2012
Torino, Gillet: “Non sono un fenomeno, ma…”
TORINO GILLET – L’umiltà è una delle caratteristiche principali della personalità di Gillet, che non si nasconde dietro ad un errore, ma anzi lo evidenzia senza problemi. Lo ha fatto nell’intervista rilasciata per Tuttosport, dove il portiere del Torino ha anche parlato del suo addio al Bologna, prossimo avversario in campionato, del gioco di Ventura, della sua famiglia e del suo futuro.
Jean Francois Gillet, l’errore contro il Napoli l’ha resa più umana: anche lei sbaglia. Cosa è capitato su quel pallone consegnato a Cavani?
«Ci sono situazioni nelle quali non hai tempo di pensare, ti muovi spinto dall’istinto. Corri dei rischi: e io non sono un portiere che sta sul palo e prega. Il carattere, prima che l’impostazione tecnica, mi spinge a uscire: sono arrivato su quel pallone, però è vero che non l’ho smanacciato bene. Spesso le azioni sono determinate anche da un pizzico di fortuna. Se la palla respinta fosse finita tra i piedi di un compagno e non su quelli di Cavani, l’avrei passata liscia».
Domenica c’è Torino-Bologna: come si è lasciato con la società rossoblù?
«Il rapporto con i compagni, come quello con Pioli, è ottimo. Anche nei confronti dei dirigenti, da parte mia, non c’è alcuna acredine. Il Toro mi ha voluto, il Bologna ha accettato l’offerta del mio attuale club e io sono tornato volentieri a lavorare con Ventura. Non c’è altro. Anzi, qualcosa c’è. Colgo l’occasione per mandare un saluto al mio amico Gianni Morandi: persona splendida, semplice ma densa di valori».
La gara contro la sua ex squadra arriva dopo il trittico con Parma, Lazio e Napoli. Al ko contro i gialloblù ha fatto seguito il doppio 1-1 in trasferta. Buona reazione, eppure nel complesso sono arrivati solo due punti sui nove a disposizione. Manca qualcosa, in classifica?
«Sì, ci mancano i punti persi contro il Parma. Quella sconfitta ci è rimasta sul gozzo, e non sapete quanto. Stavamo giocando bene; alla peggio, senza il rosso a Sansone, sarebbe finita 0-0. Non è stato semplice digerire quel ko, ve lo assicuro».
Dalla bocca impastata di rabbia e polvere alla gioia negli occhi: la settimana di Sansone, tra Parma e Napoli, è stata da cuori forti. Quanto lo avete menato, dopo l’1-1?
«Mi viene da ridere se ripenso a quando, a fine gara, è entrato negli spogliatoi. Pareva un pugile, tanto era rintronato: dalla gioia, ma soprattutto dalle botte prese. Scusate ma l’immagine è troppo divertente: dovevate vederlo, barcollava».
Contro il Bologna urgono le proverbiali conferme. E ovviamente i tre punti in casa che mancano da troppo tempo, dalla gara col Pescara.
«Concordo, quella che ci attende è una partita fondamentale: è uno scontro diretto, dobbiamo tornare a vincere in casa. Per noi stessi e per la nostra gente. Nelle ultime due gare abbiamo fatto due punti, ora ne servono tre. Siamo chiamati a dare un segnale positivo, mai come adesso c’è da puntare al successo».
Le traiettorie disegnate dal mancino di Diamanti sono tra le più imprevedibili della serie A?
«Diamanti è un gran brutto avversario, i suoi calci da fermo o in movimento, anche da lunga distanza, sono complessi da interpretare. E’ un pericolo pubblico quando tira in porta, ma anche quando con un’intuizione mette un compagno davanti alla porta».
E, sovente, il compagno è un tal Gilardino.
«In area è una tassa. Nella capacità di trovarsi al posto giusto, in Italia, ha pochi rivali».
Lei nella passata stagione è stato con Pioli: Ventura le ha chiesto qualche parere sul lavoro del collega?
«Nulla di particolare. Il nostro mister ha l’occhio esperto, non ha bisogno di consigli per inquadrare gli avversari».
Fino alla fine Stefano Pioli: questo lo striscione esposto dai tifosi rossoblù nell’ultima gara giocata al Dall’Ara dal Bologna. Squadra che era reduce da quattro ko: i tifosi del Torino sarebbero pronti a vergare identico messaggio, in difesa di Ventura?
