Benfica-Inter: i 3 grandi meriti di Simone Inzaghi
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Benfica-Inter: i 3 grandi meriti di Simone Inzaghi

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Simone Inzaghi

L’analisi delle mosse di Simone Inzaghi che hanno permesso all’Inter di vincere la gara d’andata contro il Benfica

Qualcuno oggi ha fatto sincera autocritica nei confronti di Simone Inzaghi dopo che l’Inter ha sbancato il Da Luz, ipotecando un passaggio in semifinale che non tanti davano per possibile alla luce dell’ultimo brutto periodo nerazzurro. Si erano dimenticati di come l’Inter avesse superato un girone dov’era presente il Barcellona, che sta dominando la Liga. E avevano soprattutto trascurato come nelle gare a eliminazione diretta il tecnico ex Lazio se la cavi piuttosto bene: dalle competizioni nazionali accumulate in serie (tre, finora, da quando vive a Milano) al passaggio degli ottavi con il Porto. Alessandro Barbano, sul Corriere dello Sport, è stato tra quelli che non si sono nascosti e gliene va dato atto: «E adesso, dopo una partita costruita in maniera perfetta, prima a contenere e spegnere la creatività dei portoghesi, poi a colpire in contropiede, provate a criticare la pertinacia del tecnico piacentino per il suo tre-cinque-due costi quel che costi, come noi stessi abbiamo fatto dopo l’ultimo capitombolo dell’Inter in questo campionato. Adesso tocca inchinarsi a questo capolavoro di tattica, di carattere, di resilienza agonistica».
Aggiungiamo altri meriti alla gara dell’Inter. Che ovviamente deve confermarsi a San Siro, ma che ha disinnescato perfettamente una formazione che – come aveva detto Paulo Sousa alla vigilia – era favorita in quanto «il Benfica è stata finora una delle migliori squadre della Champions, se non la migliore, per gol segnati, per numero di occasioni create e perché non ha mai perso».

1) L’Inter ha concesso poco. Una svirgolata di Dimarco nel primo tempo per un tiro di Rafa Silva; una mischia in area immediatamente dopo essere passata in vantaggio; la follia finale della palla persa da Brozovic che Gonçalo Ramos ha calciato su Onana. Pensando a quanto era successo alla Juventus o al Psg, per usare due riferimenti plausibili, significa che l’organizzazione difensiva e la condotta di gara hanno funzionato perfettamente.
2) La variabile Barella. Certamente Nicolò è stato autore di una prova personale di prima grandezza, tra le migliori mai fornite. E non era scontato tenendo conto di quante energie nervose stesse sprecando nell’ultimo periodo. I meriti sono chiaramente raffigurabili nell’azione determinante, per tempestività dell’inserimento e torsione riuscitissima per andare a mettere il pallone laddove Vlachodimos non poteva arrivarci. E quanto l’exploit sia stato rilevante lo dimostra il fatto che, al contrario, il portiere è riuscito a neutralizzare un’iniziativa simile conclusa da Dumfries, apparentemente in posizione più agevole per trovare la rete. Ma proprio sui movimenti della mezzala si è notato il lavoro dell’allenatore. Che nei primi 45 minuti, quando l’olandese è apparso non a torto intimidito dalla spinta di Grimaldo, lo ha indotto ad allargarsi, dando più aria a una fase di possesso che l’Inter in molte fasi ha saputo proporre in maniera sicura, anche rischiando con cambi di gioco ben eseguiti.
3) Vincere senza eccellenze in attacco. É uno dei meriti storici del calcio italiano classico – lo chiamiamo così perché se si scrive «all’italiana» viene considerato una forma di disprezzo -: riuscire a supplire anche alle giornate storte di un po’ di componenti della squadra. Se i giocatori non sono delle x e delle y da mettere nelle caselle degli schemi, c’è qualcuno che sa funzionare oltre il suo stretto raggio d’azione e fare la parte di chi sta faticando. É quanto è successo a Lisbona: sul piano dell’impegno non si può dire niente a Dzeko e Lautaro prima e Correa e Lukaku dopo. Sulla resa, invece, basta considerare il merito delle occasioni prodotte: tiro di Acerbi dalla lunghissima distanza, gol di Barella imbeccato da Bastoni, Mkhitaryan a tu per tu col portiere servito da Correa, testa di Dumfries parata, rigore trasformato da Big Rom. Si può fare di più, ma non è stato necessario: questa è l’Inter di Simone Inzaghi.