Ed era rossa la sua bandiera - Calcio News 24
Connect with us

2015

Ed era rossa la sua bandiera

Avatar di Redazione CalcioNews24

Published

on

zampagna

Riccardo Zampagna, la sua carriera e i suoi valori: una vita segnando in rovesciata

Ci sono mattine a Borgo Rivo in cui il sole c’è ma non si vede, tanto è nascosto dietro ai palazzoni. In inverno alle sei è ancora buio, ma in estate sono le ombre degli edifici a rendere un po’ più cupa l’atmosfera. A quell’ora praticamente tutta Rivo si alza per andare a lavorare, cominciano ad apparire le prime luci alle finestre e i portoni dei condomini si aprono per far uscire la prima fiumana di gente che dalla propria abitazione si riversa perlopiù nelle acciaierie. La chiamano la Manchester d’Italia Terni, forse per darle un tocco di esotico che non le potrebbe appartenere mai e poi mai, neppure a sforzarsi. Almeno Manchester ha una bella scena musicale e una squadra che gioca in Europa, Terni invece ha la Ternana, che in Serie A c’è stata due volte e basta. E a ben vedere non si ricordano band famose del sud dell‘Umbria, proprio no. Una settimana in fabbrica e la domenica al Liberati in Curva Est tra i tifosi delle Fere, una routine che hanno in molti a Terni, la Manchester d’Italia. C’è anche un ragazzo che si alza alle sei la mattina e stacca da lavoro all’incirca verso le tredici, ha smesso di andare a scuola al quarto anno di ragioneria perché non era la sua vocazione nonostante non sia uno sprovveduto. Ogni feriale che dio mette in terra questo ragazzo va a montare e smontare tende da tale signor Ricciutelli e ogni 28 del mese si prende le sue ottocentomila lire. Una cifra del genere però arriva anche dal presidente dell’Amerina perché questo tappezziere è sì un lavoratore, un appartenente alla working class ternana che è pronto anche a difendere i diritti dei suoi colleghi visti i suoi ideali parecchio ma parecchio rutilanti, però è anche uno di quelli in Curva Est al Liberati vanno una domenica sì e una no, come da calendario. Ha il calcio nel sangue oltre ai fumi delle acciaierie, si chiama Riccardo Zampagna e ha solamente ventidue anni e ancora non sa che più di dieci anni dopo si troverà sommerso dai tifosi in un autogrill del Centro Italia.

LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO – Quando ha ventidue anni Zampagna non ha ben chiaro cosa fare della sua vita. Il padre Ettore sta per andare in pensione e potrebbe lasciargli il posto in acciaieria, quindi addio tende da sole e gazebo e benvenuti ferro e carbonio. Il signor Zampagna però ha messo in guardia il figlio, perché andare in acciaieria è un buon viatico per tenere in piedi economicamente una famiglia ma la vita ha ritmi insostenibili, quasi come nei film di Elio Petri: si lavora e basta, nessuno regala nulla, figuriamoci un complimento. Zampagna vorrebbe continuare a giocare a calcio ma è ancora fermo nelle categorie minori a Amelia, quasi mezz’ora dalla sua Terni. Per essere forte, è forte anche se più che bravo lo si definirebbe atipico. Ha un fisico da prima punta e infatti gioca prima punta, i movimenti non sono bellissimi da vedere ma il tocco di palla ricorda i grandi numeri dieci che stanno imperversando in Serie A in quel periodo. Già, la Serie A, così bella e così lontana. Eppure basterebbe la C2, al massimo la D, ma per Zampagna non arriva nulla e decide di andare a lavorare. La famiglia di Riccardo è dedita al lavoro ma anche ai diritti dei lavoratori, il cuore è a sinistra in tutti i sensi e anche la mentalità è quella. Berlinguer e Che Guevara come idoli, Fromm come prima e unica lettura, partecipazione fissa a tutti i cortei degli operai: questo è il secondo settore, questa è la Manchester d’Italia. Gli Zampagna sono gente umile che si stupisce quando deve mettere (o comprare) le catene da neve, la madre Franca – come ogni mamma d’Italia – si emoziona quando il figlio finisce sulle cronache sportive locali, anche se la primavera calcistica tarda ad arrivare. A un certo punto Riccardo Zampagna dice basta, è pronto a lasciare il calcio e entrare in acciaieria quando una chiamata improvvisa scuote la stabilità del giovane Riccardo. Lo chiama il Pontevecchio, che pure è sempre Umbria ma da Terni a Ponte San Giovanni ci sono ottanta chilometri e Zampagna non ha la macchina. Poco male, il padre coi soldi della pensione gli compra una Tipo e la vita di Riccardo svolta del tutto. Nel 1996-97 il ragazzo grossotto ma dai piedi fatati sbarca al Pontevecchio in Serie D anche se l’approdo in Interregionale non muta le abitudini: la mattina dal signor Ricciutelli, a pranzo un panino e poi allenamenti col Pontevecchio. Tutto questo fin quando un altro umbro non interviene nella vita di Zampagna grazie a una registrazione di una gara dei ponteggiani a Narni, che poi è quasi Terni. L’altro umbro ha una faccia da caratterista di Holywood, come Riccardo ha una passione per il tabagismo e usa parole che poco si addicono al volto greve ma nel complesso danno al personaggio un’aura di sacralità. Si chiama Walter Sabatini, fa il direttore sportivo e lo porta con sé alla Triestina nel 1997, vale a dire ingresso nel calcio dei professionisti. Il peggio va a Ricciutelli, che perde uno dei tappezzieri migliori.