«Pioli è ben voluto dalla gente per i risultati ottenuti nella passata stagione e per l’uomo che è. Allo stesso modo Ventura è caratterialmente apprezzato dai tifosi granata, i quali, inoltre, lo ringraziano per la promozione. Quindi, per difenderlo, penso proprio che sarebbero pronti a esporsi».
Da una (mezza) papera al cospetto di Cavani alla cicogna in arrivo. Tra due mesi nascerà suo figlio. Dove?
«Al Sant’Anna di Torino. Ho proposto a mia moglie Adriana di andare a Bari per partorire vicina alla sua famiglia. Lei ha preferito che fossi io a occuparmi di lei. E poi sappiamo che il SantA’nna è un’ottima struttura ospedaliera. Nostro figlio nascerà in Italia e avrà nome italiano. Quale non si sa ancora, lo stiamo decidendo».
Più di altro, cosa augura a suo figlio?
«La salute, il resto è secondario».
Lo stato d’animo dal quale, potesse, lo preserverebbe?
«L’invidia, e nel calcio ce n’è tanta. In parte arrivo a capirla, ma quando è portata all’eccesso è quanto di più triste possa capitare a un uomo. Comunque la vita è fatta di qualche soddisfazione e tante mazzate sui denti. Per quanto possibile, io e mia moglie saremo lì anche per spiegargli qualcosa, se non proprio per proteggerlo dalle bastonate. Gli daremo una mano, insomma».
La persona con la quale lei è cresciuto?
«Mio fratello Pierre. Vive in Belgio, è un ingegnere industriale. Abbiamo uno splendido rapporto, è un ragazzo molto intelligente».
Una gita con Pierre e suo figlio: dove li porta?
«A Roma, la città più bella al mondo. Poi nei luoghi dove sono vissuto: a Bari e più in generale in Puglia, quindi a Torino. Magari sarà l’occasione per girarla più di quanto non stia facendo ora. Tra gli impegni con la Nazionale, le trasferte e il prossimo parto di Adriana non ci sono state molte opportunità per visitare la città».
Il viaggio, adesso: dove andrete un giorno?
«In Messico, l’aria di quel paese mi è rimasta nel cuore. Potremo fare base a Cancun, quindi andare a visitare le rovine di Tulum e Chichen Itza. Bei luoghi, sacri a distanza di secoli».
Ecco, che ruolo ha il sacro nella sua vita?
«Sono di famiglia cattolica. E cattolica è pure Adriana. A nostro figlio daremo il battesimo».
Dal sacro ripiombiamo al profano: al Toro manca l’apporto decisivo di Cerci. Come lavora l’esterno durante la settimana?
«Sta entrando in forma, ha fatto un duro lavoro. La gamba è già importante, ma è destinato a migliorare ancora».
A Napoli lei ha parzialmente riscattato l’errore iniziale su Cavani spingendo nel finale Hamsik a calciare sull’esterno della rete. Come sempre in carriera, non ha fatto in tempo a commettere lo sbaglio che già l’aveva superato. Come ci si scolpisce, nel granito?
«Io sono fatto così. Come quando, dopo un impegno con la Nazionale, prendo il primo volo disponibile e torno a disposizione del Torino. Guardo avanti, all’appuntamento successivo. Sono uno che vuole arrivare prima, sempre. Non sono mai stato considerato un fenomeno, e senza la cura per i dettagli non avrei avuto questa carriera. Se non ti muovi per primo, ti mangiano la merenda: questa è la vita».
Cos’ha un belga, che, per massimi sistemi, non ha un italiano?
«Se penso ai tempi di Bari, dico la puntualità. All’inizio non me ne capacitavo. Se mi davano un appuntamento alle otto, arrivavano con almeno mezzora di ritardo. Mi arrabbiavo, poi ho capito che è un modo di vivere, forse anche un’arte di vivere. Dal vostro Paese ho preso tanto, vivo in Italia da 14 anni… Però continuo a essere puntuale».
Per quante stagioni vorrebbe ancora giocare?
«Accetterò contratti finché non inizierò a essere imbalsamato. Non mi vedo a volare tra i pali ai due allora».
E poi?
«Resto nel calcio. Dove e a fare cosa non lo so. Ma voglio continuare a guadagnarmi da vivere grazie a un pallone».