre gli azzurri di Azeglio Vicini si allenano a Marino, poco fuori dalla Capitale, anche le principali favorite cominciano ad atterrare sul suolo italiano. C’è l’Argentina di Maradona, campione del Mondo nel 1986 e reduce dalla vittoria dello Scudetto con il Napoli: c’è il derby meneghino contrapposto tra le Nazionali di Germania Ovest e Olanda, rispettivamente casa del trio nerazzurro Brehme-Klinsmann-Mattahus e dei tulipani Van Basten, Gullit e Rijkaard, vincitrice del titolo europeo conquistato due anni prima. Ma anche l’Inghilterra di Platt ed il Brasile di Careca. Anche il gruppo della Nazionale azzurra non è niente male: un blocco costituito dai perni difensivi Baresi e Bergomi, un portiere esperto come Zenga e diversi elementi che tanto bene avevano fatto nell’Under 21, quando solamente la Spagna di Luisito Suarez li aveva sconfitti in finale nell’Europeo del 1986. La formazione azzurra può contare su elementi di assoluto valore e, nonostante lo scetticismo iniziale, può ben figurare nel Mondiale con la consapevolezza di poter arrivare in fondo, magari sotto l’euforia della spinta del pubblico.

TOTO’ ABBRACCIAMOCI – Mancini, Vialli, Carnevale, Roberto Baggio: attaccanti di grande qualità e affidamento che costituiscono il riferimento per il reparto offensivo degli azzurri. A cui viene aggiunto il palermitano Salvatore Schillaci, messosi in mostra in quella stagione con la maglia della Juventus  che già precedentemente aveva ben figurato in Serie B con la maglia del Messina. Ed è proprio lui ad inaugurare le notti magiche, rivelandosi assolutamente fondamentale e indispensabile da lì fino alla fine per la Nazionale di Vicini: il gol contro l’Austria dopo pochi minuti dal suo ingresso in campo e quell’esultanza ad occhi sbarrati consegnata a posteriori. Quello contro la Cesoslovacchia nell’ultima partita del girone, poi suggellata dalla rete di Roberto Baggio. Gol da fuori area contro l’Uruguay negli ottavi di finale e rete decisiva contro l’Irlanda che ci spedisce in semifinale. Farà gol anche lì al San Paolo, ma il pareggio di Caniggia e la lotteria dei calci di rigore che da lì fino al 1998 ci punirà severamente spegneranno definitivamente i sogni di gloria di una Nazionale e di un intero Paese, a cui nulla potrà il contentino del terzo posto, conquistato nella finalina al San Nicola di Bari contro l’Inghilterra. 

OCCASIONI – Tanto ciò che resta di quei Mondiali nell’immaginario collettivo: dalla discutibile mascotte «Ciao» al glorioso pallone «Etrusco Unico», dai balletti di Roger Milla sulla bandierina a quelli di Careca al Delle Alpi. Tanti talenti in ogni stadio e in ogni partita, Dragan Stojkovic della Jugoslavia, David Platt per gli inglesi, Tomas Skhuhravy per la Cecoslovacchia. Ma anche il primo mondiale in assoluto per il Costa Rica, l’ultimo mondiale della Germania Ovest che tre mesi dopo sarà soggetta alla riunificazione, la prima coppa del Mondo con una canzone ufficiale, ma anche la prima volta di una squadra africana ai quarti di finale, il Camerun. Con il gong della finale tra Germania Ovest ed Argentina, decisa da un calcio di rigore nel finale da Brehme, cala il sipario sul mese di fibrillazione vissuto dall’Italia: una vetrina mondiale, sì, ma anche una occasione persa, dentro e fuori dal campo, per gli anni a venire.