Gianmarco Sala racconta Claudio: «Papà mi portava al Fila, quella foto con Maradona…» - Calcio News 24
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Gianmarco Sala racconta Claudio: «Papà mi portava al Fila, quella foto con Maradona…»

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Claudio Sala raccontato dal figlio Gianmarco, i segreti e le virtù di un padre comune travestito da bandiera di un Torino d’altri tempi

Uno degli ultimi filosofi del pallone, uno degli ultimi romantici del calcio. O, per meglio dirla appropriandoci del soprannome che a lungo l’ha accompagnato nell’arco della sua carriera: “Il poeta del Gol”. Di chi parliamo? Naturalmente di Claudio Sala, la funambolica ala del Torino dell’ultimo scudetto. Esterno dalla classe raffinata, capace di far emozionare una città in toto – per non dire un intero paese – usando le sue giocate con la sfera tra i piedi come medium per conquistare l’amore del pubblico.

Nel capoluogo piemontese, chi ha avuto la fortuna di assistere ai ruggenti anni 70, lo ricorderà per sempre come il Capitano dei granata nella cavalcata del ‘76. Le sue pennellate con i contagiri – trasformate puntualmente in rete dai “gemelli” Pulici-Graziani – valsero il tricolore per la compagine targata Radice, cinque lustri di anni (27 primavere per essere precisi) dopo l’ultima fatica degli invincibili.

Se le imprese inanellate sul rettangolo verde del capitano sabaudo sono certamente note ai più (e meriterebbero uno spazio a parte), non altrettanto conosciute sono invece le qualità umane del talento classe 47’. Un uomo, un padre, prima ancora che una bandiera del Torino. Una figura, che stamane sulle colonne de La Stampa il figlio Gianmarco ha tentato di tratteggiare frugando tra i propri ricordi. Il risultato è un racconto fatto di aneddoti, ma anche di sfumature umane (e paterne) di chi poteva vantare di aver “il poeta del Gol” (ma di un calcio d’altri tempi) come genitore. Ecco quindi un estratto dall’intervista a Gianmarco Sala.

IL SALA PAPA’ – «Diciamo che ha sempre parlato con i silenzi, che peraltro si capivano benissimo. Io e mio fratello siamo sempre stati figli beneducati, però quando c’era qualcosa che non andava te ne accorgevi subito. Se la faccenda non si risolveva con mamma, lei se ne usciva con la mitica frase: “Claudio, pensaci tu”. E diciamo che papà era piuttosto perentorio».

RICORDI AL FILADELFIA – «Soprattutto quando allenava le giovanili. Ricordo un sabato mattina prima di Toro-Napoli, nei corridoi interni dello stadio. Papà bussa a una porta, apre e mi butta dentro. Davanti mi trovo il massaggiatore del Toro Sergio Giunta, che sta lavorando su Diego Armando Maradona. La foto autografata insieme a lui è una delle due cose che ho incorniciato e appeso in casa. E l’altra? La maglia azzurra di papà ai mondiali in Argentina del 1978».

RAPPORTI CON I COMPAGNI DELLO SCUDETTO – «Sempre. Hanno ancora una chat tutti insieme, e un’altra ce l’hanno le mogli».

A SCUOLA – «C’era molta curiosità, papà non veniva spesso a prendermi a scuola. Ma ricordo che alle elementari, alla Rosmini, una volta mi fece una sorpresa e comparve all’uscita con una cesta piena di ghiaccioli per tutti».

LA LEZIONE DI CUI VA PIU’ FIERO – «La dignità. Lui in Nazionale ha giocato poco, non è che Bearzot l’abbia mai trattato molto bene. Gli ha spesso preferito altri giocatori, alcuni oggettivamente meno bravi. Questo è sempre stato un suo cruccio, eppure non l’ho mai sentito lamentarsi, né dire una parola contro nessuno. Lui è fatto così».