L'ora della bella del Maracanà - Calcio News 24
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2014

L’ora della bella del Maracanà

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Sono già due le sfide tra Germania e Argentina in una finale Mondiale: da Burruchaga a Brehme

Ormai manca sempre meno: solo una manciata di ore e il Maracanà accenderà le proprie luci e verrà riempito dai tifosi di Germania e Argentina, per sancire la Nazionale che porterà a casa l’edizione numero venti del Mondiale, la numero 11 se consideriamo il passaggio dalla Coppa Rimet all’attuale Coppa del Mondo. Una sfida particolarmente attesa, forse la più logica se consideriamo le quattro formazioni arrivate alle semifinale, nonchè una sfida che abbiamo già visto nella storia recente dei Mondiali. Sarà infatti la terza volta che la Coppa verrà assegnata al termine di un incrocio tra la compagine teutonica e quella Albiceleste: un record per la storia di questa competizione, visto che finora le finali tra Germania e Argentina erano, assieme a Italia-Brasile (1970 e 1994), le uniche già disputate per due volte nella quasi centenaria storia dei Mondiali. Ma andiamo a rivisitarle le due precedenti finali iridate che hanno opposto queste due magnifiche rappresentative, vincitrici della Coppa rispettivamente tre e due volte.

 

LA CORSA DEL BURRU – Messico, anno di grazia 1986. Alla finale della seconda edizione dei Mondiali organizzata nella terra di Montezuma e dei Maya arrivano l’Argentina di Carlos Bilardo, e soprattutto di Diego Armando Maradona, e la Germania guidata dal Kaiser, Franz Beckenbauer. Due squadre dal cammino, e soprattutto dall’impostazione completamente opposta tra loro. L’Albiceleste è un esercito di soldati, non esattamente il meglio che si potesse offrire all’estetica del football, finchè non si arriva all’uomo che portava la maglia numero 10: el Pibe de Oro, finalmente grande dopo gli anni tribolati di Barcellona e la crescita costante a Napoli (che l’anno dopo il Mondiale avrebbe portato il tricolore ai piedi del Vesuvio), aveva letteralmente trascinato l’Argentina fino alla finale, con ogni mezzo a propria disposizione, persino con le mani. La Germania è la solita Germania: unita, compatta, forte dall’1 all’11 e capace di costringere una delle proprie vittime nella corsa verso l’Azteca, Gary Lineker, a pronunciare una frase che resterà nella storia di questo gioco, quella sul gioco del calcio e sui tedeschi che vincono sempre che non stiamo qui a ripetere. La partita inizia seguendo un canovaccio previsto: Beckenbauer preferisce giocare la partita in “10 contro 10”, annulla Mattheus per costringere il futuro interista a inseguire, quasi fino alla porta degli spogliatoi, Maradona. La mossa non sembra dare i frutti sperati, perchè nel primo tempo Brown approfitta di un errore di Schumacher e porta in vantaggio l’Argentina, e poi in avvio di ripresa Valdano sfrutta i buchi lasciati dalla retroguardia tedesca per raddoppiare. A questo punto sembra finita, ma con la Germania la parola “finita” si può usare solo dopo il triplice fischio: ai tedeschi bastano due palle inattive per pareggiare la partita, prima con Kalle Rummenigge e poi con Rudi Voeller. Tutti gli argentini cade nel panico. Tutti tranne uno, cioè quello col 10 sulle spalle: Maradona sta volgendo lo sguardo in direzione del proprio portiere Pumpido, ma il suo cervello ha partorito un’idea geniale, cioè il lancio per Burruchaga nello spazio aperto. Il numero 7 argentino corre, i tedeschi non lo prendono più e lui va a realizzare il gol più importante della sua vita. L’Argentina bissa il trionfo casalingo di otto anni prima e Maradona si consacra definitivamente a giocatore più forte in circolazione, prima di andare a insidiare Pelè per il titolo di miglior calciatore di sempre.

 

VINCE LA GERMANINTER – Passano quattro anni, e tra mille peripezie e il rischio concreto di fermarsi nel bel mezzo del cammino, Germania e Argentina si ritrovano nuovamente di fronte in finale, nello scenario magnifico dell’Olimpico di Roma e al termine dei bellissimi Mondiali di Italia ’90. Le notti magiche di Zenga e compagni sono state stoppate dalle manone di Goicoechea, capace di parare quasi tutto nei 120 minuti della semifinale e di arrestare le esecuzioni dal dischetto di Donadoni e Serena. Non è mai stata una grande Argentina, capace di perdere all’esordio contro il Camerun di Milla e Oman-Biyik, e in generale di vincere solo due partite entro i 90 o i 120 minuti, ricorrendo ai rigori anche ai quarti contro la fortissima Jugoslavia. Dall’altra parte c’è la sempre più solida e concreta Germania, basata sull’asse che ha fatto e farà felici i tifosi dell’Inter: l’ambidestro Brehme in difesa, l’arcigno Mattheus in mezzo al campo e il rapace (più o meno) Klinsmann al centro dell’attacco. Percorso quasi perfetto per i teutonici, costretti a ricorrere alla lotteria dei rigori solo dall’Inghilterra di Gascoigne in semifinale, ma per il resto capaci di spazzare via avversari in maniera irrisoria, come la già citata Jugoslavia ai gironi e l’Olanda nella fase a eliminazione diretta. La partita è talmente brutta che verrà ricordata soprattutto per ciò che accade prima del fischio d’inizio: il pubblico italiano non perdona a Maradona l’affronto della vittoria in semifinale contro gli azzurri a Napoli (preceduta da alcune dichiarazioni sull’improvviso amore del calcio italiano nei confronti della città partenopea di cui è divenuto sindaco ad honorem) e fischia sonoramente l’inno argentino; el Pibe de Oro non ci sta e apostrofa gli autori di tale sacrilegio, scandendo chiaramente tre parole, “Hijos de Puta“, che non hanno bisogno di traduzione. Come detto, la partita è veramente brutta, succede poco o nulla dalle parti dei due portieri, finchè non arriva il minuto 84, quando l’arbitro uruguaiano Codesal Mendez assegna un rigore quantomeno dubbio alla Germania per atterramento di Rudi Voeller: gli argentini protestano, Maradona quasi piange di fronte alla tragedia sportiva che aleggia sulla sua Nazionale, ma è tutto inutile. Dal dischetto, solo uno come Andy Brehme può battere un maestro come Goicoechea: 1-0 Germania, e risultato che non cambierà più. I tedeschi festeggiano la conquista del loro terzo alloro iridato, i sudamericani piangono e l’immagine di Diego Armando Maradona è una delle più rappresentative nella storia della Coppa del Mondo, oltre a sancire molto probabilmente la fine della storia d’amore tra “el Diez” e il calcio italiano.

 

Ora c’è una bella da giocare, una sfida che deciderà se l’Argentina raggiungerà la Germania a quota tre campionati del mondo, o se i tedeschi verranno a prendere noi a quota 4. Ai posteri, anzi al Maracanà l’ardua sentenza.