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2014

Boys don’t cry

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luiz david thiago silva brasile luglio 2014 ifa

Il tracollo del Brasile: una catastrofe che fa rumore ma che in fondo in fondo si poteva prevedere

MONDIALE DEI SOPRAVVALUTATI – Doveva essere il Mondiale dei Mondiali, lo è stato solo in parte, ovvero fino a quando il pubblico si è accorto che quella massa di fenomeni che veniva osannata ogni venti secondi, beh, non era poi proprio una massa di fenomeni. E’ stato il Mondiale dei Sopravvalutati, questo è certo, ne è un esempio il Brasile di Luis Felipe Scolari. Il Brasile più che una squadra di calcio è un caso di studio per sociologi e anche per gli storici: prima dell’inizio di Brasile 2014 tutti noi avevamo nella mente e nelle orecchie i continui rimandi al Maracanazo del 1950 e la paura dei verdeoro era proprio quella di ripetere un disastro simile. Poco meno di una settimana fa abbiamo assistito comunque alla sconfitta più pesante della storia del calcio, il 7-1 con cui la Germania ha schiantato i padroni di casa, e da allora tutti – gli italiani soprattutto, che nel calcio come nella lingua si vogliono sentire sempre più esterofili – parlano di Mineirazo. Le lacrime dei brasiliani sono all’ordine del giorno dopo il mesto quarto posto ottenuto al mondiale casalingo e arrivato dopo la triste finale con l’Olanda. Ma c’è altro.

LONELY TEARDROPS – Proprio le lacrime sono protagoniste di questo Mondiale. Non c’è stata una partita del Brasile dove almeno un giocatore non sia uscito in lacrime. Ovviamente qui si presentano due scuole di pensiero, c’è chi pensa che un capitano o un giocatore simbolo non debbano piangere in campo o fuori perché indecoroso e invece alcuni difendono quelle lacrime etichettandole come patriottismo nella miglior accezione possibile. La verità è che questo Brasile ha sentito parecchio la kermesse, aveva tutti gli occhi addosso e tutta la pressione del caso e non ce l’ha fatta a reggere, segno che anche a livello caratteriale la squadra di Felipao era una manica di sopravvalutati. Psicologia ancora prima che tattica: i brasiliani – come molti in giro per il mondo, ma la Selecao in particolare – non hanno ancora capito che le partite si vincono solamente dal fischio finale in poi e i trofei prima si alzano e poi si parla. La sesta coppa del mondo era già verdeoro prima ancora del calcio d’inizio di Brasile – Croazia, ma un mese dopo i sudamericani non sono neppure sul podio, scalzati da un’Olanda che tutto sommato non era poi questo splendore. E giù lacrime: Thiago Silva, David Luiz, Neymar e via discorrendo.

UNO A SETTEQualcuno vada a dire proprio a David Luiz che non serve a nulla piangere a dirotto a fine partita quando al ventesimo del primo tempo contro la Germania lui, simbolo del Brasile senza lo squalificato Thiago Silva e il ferito di guerra Neymar, si stacca completamente dalla linea a quattro difensiva per andare a farsi gli affari suoi a centrocampo, lasciando così il fianco ai tedeschi – cioè, ai tedeschi! Gente che se può sfruttare una minima debolezza dell’avversario lo fa con la solita facilità con cui noi italiani viaggiamo sulla corsia di emergenza in autostrada. Fin dall’esordio con la Croazia però il Brasile ha mostrato crepe su crepe e solamente il caso ha voluto che i verdeoro andassero avanti. Prima un rigorino contro i dalmata, poi la liquidità difensiva del Camerun, infine la traversa di Pinilla e il palo di Jara prima dell’unica vera partita giocata bene, quella con la Colombia del talento Rodriguez. Per il resto, piagnistei da partitella dell’oratorio. I brasiliani hanno giocato male questa coppa, ma d’altronde squadre spettacolari per davvero non ce ne sono state, però da loro ci si aspettava molto di più. Ma come, Willian muove 30 milioni di euro per ogni suo trasferimento e poi in campo sembra Luis Silvio? Hulk con un nome così, con la voglia di spaccare tutti gli spogliatoio in cui gioca (chiedete a Spalletti), non azzecca mezzo pallone in un mese? Fernandinho e Luiz Gustavo, presunta cerniera di centrocampo, valgono davvero settanta milioni di euro complessivamente? Questi sono interrogativi a cui dare una risposta ora è facile, ma che quasi nessuno si era posto un mese fa. Purtroppo.

