2012
Lo Zar batte Ibra: questione di stile, ma anche di testa
Ibra insacca di rapina, Sheva risponde due volte di testa. Due a uno e apoteosi a Kiev.
Potremmo riassumere così la sfida tra Svezia ed Ucraina che ha chiuso la prima giornata del Girone D, forse la gara più spettacolare sin qui del torneo, ma all’interno della partita si è giocata un’altra sfida a distanza, quella tra due capitani, due fuoriclasse, ed alla fine ha vinto il campione.
Eppure, Ibra, era riuscito a portare in avanti i suoi, con un gol da opportunista, su assist del suo compagno Kallström. Palla in rete e lo svedese gioisce, braccia larghe e poi pugno al cielo, tanta carica e sorriso malizioso, quasi solitario.
A Kiev piomba il silenzio, ma Shevchenko non sa cosa vuol dire arrendersi. Dietro a quel volto “acqua e sapone” si cela un animo ardente: Sheva ha un appuntamento con la storia e sa di non poterlo mancare. Lo Zar carica i suoi, non si dà per vinto, ed appena si presenta l’occasione propizia, anticipa il diretto marcatore e mette alle spalle di Isaksson con un preciso colpo di testa; non proprio il pezzo da novanta del repertorio dell’ucraino. Ai romantici rossoneri avrà ricordato il gol vittoria contro il Porto nella Supercoppa Europea del 2003 (Mourinho sicuramente ci avrà pensato). All’epoca il cross era stato pennellato dal destro di Rui Costa, stavolta dal sinistro del giovane Yarmolenko, ma l’effetto finale non cambia.
Chissà che per un attimo non ci abbia pensato pure Sheva, il quale, sette (7) minuti più tardi, sugli sviluppi di un corner, aggira proprio Ibrahimovic, sul primo palo, e colpisce ancora, sempre di testa. Sheva esulta, sorride e gioisce come un ragazzino, alza le braccia al cielo, in segno di vittoria, chiama a raccolta la squadra e viene travolto dall’affetto dei suoi compagni, di quello di tutto uno stadio o, più probabilmente, di un intero paese, ma anche da quello di una comunità, quella milanista, che per una manciata di minuti si era probabilmente scordata che il centravanti rossonero del presente stava perdendo 2-1.
La Svezia non reagisce, si mostra ancora una volta incompleta. Ibra è frustrato, sa che sta fallendo l’ennesima occasione per essere protagonista. Ibra è solo, la squadra non lo sostiene, forse per i mezzi non eccezionali a disposizione di Hamren o, forse, per l’ingombrante e soffocante personalità da “maschio alfa” del centravanti rossonero, che spesso tende ad allontanare (involontariamente?) chi lo vuole aiutare. La verità è che Ibra fa “clan” da solo, non sono gli altri ad escluderlo.
Sheva lascia il campo tra gli applausi, carica i suoi per la battaglia finale e porta con sé quel sorriso sincero di chi sa di aver scritto una pagina importante della propria storia, per la quale verrà sempre ricordato. Ibra resta in campo fino alla fine, ma lascia lo stadio col broncio (e chissà che la notizia di Thiago Silva non porti anche il “mal di pancia”).
La carta d’identità ed i pregiudizi contano poco, cala il sipario ed alla fine ha prevalso il campione.
Due a uno e apoteosi a Kiev. Questione di stile, ma anche di testa.