ACCIAIO – Zampagna si fa subito un nome nelle categorie inferiori perché ha una media gol impressionante e anche con gli alabardati non si smentisce. Colpisce soprattutto la sua grinta in campo da vero combattente, da working class hero, inconsciamente diventa il manifesto di tutti coloro che partendo dal nulla ce l’hanno fatta. Segna molto e segna principalmente gol belli, pare non aspettare altro che il pallone si alzi per colpirlo al volo. Se poi è spalle alla porta allora Zampagna fa quel che gli riesce meglio, un’acrobazia, una rovesciata, una sforbiciata per mandare sempre e comunque la palla in rete. Va a Arezzo, poi passa al Catania di Gaucci e da lì prima al Brescello e poi al Perugia in Serie A. Il sogno pare essersi realizzato per l’ex tappezziere ternano ma i perugini lo danno in Serie B al Cosenza, dove esplode letteralmente. 10 gol in 29 partite e un rapporto super con la tifoseria, anch’essa con ideali molto di sinistra – e sarà un refrain da tenere sott’occhio, Zampagna e le tifoserie sinistrorse vanno d’accordo. Dopo Cosenza c’è Siena e dopo Siena c’è Messina sempre in Serie B, 30 gol in due stagioni gli valgono nell’estate del 2003 il trasferimento della vita, seppur in compartecipazione. Zampagna torna a Terni e al Libero Liberati, ma stavolta non in Curva Est bensì sotto la Curva Est a esultare con il pugno alzato e la maglia rossoverde numero nove della Ternana sulle spalle. Fin dall’esordio in Serie B con le Fere la stagione sarà un tripudio e finirà dopo quarantun partite e ventun gol, molti dei quali di una bellezza rara per quel fisico più adatto al Cervaro e alle ceriole di Mamma Franca che a un test di Cooper. Il 2003-03 è la miglior stagione della sua carriera e ormai per Zampagna è il massimo: gioca nella squadra della sua città e non potrebbe chiedere di più, ha allontanato del tutto lo spettro delle acciaierie e può fare da profeta in patria, il mancuniano con quell’accento ternano che tronca i verbi e salta le vocali. Segna e corre sotto la curva dove ci sono gli amici e i parenti, gioca da dio e si tuffa in continuazione per colpire la palla col collo del piede o di testa, dando senso anche al più banale dei tap-in. A trent’anni da compiere, nell’estate del 2004 però succede il fattaccio, arriva la Serie A. Normalmente la massima serie è un punto d’arrivo per chiunque a qualsiasi età ma Riccardo non la vuole, lui vuole solo le Fere, vuole fare il condottiero nella sua terra, la Manchester d’Italia. Implora di non essere venduto e crede di non essere all’altezza della Serie A, ma non c’è niente da fare e il Messina lo riscatta.

