Eder: «Potevo giocare nella Fiorentina» - Calcio News 24
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2015

Eder: «Potevo giocare nella Fiorentina»

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L’attaccante della Sampdoria rivela il retroscena: «Preferì l’Empoli»

Cresciuto col calcio a 5, Eder è passato malvolentieri a quello a 11: «Era più bello avere sempre il pallone sui piedi, piuttosto che abituarmi a lunghe azioni senza toccarlo», ha raccontato l’attaccante della Sampdoria ai microfoni de La Gazzetta dello Sport. L’italo-brasiliano ha avuto bisogno dei suoi tempi per diventare il calciatore che è: «Potevo arrivare in Italia da giocatore della Fiorentina, c’era già l’accordo: Corvino, che mi voleva già quando era a Lecce, era venuto apposta a San Paolo e avevamo parlato di tutto, ma tornati a Criciuma io e papà troviamo in sede Marcello Carli, in rappresentanza dell’Empoli, che aveva già raggiunto l’intesa con il mio club. Restava da convincere me».

IL RETROSCENA – Com’è andata? Il padre lo ha convinto con un discorso molto semplice: «Alla Fiorentina trovi Toni, all’Empoli un club che investe sui giovani». E ha avuto ragione: «L’Empoli ti dà tempo – a me magari anche troppo, perché all’inizio Cagni non mi faceva giocare mai – non ti brucia, non ti fa pesare nulla. E quando Conte mi ha convocato in Nazionale, ho capito che non mi era pesato più di tanto neppure il fatto di non essere stato chiamato dal Brasile: ho preferito ripensare a quando nonna Ida mi aveva portato a vedere la casa di suo padre, Battista Righetto, e mi raccontava delle sue insistenze perché in casa si parlasse solo italiano. Era arrivato in Brasile da Nove, una frazione di Vittorio Veneto: ho il doppio passaporto grazie a lui ma pure a mio cugino Guilherme, che la cittadinanza l’ha presa prima di me e tanti dei suoi documenti mi sono serviti per accelerare molto le pratiche. Altrimenti forse la maglia azzurra non l’avrei ancora messa, anche se ce l’avevo proprio nel destino: mi chiamo Citadin perché aveva origini italiane anche il nonno di mio padre…».

POKER E SHOPPING – Il vizio del poker lo ha salvato da droga e stress: «Andavo al bar a giocare a poker, quello “normale” con cinque carte. Oggi ho cambiato semplicemente tavolo: quando non posso andare al casinò a puntare alla roulette – ogni tanto un salto a Montecarlo lo faccio, da qui ci vuole poco – gioco a hold’em davanti al computer. Mi piace perché mi rilassa, non mi fa pensare al calcio, alla partita che ho appena giocato: come dicono Mourinho e Sousa, il passato non conta, conta il futuro. Non gioco troppi soldi, faccio tornei da 30 euro, ma semmai per troppo tempo: lo capisco perché ad un certo punto mia moglie si arrabbia. Mi faccio perdonare portandola ogni tanto a Milano a fare shopping, tanto piace anche a me: i vestiti mica sono un vizio solo da donne».

IL FUTURO – Cresciuto con in casa suo nonno dopo la separazione dei suoi genitori, Eder spera di diventare un punto di riferimento per i giovani. E dai sogni ai pensieri sul futuro il salto è breve: «Un giorno magari darò anche io consigli ai più piccoli: vorrei regalare una scuola calcio ai bambini meno fortunati. In Brasile, perché lì ne hanno sicuramente più bisogno, anche se oggi non sono più sicuro come cinque anni fa di tornare là a fine carriera. Mi fa strano pensare a quando non giocherò più: stai 10-15 anni con mille occhi addosso e poi improvvisamente non ti pensa più nessuno. Avere qualcosa da fare subito diventerà importante per non fermarmi a pensare. Che poi io ci penso anche adesso: a trent’anni gli altri iniziano la vera vita, a noi manca poco che ci chiamino già vecchi, il corpo è la tua macchina e hai l’ansia continua di non tenerla abbastanza a posto. Un po’ di paura della vecchiaia ti viene per forza: stare con i bambini almeno ti fa sentire più giovane, no?». Calcisticamente, invece, Eder è cresciuto seguendo Ronaldo, che considera il Pelè della sua generazione, più forte di Lionel Messi e Cristiano Ronaldo.

L’EQUIVOCO – Infine, affronta un argomento delicato, quello dei compensi dei calciatori: «Siamo privilegiati, guadagniamo benissimo, non lavoriamo quindici ore al giorno, ma questo significa per forza che non abbiamo stress? Che non pensiamo mai, ad esempio, a quanto può essere breve quel nostro privilegio? Da top a nessuno in un attimo: capita, è capitato a un sacco di noi. I soldi e la gloria non sono tutto, e divertirsi a fare il proprio mestiere non basta a non trovarlo pesante, a volte: penso a uno come Buffon, sono vent’anni che fa il conto di quanti giorni veramente liberi, con la testa completamente libera, ha in un anno. Lo stress per me è quello: essere costretti a pensare sempre a qualcosa. E se non hai la testa abbastanza forte, è un attimo che lo stress si trasformi in depressione. E poi sono cavoli: è un attimo anche prendere la via di fuga sbagliata».