L'autolesionismo di Guardiola, il dott. Cerveri: «Lo sport fa bene alla salute mentale, ma la competizione è ben diversa; esiste uno stigma verso la salute mentale nello sport ad alto livello»
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L’autolesionismo di Guardiola, il dott. Cerveri: «Lo sport fa bene alla salute mentale, ma la competizione è ben diversa; esiste uno stigma verso la salute mentale nello sport ad alto livello»

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Guardiola, le parole del dottor Giancarlo Cerveri sull’autolesionismo del tecnico del Manchester City dopo il pareggio in Champions League

Le immagini di Pep Guardiola in conferenza stampa con il volto coperto da graffi che il tecnico si era inflitto dopo il pareggio di Champions League contro il Feyenoord hanno fatto il giro del mondo e hanno riaperto il dibattito sulla salute mentale nello sport ad alto livello. Come riportato da La Stampa non è il primo caso di autolesionismo: c’era stato Andrej Rublev, tennista che spesso si era ferito più volte dopo un punto sbagliato, o Kelly Homes, Oro negli 800 e nei 1.800 metri ad Atene 2004 che era arrivata a tagliarsi con delle forbici. Il quotidiano torinese sul caso ha intervistato il dottor Giancarlo Cerveri, Psichiatra e direttore Dipartimento salute mentale presso l’ASST di Lodi. Di seguito le sue parole.

RUOLO DELL’ALLENATORE – «L’allenatore di calcio deve gestire uno spogliatoio, lo stress degli altri, deve costruire un modello di pensiero che tenga conto di tutte le variabili per ridurre al massimo il rischio di fallimento. Uno sforzo mentale colossale che potrebbe mandare in tilt le persone più preparate».

STRESS NELLO SPORT – «Lo sport è prezioso per la nostra salute sia fisica che mentale, numerosi studi ne confermano l’utilità. Diverso è quando parliamo di competizione. In questo caso non è troppo diverso dal lavoro e in taluni casi rappresenta un elemento ancora più stressante».

COSA SPINGE ALL’AUTOLESIONISMO – «La tensione e la rabbia a volte necessitano di uno sfogo e le strategie che le persone utilizzano possono essere le più diverse. La maggior parte di noi esce e prende una boccata d’aria, qualcuno cammina, altri fanno un po’ di sport. Poi ci sono forme più inusuali: chi urla da solo, chi prende a calci oggetti per casa fino a coloro che arrivano a farsi del male. A volte il dolore fisico, in alcuni individui, finisce per produrre una strana forma di tranquillizzazione emotiva».

QUANDO SI DEVE CHIEDERE AIUTO – «Questi episodi sono generalmente benigni. Presentano però il rischio di andare fuori controllo e di farci esagerare, producendo danni eccessivi o non voluti e mettendoci a volte in situazioni spiacevolissime che non siamo in grado di spiegare».

ESISTE UNO STIGMA VERSO LA SALUTE MENTALE NELLO SPORT – «Credo che lo stigma sia presente in tanti ambiti della nostra società. Gli sportivi di successo forse hanno maggiore esposizione ma hanno avuto fortuna nella loro vita e forse hanno un onere maggiore delle persone comuni nell’affrontare le proprie fragilità in pubblico perché questo, tramite il loro esempio, può aiutare tante persone a chiedere aiuto».

COSA SUCCEDE SE NON CI SI CURA – «Se non ci si cura il rischio è che queste esplosioni ci sfuggano di mano e che interferiscano pesantemente prima con la nostra vita personale».

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