2014
Esclusiva – Zambrotta: «Nel mio libro solo verità su Juventus, Calciopoli e tutto il resto»
Intervista esclusiva di CN24 al campione del mondo 2006 che pubblica in questi giorni la sua biografia Una vita da terzino
“Il libro com’è, ti è piaciuto?”. La prima domanda in realtà, al telefono, me la fa lui: Gianluca Zambrotta, comasco, classe 1977, una carriera da metterci la firma spesa nella massima serie tra Bari, Juventus e Milan. 3 scudetti in totale per la Federcalcio (5, obbietterebbe immediatamente Andrea Agnelli seguito da milioni di tifosi bianconeri…) ed altrettante Supercoppe Italiane. Più la parentesi 2006-2008 che gli ha donato un indimenticabile titolo mondiale vinto in Germania più un discusso trasferimento al Barcellona pre-Guardiola dove si è comunque portato a casa una Supercoppa di Spagna e una fama di esterno duttile anche tra i mille tecnicismi della Liga. “Pep – confessa lui – mi avrebbe voluto tenere al Barça anche per la stagione 2009, ma io ho preferito tornarmene in Italia, al Milan, per ragioni personali che racconto nel libro”.
E a casa del Diavolo, nonostante un rapporto non sempre idilliaco con mister Allegri (soprattutto nel corso del campionato 2011/2012, l’ultimo di Zambro in Italia), un altro “scudo” importante prima dell’approdo al FC Chiasso – Challenge League, la serie B elvetica – dove si è distinto tra campo e panchina. Con una predilezione finale verso quest’ultima visto che, in tuta e taccuino, Zambrotta è arrivato la scorsa settimana ad una meritata salvezza. Champagne, pacche sulle spalle, cori, rompete le righe. Ed ora? Il resto facciamocelo raccontare da lui. E comunque, sì, ‘Una vita da terzino’ ci è piaciuto. Di più: lo abbiamo divorato in poche ore.
Come è nata l’idea di questo libro? È stata la tua repentina trasformazione da giocatore ad allenatore del Chiasso a suggerirtelo?
“In realtà la prima bozza risale a circa due anni fa, solo che quella volta non se ne fece nulla. Nel frattempo sono successe un po’ di cose – ho appeso le scarpe al chiodo, sono subentrato al polacco Kormonicki nella guida del Chiasso, la squadra si è salvata – e quindi mi è venuta voglia di raccontare svariate vicende che riguardavano sia la mia vita professionale che la mia privacy. Anche perché, se ci pensi bene, da calciatore non è che abbia poi parlato così tanto. Di mie interviste esplosive, tra gli anni ’90 e il 2012, non ne sono praticamente mai uscite…”
Questa è una biografia sui generis dato che le prime cinquanta pagine di ‘Una vita da terzino’ non narrano del giovane Zambrotta che muove i suoi primi passi nelle squadre del comasco, ma partono subito a bomba con l’intricata vicenda Calciopoli: dalle prime intercettazioni moggiane della primavera 2006 fino al tuo trasferimento estivo, molto criticato, al Barcellona. Pensi che la tifoseria juventina abbia finalmente capito le tue reali motivazioni?
“Mi sembrava giusto iniziare così: nel libro ho raccontato la mia verità e questo è quanto. Nel senso che, dopo la vittoria nel mondiale tedesco, scoprii amaramente che la Juve non voleva puntare più su di me e dunque, per ragioni di bilancio, decise di vendermi all’equipe catalana. Io durante quei giorni ero in vacanza in barca, in Sicilia, lontano da tutto e da tutti. Cercavo solo di ricaricare le pile dopo la grande impresa di Germania 2006…”
Poi arrivò la telefonata improvvisa del tuo procuratore Giuseppe Bonetto: “Gianluca, corri a Torino che il Barcellona è interessato a te!”…
“Sì, nel libro lo spiego e non mi sembra niente di così clamoroso: nel calcio le trattative esistono da sempre ed io, quell’estate, ero richiesto anche da Milan e Real Madrid dove Fabio Capello voleva ricongiungermi in difesa con Cannavaro e Thuram. Il mio rispetto per la Juventus non è cambiato da allora anche se ammetto che quelle furono giornate convulse.”
