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Il ruolo di Mandzukic, la solitudine di Dzeko

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Juventus, Roma e i due centravanti venuti dall’Est

Figli dell’ex Jugoslavia, uno croato e l’altro bosniaco: tra i due popoli non corre tuttora buon sangue per via delle note vicende relative alla dissoluzione della Jugoslavia ed alle guerre indipendentiste degli anni ’90 che hanno fatto seguito, niente a che vedere però con i dissapori – di entrambe le popolazioni – nutriti verso i serbi. Uno slavo nato nel 1986 – nel nostro caso lo sono ambedue – si porta dietro tutto. In ogni cosa che farà nella vita.

I PROTAGONISTI – Gli attori principali della nostra vicenda rispondono ai nomi di Mario Mandzukic ed Edin Dzeko: i centravanti venuti dall’Est – dopo una lunga trafila nel calcio d’occidente – per segnare le sorti di Juventus e Roma. Oltre ad essersi sottratti all’esito più probabile di una guerra, la morte, il destino dei due protagonisti ha altro in comune dopo un’infanzia vissuta sotto il segno delle bombe: aver giocato insieme. Divisi dall’amore incondizionato per la propria patria – e per uno slavo meritevole di rispetto non potrebbe essere altrimenti – ma uniti dal Wolfsburg: stagione 2010-11, Mandzukic arriva dalla Dinamo Zagabria e sei mesi dopo Dzeko lascerà direzione Manchester City. Accolti da quella Germania che peraltro, per la famiglia del croato, aveva rappresentato l’ancora di salvezza all’epoca della guerra di Jugoslavia (rifugiati nel 1992 presso la cittadina di Ditzingen, poi tornati in patria nel ’96 a conflitto ultimato).

CONTROSENSO MANDZUKIC – E’ difficile tracciare un bilancio veritiero ed insindacabile in merito all’esperienza (work in progress, s’intende) di Mario Mandzukic in bianconero: a scanso di equivoci partiamo dai numeri ed i gol, impossibile nasconderlo, sono pochini. Nove in ventisei partite, sommando tutte le competizioni, statistica non propriamente all’altezza di un centravanti con il phisique du role da Juventus: segnare a valanga non è mai stato il suo tratto distintivo, vero, ma nelle ultime tre stagioni complessive – divise tra Bayern Monaco ed Atletico Madrid – ha sempre centrato quota venti. Manca ancora la fetta finale di stagione, ma il popolo bianconero non sembra interessarsene più di tanto: Mandzukic è sempre e comunque osannato, premiato per un lavoro sporco via via più evidente. Ed i tifosi, è storia nota, si innamorano dei calciatori che sudano la maglia. La sua abnegazione è fuori discussione, alle volte però i limiti tecnici emergono con irruenza e viene da domandarsi quale sia il suo reale ruolo – o meglio se davvero possa rispondere a quello di un centravanti – nello svolgimento di una partita.

I DOLORI DI DZEKO – Sei gol in campionato e due in Champions League come il bianconero, manca quello che il buon Mario ha siglato in Supercoppa Italiana contro la Lazio: otto reti complessive in trentuno gare stagionali per Edin Dzeko, di cui due calci di rigore, le statistiche rispetto al croato addirittura peggiorano. E negli occhi del popolo giallorosso – ma di chiunque analizzi vicende calcistiche – resta una serie di errori clamorosi più che il sacrificio tattico ed atletico palesato dal centravanti bianconero. Poi si sa, i risultati mettono a tacere (quasi) tutto: la Juventus vince sempre, è al comando della classifica ed ancora in corsa sui tre fronti, va necessariamente tutto a gonfie vele e non c’è spazio per considerazioni limitanti. Certo è che le aspettative sorte intorno all’innesto di Dzeko – anche per le caratteristiche intrinseche della passionale piazza giallorossa – avevano dato il là ad un circuito al momento non ripagato: il bosniaco è visto quasi come un corpo spurio, la squadra sembra esprimersi meglio quando Spalletti opta per il falso riferimento offensivo, ne beneficia la qualità del palleggio e la rapidità delle trame offensive. Gli errori clamorosi del Bernabeu fanno il resto: l’esperienza di Dzeko con la maglia della Roma è ora – incredibilmente, considerate le premesse – appesa ad un filo. Due mesi per svoltare, o la solitudine porterà inevitabilmente ad altre soluzioni.