2012
Torino, Rodriguez: ?Aspetto la mia chance?
TORINO RODRIGUEZ – Dopo aver considerato la possibilità di tornare in Uruguay è arrivata la chiamata del Torino, che lo ha bloccato per un anno con un’opzione per altre due stagioni. Guillermo Rodriguez, complice anche l’infortunio di Ogbonna, potrebbe avere l’occasione di conquistarsi un posto rilevante con la maglia granata. Intervistato da Tuttosport, il calciatore uruguaiano ha parlato del suo ambientamento nel capoluogo piemontese e della sua nuova avventura.
Guillermo Rodriguez, come si vive nella città che ha ospitato a lungo il suo amico e connazionale Montero?
«Benone, e parlo a nome mio e della mia famiglia. Juan Cruz ha nove mesi, dove lo metti sta, ma mio figlio più grande, Joaquin, va all’asilo e si sta integrando a meraviglia. I bambini sono dei fenomeni: a quattro anni Joaquin parla un italiano quasi perfetto, mentre io e mia moglie Natalia facciamo ancora un po’ di fatica».
Montero era una bandiera della Juve, ma aveva molti amici granata. Per caso lei, difensore del Torino, ha più amici bianconeri?
«No, anche perché con due figli piccoli non ci concediamo molte occasioni mondane. Alla cena settimanale con i compagni sudamericani, però, non rinunciamo».
Chi cucina?
«Caceres è un mago dei fornelli, ci pensa lui».
Oltre che con un asado, prima o poi vedremo Caceres alle prese anche con gli attaccanti avversari?
«Ora sta bene, presto arriverà il suo turno. Se lo merita, lavora sodo come tutti noi».
E dell’altro Caceres, quello bianconero, cosa può raccontare?
«Ci conosciamo, ma non ci frequentiamo. Nel derby lo saluterò volentieri, ma non fa parte del nostro gruppo delle cene sudamericane».
Lei ha esordito solo a Palermo. Come ha trascorso i mesi precedenti?
«Da quando sono a Torino ho lavorato sodo per farmi trovare pronto, e a Palermo penso di aver giocato una buona gara. Quando ho firmato per la società granata ero consapevole di avere davanti a me Ogbonna. Cioè un grandissimo giocatore, ma soprattutto un compagno di squadra. Il gruppo è sacro, non mi permetterei mai di alimentare una polemica se gioco poco, sarebbe una mancanza di rispetto verso gli altri».
Domenica potrebbe scendere in campo dall’inizio contro il Parma. Sarebbe la prima davanti ai tifosi granata: un motivo in più per caricarsi?
«Se così sarà dovrò fare bene per il Torino, quindi anche per la sua gente. E poi, in Italia, vorrei trascorrere più di una stagione nello stesso club. Più avrò opportunità di mettermi in mostra, più è probabile che anche nel mio futuro ci sia la maglia granata».
Prima di Cesena aveva già avuto un’esperienza in Europa, con la maglia del Lens. Perché andò male?
«Giocai due sole partite. Ve l’ho detto, non sono uno che fa polemiche oppure recrimina, però due gare sono proprio poche per giudicare».
In Europa ha giocato in Francia e Italia, in Sud America in Uruguay, Messico e Argentina. In quale campionato si mena di più?
«Senza dubbio in Argentina: insulti, botte, provocazioni. C’è davvero di tutto».
E in Messico, come si è trovato?
«E’ un campionato molto diverso da quello italiano. In serie A si gioca in pochi metri, in Messico è come se non esistesse la mediana: c’è la linea dei difensori e quella degli attaccanti, si va da un’area all’altra. L’Italia, da un punto di vista tattico, è all’avanguardia. Ah, dimenticavo, per giocare in Messico serve un fisico bestiale: spesso sei in campo a mezzogiorno, in altura e con un caldo barbaro. Io ero a Guadalajara, nel Club Atlas, a quasi 1.600 metri d’altezza».
Lei è di Montevideo: tre cose imperdibili della sua città?
«La tranquillità con la quale la mia gente vive la quotidianità, la spiaggia e una cena a base di asado».
Nello scorso campionato, col Cesena contro la Juve, sostituì Antonioli dopo espulsione del portiere a cambi terminati. Se nel derby ricapitasse una situazione analoga?
«Mi infilerei ancora i guanti, e questa volta respingerei il rigore. Meglio comunque che a parare dagli undici metri pensi Gillet. Io mi improvvisai, lui è un grande portiere».
Il Torino ha subito solo 5 gol. Merito di un impianto difensivo che funziona a dovere: Ventura ha aggiunto qualcosa di unico al suo bagaglio di conoscenze tattiche?
«Nello studio degli avversari, nella capacità di leggere la singola partita, porta un valore aggiunto alle squadre che allena. E, sul campo, non ho mai lavorato tanto come con Ventura».
In attesa di vivere le emozioni del derby di Torino, ci racconta quelle provate in Uruguay? Quando con il Peñarol affrontava il Nacional.
«E’ una finale, lo stadio deborda di passione, i tifosi e i giocatori si caricano a vicenda. Ma in campo sentimenti e sensazioni vanno azzerati».
Gli amici fraterni, tra i calciatori?
«Jorge Martinez, con cui ho giocato a Cesena, e il nostro Caceres: ci conosciamo da quando siamo bambini».
Con quale modello di difensore è cresciuto?
«Montero. Rispetto a Paolo io sono meno cattivo, a Cesena non sono mai stato espulso, e nell’intero arco della carriera di cartellini rossi ne ho presi pochi. Ci accomuna il piacere di impostare il gioco, un aspetto centrale nel modo di vedere il calcio di Ventura. Anche per questo, nel Torino, mi trovo molto bene».
In Uruguay l’ex granata Francescoli resta un punto di riferimento?
«E’ una leggenda vivente. Come potrà esserlo Cavani».
L’attaccante che non vorrebbe mai incontrare?
«Sansone: in allenamento è insopportabile, non sai mai cosa stia per fare».
Quale obiettivo può avere questo Torino?
«Vincere con il Parma. E’ una gara troppo importante, concentriamoci su domenica, più avanti vedremo fin dove potremo arrivare».