SCOLARI E ASINI – L’Italia è poca roba, e su questo non ci piove, ma non è che il Brasile sia poi così meglio. Ha un allenatore che vive di fama da dodici anni: Scolari vinse in Asia nel 2002 con una formazione da Play Station (e incontrando squadre tutto sommato scarse) ma poi ha fallito in qualsiasi altro luogo, fatta eccezione per il campionato uzbeko ma su questo, non ce ne vogliate, è preferibile stendere un velo pietoso. Scolari ha portato la sua spocchia e il suo sussiego sulla panchina verdeoro, consapevole che solo essendo il Brasile avrebbe vinto i Mondiali, in Brasile per giunta. L’allineamento astrale era perfetto, quella difensiva meno. Il Brasile è stata la tipica accozzaglia di presunti campioni messi uno accanto all’altro, un po’ come il Manchester City di Mark Hughes o il Chelsea sempre di Felipao o Villas-Boas. L’identità di squadra non si è vista, a ogni minima difficoltà i brasiliani hanno versato lacrime amare e hanno preso gol, ben dieci nelle ultime due gare. Due curiosità colpiscono particolarmente, per quanto abbastanza superflue: il Brasile è la peggior difesa di questa rassegna e la terza squadra nella storia del Mondiale a chiudere un primo tempo sotto di cinque gol, eguagliando quegli squadroni che erano Zaire e Haiti nel 1974. Il Brasile è stato troppo sopravvalutato, e questa sopravvalutazione vige da quando esiste il calcio moderno. Certo, in media i talenti prodotti dal paese sudamericano sono tantissimi, ma in pochi poi hanno veramente tenuto fede alla fama di fenomeni, negli ultimi dieci anni solo Thiago Silva, Julio Cesar e Maicon, aspettando la consacrazione definitiva di Neymar.

NON CI RESTA CHE PIANGERE – L’avreste mai detto che il Brasile avrebbe cominciato a produrre i propri gioielli solo in difesa? Il paese che ha dato i natali, tra gli altri, a Ronaldo e Pelè, si è trovato di fronte all’attacco peggiore della sua storia. Su Fred e Jo francamente si è già detto troppo, basti solo pensare che nella Lega Pro italiana troviamo giocatori più prolifici, ma la realtà è che Scolari non aveva a disposizione tutto questo potenziale. Sì, c’era Bernard, c’era Oscar, c’era Hulk ma sono tutte mezze punte e tutte ancora acerbe. I brasiliani moderni in attacco tirano indietro la gamba, sono leggerini e non riescono mai a far il salto di qualità definitivo, rimanendo costantemente incostanti. Il Brasile gode della pubblicità che gli viene fatta tutte le volte che si parla di nazionali: le amichevoli internazionali si permette di giocarle con Guinea, Hong Kong o Suriname per seppellirli di gol per poi chiedere ai tedeschi di fermarsi sul 5-0 in una semifinale mondiale; più che altro la forza dei brasiliani è data dai procuratori e dall’ottusità di molte società europee, italiane in primis, che credono di non avere giocatori buoni in casa propria e si gettano sul Paulinho di turno manco fosse il Messia. Basta essere brasiliani o sudamericani per essere forti, sembra un luogo comune ma questo Mondiale ce lo ha certificato: il Brasile era ed è una squadra mediocre che aveva in due o tre giocatori i propri punti di forza, si è salvato solo Neymar perché si pensava dovesse fare la fine di Christopher Reeve quando in realtà nella finalina era già in panchina. Il problema è che adesso se non si inventano qualcosa gli agenti FIFA, il Brasile non sembra più produrre presunti craque come un tempo, questo Mondiale ha fatto terra bruciata. Speriamo almeno che le società italiane si siano accorte dell’effettivo valore del Brasile, altrimenti anche a noi non ci resta che piangere.