PUGNI CHIUSI – Per un attaccante che danza nonostante un fisico tutt’altro che esile e che ha vissuto una carriera sulle montagne russe l’esordio in Serie A non può che essere un turbinio di emozioni. Il 19 settembre 2004 al San Filippo di Messina arriva la Roma e a dodici minuti dalla fine il punteggio è di tre a tre con tripletta di Montella. A un certo punto Zampagna sfrutta un retropassaggio sbagliato della difesa della Roma e si invola al limite dell’area con i difensori giallorossi – in verde quel giorno – che lo seguono ma gli rimangono a un metro di distanza. Pelizzoli esce dalla porta e cerca di coprire più spazio possibile in porta, Zampagna ormai è di poco dentro l’area e decide di calciare. Nessun tiro di piatto o di collo per cercare di bucare Pelizzoli, bensì un lob di destro dolce e delicato, fatto con la spavalderia di uno che segnerebbe così anche al Castel Rigone. Il pallone si alza e si abbassa con una balistica perfetta, Zampagna timbra l’esordio in Serie A col gol del 4-3 che significa vittoria per il Messina. Tre giorni dopo un suo tuffo di testa a San Siro darà i tre punti contro il Milan nell’infrasettimanale: è iniziata la conquista di Zampagna alla Serie A. Tutta Italia adesso conosce Riccardo Zampagna, il tappezziere diventato bomber che non fa mai gol banali. È un anno d’oro per lui, ma per capire realmente chi è Zampagna e cosa è soprattutto Zampagna bisogna andare al 16 gennaio 2005, dieci giorni dopo il saluto romano di Di Canio nel derby della Capitale. Riccardo ha da sempre simpatie comuniste, non lo ha mai nascosto e, anzi, in ogni intervista parla dell’esperienza da operaio e della fede verso Ernesto Guevara de la Serna. Quella domenica il suo Messina – il cui presidente Franza è vicino a ambienti del centrodestra, cosa da sottolineare – è ospite del Livorno, che si è sentito in pratica defraudato dal gesto di Di Canio. Zampagna lo sa e si dirige verso la curva livornese con il pugno sinistro alzato a sancire un gemellaggio politico ancor prima che calcistico. Ma, si sa, calcio e politica non vanno d’accordo e quindi a Zampagna arrivano diecimila euro di multa, che per responsabilità oggettiva dovrà pagare pure Franza, non felicissimo si suppone. Ma tant’è, questo è Zampagna, prendere o lasciare. Ribelle e mai domo, indietro solo se deve prendere la rincorsa, con il pugno alzato quanto le gambe quando deve sforbiciare in rete un cross dalle fasce.

REBEL REBEL – Il primo anno di Serie A è favoloso con dodici gol all’attivo, nel secondo le cose vanno un po’ peggio ma a gennaio 2006 ecco un’altra svolta clamorosa, un altro amore incondizionato con una curva di sinistra: quella dell’Atalanta, che il caso vuole essere gemellata proprio con la Ternana. A Bergamo segna sei gol decisivi per la risalita in Serie A della Dea ma soprattutto stringe un legame con la Curva che va al di là della semplice amicizia, è un rapporto di passione contraccambiato ai massimi livelli. Ogni partita Zampagna entra in campo e dà tutto, va ancora una volta in doppia cifra in A e soprattutto mette dentro alcune acrobazie incredibili. Una di queste è nel derby contro il Brescia: Zampagna stoppa male e rovescia dal limite battendo il portiere che tutto avrebbe immaginato fuorché un tiro così. Dedica al gol alla madre perché alla famiglia deve tutto e non lo dimentica mai, è un ragazzo con la testa sulle spalle, anche se spalle alla porta ovviamente. Finisce anche l’avventura di Bergamo dopo due anni esatti e va al Vicenza, poi segna ancora col Sassuolo quando succede la famosa scena dell’autogrill: i tifosi dell’Atalanta bloccano il pullman sassolese solo per celebrare Riccardo Zampagna, una cosa mai vista. Dopo l’Emilia c’è la Carrarese e infine l’addio al calcio prima di passare in panchina all‘Associazione Comunista Sportiva Dilettantistica Primidellastrada e poi al Macchie, in un paesino fatto di operai e caccia al cinghiale dove vince la Prima Categoria. Nella mente di tutti gli sportivi o amanti del calcio rimane però il suo addio al calcio, un’amichevole a scopo benefico che non poteva che giocarsi tra Ternana e Atalanta. Un sacco di amici ed ex compagni lo celebrano assieme alle tifoserie gemellate in un Liberati ricolmo di gioia e di commozione. Lui, l’attaccante comunista, finisce la partita con la maglia dell’Atalanta e la bandiera della Ternana sotto una Curva Est che sa di aver perso uno dei suoi, non un semplice calciatore ma un compagno. Questo ci resta di Zampagna: un ribelle che come Marlon Brando non va a ritirare l‘Oscar, anche se al gol più bello e non come attore. Un ragazzo venuto su dal nulla, cresciuto con dei valori ben precisi che non ha mai rinnegato, un calciatore atipico che non poteva far parte dello star system. Ma soprattutto un umbro dalla testa dura, che faceva le rovesciate perché le aveva viste fare a suo padre sotto la neve al freddo invernale di Terni. Uno che voleva essere felice e c’è riuscito grazie alle acciaierie, nonostante le acciaierie.