Michael Ferrier, il "nuovo Rijkaard" che "odorava di camorra" - Calcio News 24
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2009

Michael Ferrier, il “nuovo Rijkaard” che “odorava di camorra”

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Michael (o Maikel) Just Johan Ferrier nasce a Enschede, in Olanda, il 27 gennaio del 1976, pochi mesi dopo la proclamazione dell’indipendenza del Suriname, la colonia olandese dalla quale era emigrata la sua famiglia.

Inizia nell’Haarlem, che lo fa esordire diciassettenne in Eerste Divisie. Passa poi con gli “arancioni” del Volendam. Tre anni al Kras Stadion, l’ultimo dei quali ben giocato, gli schiudono le porte del calcio di casa nostra.

Approda infatti in Italia, figlio, uno dei tanti, della sentenza Bosman. In seguito alla totale apertura delle frontiere nel ’95, infatti, anche i club di serie B hanno il via libera per poter tesserare giocatori stranieri. à? l’inizio di una nuova era. Presidenti, direttori sportivi, procuratori e chi più ne ha più ne metta, si sbizzarriscono alla ricerca il più delle volte di improbabili affari. C’è chi punta sull’usato sicuro, chi invece è attirato dal “nome straniero” per vendere qualche abbonamento in più, altri ancora iniziano ad acquistare sconosciuti giocatori, nella speranza di centrare il colpaccio. Nel caos che ne vien fuori c’è posto pure per il travagliato arrivo del nazionale under 21 olandese.

In un primo momento Ferrier, etichettato come “nuovo Rijkaard”, si accorda con il Verona, che per ben 2 miliardi lo strappa addirittura alla concorrenza dell’Ajax, proponendogli un contratto biennale da 400 milioni l’anno. Nonostante i gialloblu giochino in B la prospettiva per il giovane difensore è quella di poter calcare i palcoscenici della massima serie visto e considerato che la squadra veneta si avvia verso una comoda promozione.

L’arrivo di Ferrier, che sarebbe dovuto essere il primo calciatore di colore a indossare la maglia gialloblù, avrebbe dovuto essere ufficializzato dopo la promozione in serie A. In città , però, le voci corrono veloci, tanto più che non si era fatto nulla per tenere segreta l’operazione.

Così alcuni esponenti dell’estrema destra xenofoba del tifo (sic!) veronese, appartenenti alle disciolte Brigate Gialloblù, in aperto dissenso con il presidente Alberto Mazzi, reo di voler portare a Verona un giocatore di colore come rinforzo per la squadra avviata a tornare in serie A, pongono in essere il 28 aprile del 1996, durante il derby con il Chievo, una macabra protesta, rimasta purtroppo negli annali: l’impiccagione al Bentegodi di un manichino, con la maglia gialloblù, raffigurante un uomo di colore con la scritta “Negro go away”. Il tutto accompagnato da un polemico striscione, in dialetto veneto, dai toni chiaramente razzisti: “Il nero ve lo hanno regalato, mandatelo a pulire lo stadio”, in aggiunta ad un altro: “Mazzi, Ferrier portalo in cantiere” (con l’evidente riferimento agli affari del presidente, imprenditore nel campo dell’edilizia). Alle spalle del fantoccio, che rimane appeso dalla balaustra della curva sud per diverso un tempo, scorrazzano diversi ragazzi incappucciati di bianco come i membri del Ku Klux Klan, setta razzista e assassina del profondo sud degli Stati Uniti, mentre gruppi di sostenitori ritmano il coro: “Noi non vogliamo giocatori negri”. Uno spettacolo indecoroso e senza precedenti.

L’esposizione del vergognoso fantoccio, tra l’altro, era stata preceduta da scritte anonime vicino alla sede della società  e intorno allo stadio: “Potere bianco” e “A morte i negri”, che non lasciavano spazio a dubbi circa la matrice ideologica di quanto poi accadde durante il derby.

Sono anni in cui una certa Verona, intollerante e retrograda, decide in tema di pallone per tutta la città , opponendosi in qualsiasi maniera all’arrivo di calciatori appartenenti a razze ritenute “inferiori”.

Il teatrino messo su dagli ultrà  provoca sdegno e imbarazzo da parte del consiglio comunale di Verona, il cui sindaco, Michela Sironi, era, per giunta, presente alla partita. Immediate arrivano le scuse della città  al giocatore, insieme alla “piena solidarietà “ dell’amministrazione di centrodestra.

