2012
Un gioco davvero equo?
Sulle testate nazionali e su alcuni dei principali siti che si occupano di calcio si leggono in questi giorni molti articoli riguardanti gli atti delle società di calcio italiane ed europee al fine di rientrare nei parametri UEFA del cosiddetto Fair Play Finanziario. Quasi tutti puntano l’attenzione sul contenimento dei costi. È doveroso infatti per tutti ridurre drasticamente le spese dovute in misura principale agli ingaggi dei calciatori, ma al contempo tentare di aumentare i ricavi (diritti TV, indotto da stadio, merchandising e vittorie/qualificazioni in Europa), in quanto il nucleo della legge UEFA prevede che progressivamente entro il 2016 nessun club affiliato possa spendere più di ciò che guadagna.
Certamente, un effetto visibile in Italia si è avuto già da quest’anno con la riduzione, fatta eccezione per la Juventus, del monte stipendi e con un evidente contrazione dell’ammontare dei prezzi dei trasferimenti, così come da una presenza maggiore di giocatori provenienti dal vivaio o da serie inferiori.
Grazie a importanti cessioni all’estero per la prima volta in tanti anni la Serie A chiude con un saldo attivo un sessione di mercato: complessivamente 380M€ in uscita contro 390M€ in entrata (fonte transfermarkt.de)
Gran parte delle squadre italiane ha infatti optato per acquisti a parametro zero o per prestiti con diritti di riscatto, a prezzi che, l’anno prossimo, sempre che il riscatto avvenga, difficilmente corrisponderanno a quanto pattuito in origine.
A proposito di cessioni all’estero, le italiane, soprattutto il Milan con le cessioni di Ibrahimovic e Thiago Silva, ed il Napoli con quella di Lavezzi, hanno ritenuto necessario monetizzare al meglio le cessioni di questi giocatori chiave a fini di risanamento del bilancio.
C’è infatti un particolare forse non sottolineato a sufficienza dai media ovvero che le squadre in grado di esborsare ingenti quantità di denaro grazie alla munificenza dei rispettivi mecenati e si parla di Manchester City, PSG, Chelsea e Zenit, il prossimo anno saranno completamente vincolate al pareggio di bilancio con fatturati che, fatta eccezione per il Chelsea, non le vedono tra le prime 20 società europee secondo la classifica annuale di Deloitte.
Questo significa che probabilmente non sarà più possibile per le società che dovranno vendere per risanare chiedere cifre in linea con i 55M€ per Hulk, i 42 per Thiago Silva o i 40 per Hazard, né si potrà ricorrere all’aumento di capitale cui annualmente attingevano soprattutto Juventus, Inter e Milan dai rispettivi proprietari o infine cercare ossigeno da altre società del gruppo come ad esempio è avvenuto tramite le sponsorizzazioni New Holland o Jeep per la stessa Juventus.
Il risultato finale che probabilmente otterrà l’UEFA sarà che si avranno conseguenze positive come rose ridotte a meno di 25 giocatori con parecchi giovani dal vivaio ed una spinta sempre maggiore verso leggi che semplifichino la costruzione di stadi di proprietà, ma anche un rovescio della medaglia con un calcio sempre più dipendente dal denaro delle televisioni ed una trasformazione progressiva delle società di calcio in marchi commerciali da imporre all’attenzione di chi sarà forse più consumatore di gadget che tifoso per aumentare le entrate alla voce merchandising.
Dire chi vincerà domani nel calcio equo dell’UEFA non è facile, ma è probabile che le classifiche dai campi alla lunga non si discosteranno molto dalla classifica dei fatturati di Deloitte.
di Roberto Rovati