2014
Una mentalità di cui vergognarsi
La presidenza FIGC, i giovani che partono, la mancanza di programmazione: i mali del nostro calcio
RINNOVELLARE OGNI COSA – Se noi dobbiamo risvegliarci una volta e riprendere lo spirito di nazione, il primo nostro moto dev’essere non la superbia né la stima delle nostre cose presenti, ma la vergogna. E questa ci deve spronare a cangiare strada del tutto e rinnovellare ogni cosa. Queste cose le scriveva Giacomo Leopardi già duecento anni fa, quando l’Italia come la conosciamo oggi ancora non esisteva. Ora, non si hanno ancora notizie su un Leopardi appassionato di calcio, ma comunque il suo è un discorso universale che può tornare attuale se si sposta lo sguardo alla debacle italiana nei recenti Mondiali di Brasile 2014. Noi italiani siamo bravi, nel momento delle sconfitte, nel parlare di rivoluzioni e cambiamenti drastici che poi non arrivano mai e ancora adesso è disciplina nazionale il lancio del fango: si prende un dato personaggio o un particolare ambito del calcio nostrano e lo si cosparge di melma in modo da addossargli tutte le colpe. Siamo usciti dal Mondiale a causa di Balotelli, per via di Prandelli, perché l’Under 21 non è buona, perché i nostri politici sono corrotti e per via delle scie chimiche. Tutto quasi vero ma in realtà, come dice appunto Leopardi, bisogna prima farsi un esamino di coscienza.
FIGC – Partiamo dalla presidenza FIGC: Abete era uno dei mali del nostro calcio, fortunatamente si è dimesso dopo aver scaldato una poltrona per anni e anni e aver visto sprofondare due volte gli azzurri in due distinti mondiali. Adesso, quando potrebbe aprirsi una nuova fase per il calcio italiano a livello politico, ecco che non perdiamo occasione per farci riconoscere e siccome siamo affamati di campagne elettorali e l’Italia è appunto un Paese in campagna permanente, i nostri dirigenti pallonari hanno deciso di farsi la guerra sull’erede di Abete. Il nome forte è quello di Carlo Tavecchio ma, con tutto il rispetto, l’identikit non è dei migliori: ha settant’anni, da quindici dirige la LND e per diciannove anni è stato sindaco per la DC a Ponte Lambro in provincia di Como. In sostanza è uno che non ha mai giocato a calcio, ha l’età del Papa e soprattutto è un politico di professione. E’ proprio lui l’uomo di cui abbiamo bisogno? Forse sì, forse no: può darsi che Tavecchio prenda le redini della FIGC e cambi tutto in meglio, ma lasciateci il beneficio del dubbio. L’alternativa a Tavecchio chi è? Non si sa, forse Demetrio Albertini, probabilmente Andrea Agnelli: fatto sta che molti in Serie A vogliono vedere un calciatore al vertice del calcio italiano, semmai giovane. Non travisiamo però il discorso sull’età, a livello dirigenziale più che largo ai giovani, il motto dovrebbe essere largo alla gente capace.
LARGO AI CAPACI – Largo dunque a quelli che vogliono il bene del calcio prima di quello personale, ma la storia recente anche extracalcistica dell’Italia non ha mai goduto di personaggi del genere se non con alcuni esponenti politici della Prima Repubblica che purtroppo non ci sono più e via discorrendo. Non abbiamo la giusta mentalità, per questo dobbiamo vergognarci e ripartire da zero, per continuare sui fasti delle decadi passate quando le nostre squadre veleggiavano in Europa, i Suarez e i Sanchez sarebbero venuti da noi e non ci saremmo fatti uccellare sul calciomercato da squadre russe o ucraine. Ma invece, grazie anche a dei figuri abbastanza loschi, siamo qui a piangere sul latte versato. Campagna elettorale dunque, con i grandi vecchi del nostro calcio a tifare Tavecchio: fateci caso, Cairo, Preziosi, Galliani, Lotito sono tutti per l’ex sindaco di Ponte Lambro, forse perché a legarli l’uno con l’altro ci sono anni e anni di cursus honorum nel mondo dell’industria, sono quasi tutti self made men a differenza di Agnelli, Pallotta o De Laurentiis che stanno dalla parte opposta. Una curiosità da tenere d’occhio, anche se irrilevante di fronte alla clamorosa spaccatura a cui la Serie A va incontro. Dovevamo ripartire da zero e invece ripartiremo da quello che ci riesce meglio, farsi gli affari propri, con affari inteso nella sua accezione economica. Nessuno, se avete letto le notizie delle ultime due settimane, ha ammesso i propri errori, tutti hanno voluto scaricare la colpa su altre questioni e tirare fuori il solito Guardiamo avanti, bisogna rinnovare che tanto fa trendy alle apericene in giacca e cravatta o nei night club di lusso col Daiquiri in mano.