Nella biografia racconti anche un’altra cosa, più legata al futuro. Ossia che ti sei dato trent’anni da adesso per diventare un allenatore vincente. Quindi, quella famosa coppa dalle grandi orecchie che non hai mai sollevato da giocatore, punti a conquistarla da tecnico?
“Lo spero! (ride) Battute a parte, il sogno – tra tanti anni – è quello di sedere sulla panchina di un top club e vincere la Champions. Magari addirittura su quella della Nazionale, come ha fatto il mio maestro Lippi. I progetti, d’altronde, bisogna intraprenderli con una forte dose d’ambizione. Se no cosa li intraprendi a fare?”
Sei molto motivato. Si vede che sei “figlio” di Fascetti, Ancelotti e Lippi…
“Fa parte del mio carattere. Oh, poi magari l’anno prossimo non allenerò più e nessuna squadra mi vorrà, ma per ora lasciatemi sognare! (sorride)”
L’anno prossimo proseguirai il tuo progetto svizzero alla guida del Chiasso?
“Ancora non lo so. Per ora sono contentissimo della salvezza ottenuta in mezzo a mille difficoltà. Entro giugno deciderò del mio futuro dopo averne discusso accuratamente con l’organigramma della società”.
La domanda circola da tempo immemore: ma se uno è stato un bravo calciatore, poi è più avvantaggiato a “decifrare lo spogliatoio” una volta diventato mister?
“Beh, è logico che se hai sudato sul campo, certe situazioni – anche psicologiche – le conosci già. Prendi la finale di Champions League di quest’anno: sarà allenata proprio da due ex grandi campioni: Diego Pablo Simeone e Carlo Ancelotti”.
A proposito, chi vince sabato tra Carletto e il Cholo?
“Pronostico difficilissimo. L’Atlético ci arriva col vento in poppa per la vittoria della Liga ed ha una mentalità molto unita, da ‘provinciale di lusso’, nel senso buono del termine. Io spero nel Real semplicemente perché sono amico di Ancelotti. E di Zidane che, tra l’altro, ai tempi della Juve è stato pure mio compagno di stanza”.
Se dovessi puntare 100 euro sulle quattro semifinaliste di Brasile 2014…
“Direi Spagna, Brasile, la Germania visto che non delude mai in tornei del genere ed ovviamente l’Italia. Incroci permettendo!”
Gli Azzurri, nel 2006, vinsero la loro quarta stella mondiale più grazie alla difesa che all’attacco. Nelle partite-chiave segnasti tu contro l’Ucraina, Grosso nella semifinale coi tedeschi, addirittura Materazzi in finale; per non dire poi delle prestazioni mostruose di Buffon e Cannavaro… Sei d’accordo?
“Diciamo che in quel caso vinse una grande squadra che sapeva sia attaccare che difendere sfruttando l’arma del collettivo: l’Italia di Lippi si chiudeva con 10 uomini nella propria metà campo e poi ripartiva con gli stessi 10. Sono molto orgoglioso, poi, che la difesa prese solo due gol in tutto il torneo: uno su autorete di Zaccardo e l’altro dopo il rigore a cucchiaio di Zidane in finale”.
Quanto ti sei emozionato a Roma lo scorso febbraio nel rivedere la tua coppa del mondo FIFA in viaggio verso Rio?
“Eh, è stata una gran bella sensazione! Anche perché non è mica facile vincere quel trofeo tutto dorato… La Coppa Campioni è già più abbordabile, si gioca ogni anno e – se apri un ciclo vincente tipo il Milan di Berlusconi o il Barcellona di Guardiola – rischi di sollevarne parecchie. La coppa del mondo, invece, capita ogni quattro anni che sono parecchi nella vita di un calciatore”.
Ma era la prima volta che la ritoccavi dalla magica notte di Berlino?
“No, in realtà nel 2007 la portai personalmente a Como per farla esporre nella mia città. La FIFA è molto rigida nei confronti della coppa del mondo, non tutti possono toccarla a mani nude, solo chi ha vinto una finale ha quel bellissimo privilegio…”
‘Una vita da terzino’ (Kowalski) scritto da Gianluca Zambrotta assieme al giornalista Paolo Fontanesi è in vendita da ieri in tutte le librerie. La prefazione – breve, ma intensa – è stata firmata da Marcello Lippi. Una lettura intrigante.
di Simone Sacco