2012
Lo strano caso di Dybala: tecnica alla Cavani, approccio alla Pastore
Palermo è città di mare, città calda sia a livello climatico che nei rapporti interpersonali. Tutto si vive alla giornata, ma con grandi sogni nella testa e nel cuore. E nel calcio, nulla è diverso: da dieci anni il club è guidato da Maurizio Zamparini, uomo del Nord solo a livello anagrafico, vista la sua vulcanicità che spesso lo porta a compiere scelte sbagliate. Un pò come i palermitani, del resto. E in quanto terra di approdo a luogo sempre affine con le conquiste e gli sbarchi (ma qui si divaga in ambito storico), Palermo ha sempre affascinato gli stranieri, specie se arrivano dalle terre tanto care a Cristoforo Colombo.
Proprio nel decenno zampariniano, infatti, tanti sono stati i sudamericani che hanno indossato la maglia rosanero, con risultati alterni e spesso legati all’impatto con l’ambiente, più che a quello con il campo. Ricordare ai tifosi palermitani i nomi dei vari Ernesto Farias, Mariano Gonzalez, Adriano Pereira, Tulio de Melo, Joao Pedro, Pablo Gonzalez e Franco Vazquez potrebbe causare qualche disturbo, perciò limitiamoci a quei giocatori che la storia del Palermo l’hanno fatta o hanno provato a farla, ma nel senso giusto.
In primis Edinson Cavani, attaccante accusato di sbagliare troppo sottoporta ma anche costretto a compiere un lavoro extra, a causa della sua generosità ma anche della necessità di mantenere un Miccoli più fresco possibile in fase realizzativa: cio non è bastato a rendere Edi un idolo incontrastato del popolo rosanero, com’è accaduto per il suo compagno di reparto, ma gli è sicuramente servito per guadagnare prima la maglia da titolare (e i conseguenti elogi) al centro dell’attacco del Napoli, e poi il ruolo di faro offensivo della sua Nazionale, capace di arrivare terza ai Mondiali nel 2010 e sul tetto dell’America un anno dopo. Dopo Cavani, è stata la volta di un sudamericano strano, all’apparenza più simile a una matricola universitaria che a un predestinato del futbol: è Javier Matias Pastore, nato fisicamente e calcisticamente a Cordoba e diventato un ‘figlio del Barbera’ a piccole razioni. Le prime partite del suo Palermo le ha viste in panchina assieme a un Walter Zenga che non sapeva che pesci prendere e che gli ha quasi sempre preferito Simplicio (toh, un sudamericano). Poi per fortuna del Flaco e della squadra, è arrivato Delio Rossi, che ha capito come gestire il talento argentino e lo ha messo praticamente al centro del suo progetto: in due stagioni, con Pastore sempre in campo, è stata prima sfiorata la qualificazione in Champions League e poi, nell’annata successiva, la conquista della Coppa Italia.
Nella gerarchia, o presunta tale, del rapporto tra i sudamericani e la piazza di Palermo, il prossimo step dovrebbe essere rappresentato da Paulo Dybala, per il quale i tifosi rosanero sono pronti ad appellarsi a ‘Chi l’ha visto?’, visti gli appena 37 minuti in cui il baby attaccante ha visto il campo in questo inizio di stagione. Appena il 6% del minutaggio complessivo della squadra, in un tormentone che rischia di assumere gli stessi contorni assunti tre anni fa, nei giorni in cui si discuteva dello scarso utilizzo di Pastore. Stessa nazionalità, stesso (poco) utilizzo alle prime apparizioni della squadra. Qualcuno potrebbe dire che Dybala è l’erede del Flaco. Ma c’è qualcosa da non sottovalutare, ovvero le sue doti e il suo ruolo: Paulo è molto più vicino a Cavani che non al suo illustre connazionale, che nel frattempo forse si mangia le mani per un addio, forse anticipato, alla piazza che si è tenuta un pezzo del suo cuore.
Talento alla Cavani, destino simile a quello di Pastore: Paulo Dybala è soprattutto questo. Prendere o lasciare. Sarà difficile scalzare l’inamovibile capitan Miccoli dal ruolo di punta titolare. Ancor più difficile, quasi impossibile, sarà scalzarlo dal cuore dei palermitani, ma in un calcio in totale divenire niente è da escludere. Specialmente di fronte a un talento che deve ancora sbocciare, e i tifosi palermitani si aspettano che questo momento arrivi presto.