MISTERI – Bisogna rinnovare, okay, ma allora perché la Juventus ha ceduto Ciro Immobile per prendere Alvaro Morata, uno che molto probabilmente già a dicembre verrà accostato ad altre squadre per il suo rendimento non eccelso? Perché il Torino ha avallato questa ipotesi e ha puntato su Josef Martinez quando la sua squadra primavera è arrivata seconda e ha messo in mostra giovani ottimi? Perché, infine, la Fiorentina ha comprato Josh Brillante? Cari amici viola, fate sì che questo australiano che sembra uscito dai Tame Impala sia molto più forte della vostra Primavera da MTV perché altrimenti non ci fate una bella figura. L’Inter ha preso M’Vila e Dodò, pagandoli profumatamente e lasciando partire Benassi e Biraghi, che occupano quel ruolo. L’unica mosca bianca è il Sassuolo che, tanto di cappello, ha puntato forte sugli italiani e lo ha fatto con dietro una struttura societaria di tutto rispetto. Altrimenti c’è il vuoto, l’ultima notizia dell’addio di Scuffet all’Udinese è la controprova che in Italia siamo molto bravi a parlare ma poi quando devono arrivare i fatti, siamo sempre i soliti vigliacchi. Simone Scuffet, verosimilmente l’uomo che contenderà a Neuer e Courtois lo scettro di miglior portiere mondiale nei prossimi quindici anni, andrà all’Atletico Madrid per dieci milioni di euro. E’ la logica del profitto, bambola, e le italiane un prezzo del genere per un classe ’96 che non sia nato a Fortaleza o a Mar del Plata non li spendono.
COME LA GERMANIA – La recente disfatta brasiliana in maniera collaterale ha colpito pure l’Italia. Ci siamo accorti di quanto i verdeoro siano sopravvalutati e pompati da stampa e procuratori. Proprio i procuratori sono il male del nostro pallone: è notizia dei giorni scorsi che è saltato l’accordo tra Fiorentina e Tuttocuoio di una possibile affiliazione perché gli agenti dei giovani della Viola non volevano mandare i giocatori in una piazza così poco glamour. E allora, visto che ci piace molto parlare di squadre B e fantasticherie di ogni sorta, ci meritiamo il calcio che abbiamo. Comandato dal malaffare, da gente che se non è corrotta poco ci manca e giocato da ragazzetti che non sanno cosa voglia dire tirare la carretta e danno ragione prima al procuratore e poi ai genitori. E poi ci lamentiamo quando a Russia 2018, con l’Italia che ormai manda due sole squadre in Champions League come ad esempio la Svizzera, gli azzurri escono ai gironi dopo due pareggi con Zambia e Portogallo e una sconfitta col Giappone. E’ logico che il nostro calcio e la nostra nazionale dipendano dai nostri giovani ma finché andremo avanti così, non caveremo un ragno dal buco. Serve un limite minimo di italiani per ogni squadra di club (in Germania ad esempio ogni squadra deve tassativamente tesserare 12 tedeschi e poi un numero libero di stranieri), un numero minimo di giocatori in rosa e soprattutto i dirigenti devono spendere i soldi per far crescere i giovani. Bisogna puntare sulle giovanili, non è possibile vedere gente che esordisce in azzurro al Mondiale senza aver mai fatto parte di una rappresentativa. Per far questo però bisogna che tutti nel nostro calcio inizino un pochino a vergognarsi. Ma tanto non succederà, c’è da scommetterci. Ecco, le scommesse, quelle sì che ci riescono bene.