Nonostante il vergognoso ricatto, la società  scaligera conferma l’arrivo di Ferrier per la stagione seguente. Il presidente Mazzi, infatti, sceglie di non aspettare ulteriormente, anche per dare un segnale forte ai teppisti, definiti dallo stesso presidente degli “imbecilli”.

Quando tutto sembra essersi risolto per il meglio accade però un clamoroso colpo di scena. All’atto delle visite mediche, infatti, emergono presunti problemi fisici (si parla di una malformazione cardiaca), che sconsigliano il tesseramento del difensore. Morale della favola: il Verona, di fatto, “scarica” Ferrier.

Così, nonostante la fermezza dei dirigenti politici e sportivi nello smentire la possibilità  che si potesse assistere ad un nuovo “caso Rosenthal”, si ripete, purtroppo, quanto era successo a Udine nel luglio del 1989, quando il trasferimento del centravanti israeliano Ronny Rosenthal all’Udinese creò un vero e proprio incidente diplomatico, in quanto presunti problemi alla schiena, emersi a seguito dei controlli medici, fecero saltare l’affare. Il guaio fu che secondo alcuni la diagnosi dei medici dell’Udinese “doveva” servire da pretesto per non acquistare il giocatore, visto che alcuni graffiti inneggianti all’antisemitismo (“Juden Rauss, niente ebrei in squadra”), apparsi nottetempo sui muri della città , avevano fatto ipotizzare che la dirigenza bianconera avesse accettato un ipotetico ricatto da parte delle frange più estreme del tifo friulano.

Rosenthal si accordò con il Liverpool, dove divenne un idolo, segnando a raffica, in barba a chi gli aveva diagnosticato le vertebre storte!

Nonostante le formali scuse della città  e il sostegno dell’intero panorama calcistico nazionale, il buon Mike, vede svanire il sogno di giocare in A. Atterrito dalla propria simbolica impiccagione, e preso atto del clima che si respirava a Verona, decide di non spingersi oltre e accetta l’offerta (250 milioni a campionato per tre anni) del presidente della Salernitana Aliberti, che lo vuole affiancare all’altro olandese in rosa Stefan Jansen.

I due “orange” in precampionato sembrano poter infuocare la platea dell’Arechi, ma la realtà  del campionato si rivela molto più amara. Solo 4 presenze per difensore centrale, e un pregevole gol, segnato però in allenamento al Vestuti.

Con la riapertura del calciomercato il direttore sportivo dei granata Giuseppe Cannella lo lascia andare a Catania, dove ottiene più spazio, ma pur sempre in C2. Torna a Salerno la stagione successiva, senza però mettere mai piede in campo. Così, dopo la sua infelice esperienza italiana ritorna a giocare in Olanda: cinque stagioni al Cambuur, poi Helmond Sport e TOP Oss.

Anni dopo la sua comparsata a Salerno il suo nome riappare sui titoli dei giornali italiani a causa di un pasticcio finanziario che, come scrissero i giornali, “odora di camorra”.

Nella “guerra” scoppiata tra gli ex soci Casillo e Aliberti, infatti, una denuncia di quest’ultimo ai danni del primo fa emergere, a seguito delle indagini mosse dalla Direzione Distrettuale Antimafia, un movimento di capitali sospetti che, attraverso il mondo del calcio, sarebbe stato protetto dalle misure antimafia e successivamente fatto “girare” e fruttare in operazioni di compravendita di calciatori, tra i quali lo stesso Ferrier, ma anche Stefan Jansen, Danny Tiatto, e successivamente Lennart Bak. Insomma una bella copertura per quello che comunemente viene definito “riciclaggio” di denaro sporco.

La patata bollente questa volta non sfiora la sfera privata del giocatore, oramai lontano anni luce dal sistema-calcio made in Italy. Ritiratosi, infatti, dal calcio professionistico, oggi Ferrier sgambetta felice sui piccoli campi di periferia, nelle serie inferiori olandesi.

Il suo passaggio in Italia, purtroppo, non è certo ricordato per lo spessore delle imprese calcistiche, assolutamente inesistenti, bensì per accadimenti che con il calcio giocato hanno poco a che vedere. Situazione questa che non ha permesso di comprendere appieno dove finissero i pur vistosi limiti dell’olandese e dove cominciassero, invece, le losche pieghe nelle quali, suo malgrado, era incappato.