Brasile Serbia, troppa differenza di velocità
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Brasile Serbia, troppa differenza di velocità

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La vittoria del Brasile, soprattuto nella ripresa, ci ricorda quello che è il calcio brasiliano nella mente di ogni appassionato

Brasile-Serbia 2-0 non è un risultato che stupisce perché i verde-oro sono costituzionalmente votati a presentare subito il meglio della loro mercanzia nella vetrina del Mondiale. Non sempre riesce, esattamente come stasera è successo nel primo tempo, dove ha fatto fatica a prendere ritmo e a costruire palle gol importanti. Ma quel che si è visto nella ripresa è esattamente ciò che tutto il mondo si aspetta dal Brasile: l’idea che il calcio possa essere questo concentrato di spettacolo, meraviglia, forza, magia e finanche velocità, qualità che una volta non apparteneva a chi indossava quella maglia e che oggi invece sembra una dimensione naturale in quei ragazzi che corrono palla al piede con una disinvoltura che peraltro in Europa conosciamo da tempo (Vinicius o Rodrygo ormai sono “nostri”). La partita ha anche detto altro:

1) Alla Serbia piace avere palla tra i piedi, impegnarsi in triangoli per conservarla, regalarsi convinzione attraverso un possesso di lunga durata. Per 45 minuti la cadenza del match l’ha data lei. Poi ne è stata travolta.

2) La produttività. Nel secondo tempo il Brasile ha realizzato 2 gol, colpito altrettanti legni, collezionato 9 occasioni e ha regalato l’impressione di aver fallito l’ultimo passaggio o avere ecceduto in un dribbling di troppo in moltissimi altri momenti. Senza che nessuno abbia fatto la sua migliore partita, a partire da Richarlison che la decide, regala una copertina alla Storia e prima era stato praticamente nullo.

3) L’organizzazione. Ci sono stati molti palloni che la Serbia alle corde ha buttato via. Ovunque andassero, c’erano due brasiliani pronti a riceverli. Giusto entusiasmarsi per i giocatori che davanti rubano l’occhio, ma Tite e i suoi colonnelli delle retrovie hanno costruito un’organizzazione perfetta, dove ognuno sa dove stare dietro per sprigionare un senso di libertà quando si guarda l’avversario in faccia.