Muriqi: «La guerra in Kosovo, Inzaghi e Sarri, il Maiorca: una vita difficile»
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Muriqi: «La guerra in Kosovo, Inzaghi e Sarri, il Maiorca: una vita difficile»

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Le parole di Vedat Muriqi, ex attaccante della Lazio ed oggi al Maiorca, sulla sua carriera nel giorno della finale di Coppa del Re

Oggi il suo Maiorca affronterà l’Athletic Bilbao nella finale di Copa del Rey. Vedat Muriqi, ex Lazio, ne è uno dei protagonisti e si racconta a La Gazzetta dello Sport.

KOSOVO«Sono del 1994, dopo pochi anni di vita scoppia la guerra in Kosovo, i soldati entrano in casa e ci dicono di andare via perché la devono bruciare. Emigriamo in Albania e iniziamo a vivere in 50 in due stanze. La fame, la paura, le difficoltà. Poi la guerra finisce ed ecco un altro colpo durissimo: mio padre mi muore davanti agli occhi giocando una partitella di calcetto con gli amici. Io nella vita ho sempre fatto uno scalino alla volta, con un po’ di fortuna, tanto sacrificio e difficoltà».
L’ARRIVO IN ITALIA«Già. Faccio una stagione straordinaria col Fenerbahce, in Turchia sto a meraviglia. Ma arriva un’offerta che non si può rifiutare. La Serie A, la Champions, un bel club che decide di investire 20 milioni di euro su di me. Sapevo che c’erano Immobile con la sua Scarpa d’Oro, Correa e Caicedo, però pensavo che spendendo tutti quei soldi avrebbero puntato su di me. E non mi sbagliavo. Simone Inzaghi mi faceva giocare ogni volta che poteva, ma io non andavo. Niente scuse, solo colpa mia. Nel calcio succede. Avevo un problema alla coscia e mia moglie incinta era rimasta in Turchia, stavo male dentro e fuori dal campo. Sono arrivato a pensare di essere scarso, che quel grande anno in Turchia era dovuto alla fortuna e alla volontà di Dio».
SARRI«Dal punto di vista tattico, un mostro. Il migliore che abbia mai avuto. Io con lui non giocavo, ma godevo tantissimo, in partita e in allenamento. Il problema era che voleva attaccanti piccoli e rapidi, veniva da Insigne, Callejon e Mertens, con un pennellone come me non sapeva cosa fare. Andai a chiedergli cosa pensava di me, se e dove potevo migliorare: una chiacchierata eccezionale, onesta, trasparente. Lo ringraziai di cuore e gli chiesi se mi dava un mano ad andar via: trasferimento a Maiorca, e il resto, se vogliamo, è storia».
MAIORCA«Ero convinto che in Coppa potessimo far bene, ed eccoci qua, a fare il Maiorca: lottare, correre, aiutarsi. E sporcare le partite. Qui in Spagna in tanti parlano di bel gioco, di calcio offensivo. Magnifico. Ma noi facciamo un’altra cosa. Noi ci difendiamo e proviamo a far male con le nostre armi. È brutto da vedere? A me non importa, io voglio i punti e le vittorie, questo stile ci dà il pane. L’Athletic è avvisato».

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