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Diritti tv: come cambierebbe la Serie A col modello Premier

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Diritti tv: Serie A spaccata, le piccole chiedono alle grandi di ridiscutere la distribuzione degli introiti sul modello della Premier League. Ecco cosa cambierebbe in Italia con l’applicazione dei parametri inglesi…

La battaglia sui diritti tv della Serie A è iniziata da un po’, ma rischia di arrivare in breve tempo al punto di rottura o, anzi, di non ritorno. Sei club su venti che popolano la Lega di massima serie (Juventus, Inter, Milan, Napoli, Roma e Fiorentina) hanno abbandonato il tavolo delle trattative riguardo alla discussione che aveva, come tema centrale, la possibile elezione di un nuovo manager a capo della Lega stessa. In verità, come spiegato dall’amministratore delegato rossonero Adriano Galliani, la questione è un’altra e riguarda appunto la ridiscussione dei parametri che dovrebbero portare alla spartizione dei diritti. I piccoli club chiedono più soldi, quindi di fatto una distribuzione più equa rispetto a quella attuale che vede le super-potenze protagoniste. Tanto per basarci su un esempio concreto, la passata stagione la Juventus campione d’Italia ha incassato 103 milioni di euro di diritti tv, Milan e Inter 78, Roma 72, Napoli 69, Lazio 55 e Fiorentina 51. Frosinone, Carpi ed Hellas Verona, poi retrocesse, rispettivamente 21, 22 e 27 milioni. Tra prime e ultime della classe insomma la forbice è ampia e tutto questo, secondo i piccoli club, non favorisce la competizione. I grandi club però oppongono come motivazione a tale sbilanciamento la più ovvia: i grandi club, messi insieme, rappresentano l’80% di tutti i tifosi ed appassionato di calcio in Italia.

Diritt tv e modello Premier: cosa succede in Inghilterra

Il modello a cui si ispirano le piccole è quello della Premier League e l’oggetto della discussione riguarda proprio la possibile introduzione di un metodo di spartizione più vicino a quello inglese: non è un caso che in Inghilterra la competizione tra grandi e piccoli o medi club sia più serrata e che spesso, a spuntarla, siano proprio squadre di media o bassa classifica (il Leicester City è solo l’ultimo enorme esempio, mentre da noi una non favorita non vince il campionato almeno dai tempi della Sampdoria, anno 1991). Se in Italia dunque viene spartita la torta soltanto del 40% dei diritti tv incassati (il resto finisce nelle casse della Lega per l’organizzazione del campionato e l’aiuto dei club in difficoltà), in Premier i club si spartiscono la metà esatta degli introiti. Non è tutto: in Italia il 30% di tale fetta di torta viene distribuita in base ai risultati conseguiti nel corso della stagione (in Inghilterra il 25% invece), mentre l’altro 20% sulla base di parametri riguardanti il prestigio dei club, i risultati delle cinque passate stagioni e i dati del tifo misurato con delle ricerche statistiche. In Premier League semplicemente l’altra parte dei diritti tv viene distribuito in base al numero di partite di quel club che è stato trasmesso sulle varie emittenti satellitari (ma si tratta solo di una parte, non della totalità delle partite come avviene invece da noi).

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Diritti tv e modello Premier: come sarebbe da noi

Dunque, provando ad applicare gli stessi parametri della Premier al nostro campionato, la Juventus vedrebbe dimezzati i propri introiti in pratica (da 103 a 58 milioni circa), ma pure il Napoli perderebbe un po’ (da 69 a 57) e, a cascata, tutte le altre big (Inter e Milan calerebbero da 78 a 55 e 53 rispettivamente, la Roma da 72 a 56, la Lazio da 55 a 48). Curiosa la posizione della Fiorentina, che guadagnerebbe esattamente la stessa cifra (51 milioni di euro) con entrambi i modelli distributivi: così si spiegano le parole del presidente dell’Empoli Fabrizio Corsi che ha apertamente accusato di incoerenza i viola. Non si tratta di un fatto marginale, perché per cambiare le regole nella Lega di A servirebbero almeno 15 voti, al momento ce ne sarebbero al massimo 14 (da valutare la posizione di mezzo del Chievo Verona, che non si è schierato con le piccole) escludendo appunto le sei grandi. Tornando invece al modello Premier applicato alla Serie A, sarebbe ovvia la crescita dei club medi e piccoli: per capirci il Frosinone l’anno scorso avrebbe incassato, seguendo i parametri inglesi, non 21 ma ben 37 milioni, il Sassuolo non 32 ma ben 46 milioni, la Sampdoria non 37 ma 42 milioni, il Torino non 41 ma 46 milioni. Sarebbe tutta un’altra storia…

Diritti tv: la Serie A a 18 squadre non convince

Altro tema ampiamente dibattuto riguarda il possibile ritorno della Serie A a 18 squadre dalle 20 attuali. In realtà qui la questione si capovolge però: non sono i grandi club a non volere la diminuzione (anzi, alle big farebbe comodo giocare meno partite per poter meglio preparare quelle europee), ma proprio le piccole. Il motivo? Oltre alla possibilità di per sé di avere due squadre in più in Serie A, c’è proprio il nodo relativo alla competitività del campionato, che perderebbe parecchio perdendo due team creando un maggiore squilibrio tra le grandi e le piccole. Sì, perché passando da 380 a 306 partite in una stagione, diminuirebbe ovviamente la quota dei proventi dei diritti tv delle emittenti e dunque la quota di introiti da distribuire: chi ci perderebbe? Le piccole, ovvio, visto che sia il bacino di utenza sia i risultati sportivi delle grandi non verrebbero minimamente minato. Tradotto: diminuendo gli introiti tv, la fetta da distribuire sarebbe meno ampia, ma ad essere tagliata sarebbe immediatamente la parte delle piccole, non quella delle grandi…