Como, Fabregas: «Wenger, Mourinho, Pep e Conte i miei modelli»
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Como, Fabregas: «Wenger, Mourinho, Pep e Conte i miei modelli»

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Cesc Fabregas

Le parole di Cesc Fabregas, allenatore del Como: «La società vuole crescere, devo imparare tantissimo, ma ho le idee chiare»

Cesc Fabregas ha da poco preso il posto di Longo sulla panchina del Como. In una lunga intervista a La Gazzetta dello Sport racconta la sua esperienza sulla panchina dei lombardi e sui suoi modelli e obiettivi. Di seguito le sue parole.

TRASFORMAZIONE DEL COMO – «Procede Bene. Stiamo cambiando idea di gioco e farlo a campionato in corso non è semplice».

DIFFERENZE CON LONGO – «Non mi piace difendere uno contro uno. Quando ero al Barcellona e una squadra ci affrontava così, era morta. Ricordo il Bilbao contro Messi e Neymar, che facevano due gol a partita. In B c’è questa tendenza, c’è meno qualità: noi dobbiamo essere forti fisicamente, intelligenti e organizzati. Anche in difesa».

DIFESA A 4 – «Non mi piace difendere a cinque, ed è meglio tenere la linea più alta per il pressing. Non lavoriamo in funzione dell’uomo, ma della palla».

DAVANTI – «Tre punte, due e un trequartista, dipende: contano la qualità dei giocatori e il tipo di partita. Io sono cresciuto a Barcellona con un’idea di calcio e non ne conosco altre. Ma la vedo proposta anche qui da Spalletti, Sarri, Italiano, per non dire De Zerbi».

MODELLI – «Wenger era un maestro per i giovani, Mourinho lo è per come motiva i giocatori, Conte per l’energia che trasmette, Guardiola per la tattica. Tutti però hanno una cosa in comune: vogliono vincere. Non sono mai stato in uno spogliatoio in cui passava un messaggio diverso. Solo al Monaco, in Francia, non lo sentivo. Io ho sempre giocato per vincere».

GIOCARE PER VINCERE – «Lavoro per portare il Como in Serie A. Una mentalità che deve avere la squadra, ma anche lo staff e tutti gli altri. L’importante è andarci con una struttura giusta come club. Per questo sono disposto a legarmi per un lungo periodo, mi piace il progetto».

PANCHINA A STAGIONE IN CORSO – «La chiamata è arrivata prima del previsto. La società vuole crescere e io sono a disposizione. Sei mesi fa giocavo, per tre mesi ho allenato la Primavera, sono in prima squadra da 20 giorni. Devo imparare tantissimo, anche se le confesso che ho le idee chiare».

CHIAMATA IN PRIMA SQUADRA – «Avrei continuato volentieri con la Primavera per abituarmi al nuovo lavoro. Certo, poi il progetto era di allenare il Como, ma lo giuro: non pensavo così presto. Mi ha aiutato Arteta. Anche lui ha fatto un percorso così. Mi ha detto: non puoi sapere di essere un bravo allenatore,ma se sei convinto delle tue idee e hai tanta esperienza, è giusto buttarsi. Mi ha motivato».

COME SI VEDE IN FUTURO – «Ho 30 anni di carriera davanti, sarò sempre ultracompetitivo. Se un allenamento va male non dormo, come quando giocavo. Questo mi ha aiutato ad arrivare a un livello top. Oggi mi adatto a una squadra fatta da altri e cerco di trasmettere una mentalità vincente».

PROBLEMA GIOVANI IN ITALIA – «Perché in Italia conta troppo il risultato. Gli allenatori non si fidano, cercano esperienza e fisico, perché se perdi ti mandano via. Wenger lavorava per il futuro».

SOLUZIONE – «Le squadre B, penso che anche il Como la farà. Il salto dalla Primavera alla prima squadra è troppo alto».

SI SENTE CAMBIATO – «Adesso capisco tante cose, anche i sacrifici di mio padre che lavorava 12 ore al giorno. Prima facevo la vita più bella del mondo, ora è tutto diverso. Ma mi piace tantissimo».