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2015

Autogestione?

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Il Barcellona passa al Vicente Calderòn e si aggiudica la Liga: successo firmato Messi, Neymar e… Luis Enrique. L’analisi

No, assolutamente, è un titolo volutamente provocatorio. E’ a pieno titolo Luis Enrique l’allenatore del Barcellona campione di Spagna per la ventitreesima volta nella sua storia. L’occhio attento però sarà ricaduto su un particolare non trascurabile: i festeggiamenti del Barcellona. Messi, Neymar e compagnia pazzi di gioia, neanche un abbraccio – almeno pubblicamente – con il tecnico.

LA FESTA – E’ andata proprio così, almeno negli attimi immediatamente seguenti al fischio finale della gara del Vicente Calderòn: il Barcellona passa sul campo dell’Atletico Madrid e si aggiudica una Liga meritata oltre ogni ragionevole dubbio, solitamente ci si prodiga per sollevare l’allenatore nella classica scena di rito per ogni successo che si rispetti, ed invece Luis Enrique e calciatori (quelli più rappresentativi) sembrano andare in direzioni diverse. Ciascuno per la propria strada: ancora vivi i dissapori di una stagione in tal senso tormentata? Sì, perché nonostante il Barcellona abbia appena vinto il titolo nazionale e sia in corsa per completare l’opera con Champions League e Coppa del Re l’annata blaugrana non è affatto filata via liscia come l’olio.

CONTRASTI E RISOLUZIONE – Alla base, superfluo nasconderlo, le continue sostituzioni riservate a Neymar fino a metà stagione, qualche scelta tecnica sui generis (come quella di optare per una formazione titolare che non prevedesse l’impiego dell’astro brasiliano né di Messi a causa di lievi ritardi nel rientro dalle rispettive ferie) e più in generale rapporti personali non propriamente morbidi: Luis Enrique, l’hombre vertical come ricorderanno dalle parti di Roma sponda giallorossa, non è uno che le manda a dire. Al Barcellona però ha necessariamente dovuto limare gli spigoli di un carattere aspro e mediare con gli status di campioni affermati nell’olimpo mondiale di questo sport. Tradotto: tridente inamovibile per volontà divina di Leo Messi, gli amici – artisticamente e non – Neymar e Suarez (per l’uruguaiano una volta raggiunta la piena forma) non si toccano. E le sostituzioni si effettuano altrove. Dove? Non importa. Ma non in attacco, lì dove a meno di cataclismi i tre fuoriserie sudamericani hanno consumato ogni minuto a disposizione.

VITTORIA – E così si è vinto. Un patto di ferro che fondamentalmente, a costo di qualche boccone amaro, ha fatto il bene di tutti: perché oramai nel calcio, è storia nota, i risultati appianano ogni dissapore. E sarebbe ingiusto non concedere i sacrosanti meriti a Luis Enrique: accantonato lo storico e proverbiale tiqui-taca, il Barcellona ha scelto un calcio verticale che fosse in grado di esaltare le caratteristiche dei suoi attaccanti. Letali negli spazi, letteralmente immarcabili quando possono scatenare tutto il loro talento in profondità. Si è abbassato il pressing (e che lavoro dei centrocampisti, Iniesta compreso!), si è abbassato Messi più volte incaricato del primo passaggio: testimoni i due gol in fotocopia rifilati al Bayern Monaco nello scenario dell’Allianz Arena, Messi per Suarez per Neymar in tre tocchi alla velocità della luce. Surreale e talmente bello da restarci secchi: perché a prescindere da ogni approfondimento tattico la differenza l’ha fatta madre natura. Acquistare Neymar senza vendere Messi e poi condire con Suarez: elisir di lunga vita e spettacolo per gli occhi.