2012
Calcio in crisi, le cure per guarire il ?pallone italiano?
Tra le colonne dei principali quotidiani sportivi italiani e nei salotti televisivi di fine estate sta tenendo banco la questione relativa alla crisi del calcio italiano, che in questa finestra di mercato ha perso alcuni dei suoi pezzi più pregiati. L’addio di Thiago Silva, Zlatan Ibrahimovic ed Ezequiel Lavezzi, ad esempio, non basta da solo però a giustificare il declino dello sport più amato e seguito d’Italia. L’analisi delle cause, del resto, è strettamente collegata all’individuazione delle soluzioni: da dove ripartire per riprenderci lo scettro di campionato più bello del mondo?
Dagli stadi, quelle strutture vecchie e ormai obsolete che provano ancora a spacciare come “teatri del calcio”. In tal senso qualcosa si sta già muovendo: dopo la Juventus, anche la Roma, l’Inter ed il Cagliari, per citare alcune squadre, stanno lavorando allo stadio di proprietà. Uno degli stadi più recenti della nostra penisola che annovera l’attuale Serie A, se escludiamo appunto l’impianto bianconero, è il Friuli di Udine, costruito nel 1976. Per Maurizio Beretta, presidente della Lega Calcio, “la legge sugli stadi sarà determinante”, ma non sufficiente, andrebbe aggiunto. E’ importante, infatti, che le società abbiano anche una gestione oculata delle loro finanze: il Milan ne è il modello più evidente, dato che dopo aver (stra)pagato i suoi gioielli con lauti stipendi, ha ridotto notevolmente il monte ingaggi, rinnovato e ringiovanito la rosa. Mantenere i bilanci in ordine, dunque, a prescindere dal Fair Play di Platini, che per club come il Paris Saint Germain e Manchester City conta quanto lo Zimbabwe nello scenario politico internazionale. Un impegno che non può fermarsi ai tetti salariali e che risulterebbe più semplice se il fatturato delle società della massima seria italiana non si poggiasse principalmente sui ricavi dai diritti televisivi, ma anche su quelli commerciali e, guarda un po’, su quelli legati allo stadio.
Inutile poi sottolineare l’importanza dello sviluppo dei settori giovanili, una vera e propria fonte di investimento e affari per le società. Il capitolo spinoso resta la distribuzione dei ricavi televisivi: una divisione equa permetterebbe a squadre meno potenti economicamente di diventare più competitive e di rendere il campionato più avvincente.
Se questo disegno vi sembra irrealistico, sappiate che qualcuno all’estero ci è già riuscito. Chi? La “noiosa” Bundesliga, ma questa è un’altra storia.