Serie A
2025, l’anno che il “Grande Calcio” del passato ha perso tanti personaggi illustri. Il racconto
Dicembre 2025. Si chiude un anno che, calcisticamente parlando, ci lascia con un senso di vuoto profondo, diverso dalle solite delusioni di campo. Non è stata una stagione di sole sconfitte sportive, ma un lungo, doloroso addio a pezzi fondamentali della nostra memoria collettiva. Il 2025 sarà ricordato come l’anno in cui il “Grande Calcio” del passato, quello che ha costruito l’immaginario di generazioni, ha perso i suoi pilastri più solidi, lasciandoci improvvisamente più soli e più poveri di storie.
La colonna sonora dei nostri ricordi. Il colpo più duro per la nostalgia nazionalpopolare è stato perdere la Voce. Bruno Pizzul non era solo un telecronista; era il rassicurante zio che ci accompagnava nelle notti magiche e in quelle amare. Il suo “Tutto molto bello”, la sua garbata competenza, il suo timbro inconfondibile erano la coperta di Linus dell’Italia che si fermava davanti alla TV. Con lui se ne va l’eleganza del racconto sportivo. Un’eleganza che apparteneva anche a Carlo Sassi, l’uomo che inventando la “moviola” cambiò per sempre il nostro modo di discutere di calcio al bar e in salotto, trasformando l’episodio dubbio in scienza (e polemica) esatta.
Tra i pali del mito. Il 2025 è stato spietato con i guardiani della porta, portandosi via due figure mitologiche che hanno attraversato la storia di Milano. Ci ha salutato Fabio Cudicini, il “Ragno Nero”, l’eleganza fatta portiere nel Milan di Rocco, capace di volare da un palo all’altro con una leggerezza che smentiva la sua statura imponente. E poco dopo lo ha seguito Lorenzo Buffon, patriarca di una dinastia di numeri uno che arriva fino ai giorni nostri, cugino del nonno di Gigi, anello di congiunzione tra il calcio in bianco e nero degli anni ’50 e l’era moderna.
Il vento della Grande Inter e lo stile dei Presidenti. Milano, sponda nerazzurra, ha pianto lacrime amare. Se n’è andato Jair da Costa, la freccia brasiliana della Grande Inter di Helenio Herrera. Quando partiva sulla fascia destra, San Siro tratteneva il fiato: velocità pura al servizio di una squadra leggendaria.
Un’Inter vincente, come quella di Ernesto Pellegrini. L’addio all’ex presidente, l’uomo dello Scudetto dei Record del 1989, ha chiuso definitivamente l’era dei “presidenti gentiluomini”, quelli che mettevano il cuore e il portafoglio davanti ai fondi d’investimento, guidando il club con uno stile e una passione oggi introvabili.
I rivoluzionari e i combattenti. Ma il calcio è fatto anche di idee e di battaglie. Il 2025 ci ha tolto il profeta della zona, Giovanni Galeone. Il suo Pescara non era una squadra, era un manifesto estetico: spregiudicato, divertente, votato all’attacco. Un maestro che ha insegnato a tanti (Allegri e Gasperini su tutti) che si può vincere anche divertendo. Sul fronte opposto, quello della grinta e della polemica mai banale, ci ha lasciato Aldo Agroppi. Prima mediano “ringhioso” del Toro, poi opinionista televisivo che non faceva sconti a nessuno, una voce fuori dal coro che mancherà in un mondo sempre più omologato.
E una battaglia diversa, quella per i diritti, l’aveva combattuta Sergio Campana. Lo storico fondatore dell’Assocalciatori è stato il “sindacalista” che ha trasformato i giocatori da semplici pedine in professionisti tutelati, cambiando per sempre gli equilibri di potere nel nostro mondo.
Lo strappo doloroso. Se gli addii ai grandi “vecchi” portano con sé la malinconia del tempo che passa, una ferita diversa, acuta e ingiusta, è stata la scomparsa di Diogo Jota. L’attaccante portoghese del Liverpool, nel pieno della carriera, è stato il dramma che non ti aspetti, lo schiaffo che ci ricorda quanto tutto sia fragile, anche per gli atleti che sembrano invincibili.