2012
L?unica maglia a cui appartiene
Ne ha cambiate due, quelle di Inter e Manchester City, ne ha indossato un’altra per scherzo, chi non ricorda quella serata in cui Valerio Staffelli lo convinse a vestire la maglia del Milan. Era un giocatore dell’Inter allora, ma non troppo nerazzurro da evitare un imbarazzante episodio. La maglia dell’Inter poi l’ha anche buttata a terra, dopo un memorabile Inter-Barcellona in segno di disprezzo verso un San Siro che quella notte venerava tutti i suoi figli ma fischiava lui.
Ora gioca in Premier League, nel campionato attualmente più strutturato del pianeta e in una delle squadre maggiormente accreditate, eppure l’enorme potenziale che sprigiona oltremanica è soltanto una parte di quanto Mario Balotelli è in grado di fare. Una esperienza che ha colto al volo, un treno che non poteva far finta di non guardare: il ricongiungimento con l’allenatore che lo aveva lanciato nel calcio dei grandi, lui grande tra piccoli coetanei, la possibilità di vincere – come del resto gli sta accadendo – trofei in un campionato straniero dopo aver vinto tutto in Italia. Con quel qualcosa che manca: quel senso di appartenenza alla causa, alla maglia, che, come ai tempi dell’Inter, non si è mai concretizzato del tutto.
Il calciatore deve essere prima di ogni cosa un professionista, asseriscono quelli bravi. E’ così, certo, ma Mario Balotelli è un emotivo che vive sull’onda delle sensazioni. Positive e negative. Che si esalta se messo al centro di un progetto, se si sente davvero nel cuore e nella pancia di un qualcosa, se avverte che qualcosa gli appartiene. Che qualcosa possa persino dipendere da lui, uno di cui tutto si può gridare tranne che si intimorisca di fronte alle famigerate responsabilità. Che non è nato per fare il comprimario, l’attore non protagonista: poi gli può riuscire bene anche quello, talmente forte è, ma quel “quello” non è Mario Balotelli, o meglio rischia di tradursi nel peggior fenomeno del personaggio da prime pagine dei giornali non per merito ma per altro.
Super Mario Balotelli quando gioca con la maglia della nazionale sorride. Alle volte ride addirittura. E piange se perde. Ed esulta quando segna. Esulta pure tanto. Sì, addirittura, sembra quasi un ragazzo di 22 anni felice per quello che sta facendo. Poi torna nel club, Inter, Manchester o chi per loro e rispolvera la maschera del tenebroso, del duro, del non soddisfatto. Bando alla retorica dei soldi, che chi ha il portafoglio pieno deve sempre ridere: sì, c’è chi sta peggio di lui, lui che tira due calci ad un pallone e guadagna milioni, ma Mario Balotelli questi due calci al pallone li tira meglio di tanti altri, forse come pochi, pochissimi al mondo. E, anche grazie al saggio Prandelli, con quella maglia azzurra sulle spalle è devastante. Un ciclone che corre a perdifiato verso Brasile 2014 con quelle spalle talmente larghe da non aver paura di nessuno.