Da Fonseca a Mourinho: da un portoghese all'altro, ecco come cambia la Roma
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Da Fonseca a Mourinho: da un portoghese all’altro, ecco come cambia la Roma

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Stessa nazionalità, modo diverso d’intendere calcio. Fonseca e Mourinho agli antipodi, ecco cosa cambia in casa giallorossa

La revolução è completa. I Friedkin sono la mente, il braccio è Josè Mourinho. La Roma rompe gli schemi fonsechiani e atterra sul pianeta Mou. Dalle parti di Trigoria si augurano non sia l’ennesimo schianto. Le aspettative sul tecnico di Setùbal sono altissime, come è giusto che sia per uno con il suo curriculum, al netto di alcuni passi falsi soprattutto negli ultimi anni. La caratura rimane eccezionale, il nome altisonante, in particolar modo in Italia e proprio nella Capitale sponda giallorossa, vittima dell’annus horribilis 2010 d.C., con un campionato sfuggito all’ultima giornata e una Coppa Italia soffiata all’Olimpico, mirabilis ovviamente per i colori nerazzurri. Rivoluzione dicevamo, perchè se Fonseca e Mourinho condividono la lingua di Pessoa e Amalia Rodrigues, su una cosa proprio non vanno d’accordo: il modo d’intendere calcio

Possesso palla, scambi di posizione, pressing: lo schema tattico di Fonseca

Il tecnico nativo di Maputo, Mozambico, ai tempi colonia portoghese, cresce e si sviluppa da allenatore con il pensiero fisso del possesso, a bola sempre sotto controllo. Dallo Shaktar in Ucraina, terra fertile calcisticamente e “rifugio” negli ultimi anni di brasiliani, il giusto humus su cui far germogliare il progetto di Fonseca. Gli occhi della Roma, affascinata dal calcio esotico di Paulo, arrivato con ottimi feedback e con il compito di far presto dimenticare la fase calante dell’avventura di Di Francesco prima e Ranieri bis poi. Senza Totti in dirigenza e De Rossi in campo, con un calcio diverso. Predominio tattico, 4-2-3-1 dinamico e volto all’attacco, scambio di posizioni, pochi punti di riferimento, i trequartisti esterni bravi ad accentrarsi per far spazio ai terzini che vengono da dietro. Almeno nelle intenzioni. Perchè nella penisola, con difese attente e dal baricentro basso, spesso il possesso è fine a se stesso. Mettiamoci poi la scarsa continuità degli uomini offensivi e l’infortunio di Zaniolo, urge un cambiamento. Se la difesa a 4 scricchiola poi, la soluzione può essere passare a 3. E Fonseca così fa, stravolge il suo schema predefinito e concentra i suoi sforzi nel 3-4-2-1, nell’estate post pandemia. E i risultati si vedono.

In fase di possesso un centrale è bloccato, gli altri due leggermente più larghi a dare una mano in appoggio agli ex terzini diventati esterni, che si alzano sulla linea d’attacco, con i due trequartisti che al contrario si abbassano in una sorta di 3-2-2-3. In questo modo, costringendo le squadre avversarie a tener d’occhio gli uomini sull’esterno, si creano gli spazi centrali, dove Fonseca predilige agire. Con i due mediani concentrati nella prima impostazione, gli inserimenti sono tutti dei trequartisti, che a turno contribuiscono allo sviluppo della manovra e si buttano dentro. La punta (Dzeko nella fattispecie), in questo complesso gioco di posizioni, non è statica, e deve avere le giuste qualità fisiche e tecniche che gli permettano di attirare i difensori e favorire gli inserimenti alle spalle. Quando gli spazi interni sono intasati, gli esterni garantiscono la giusta ampiezza e soluzione d’emergenza al gioco sviluppato centralmente.

In fase difensiva, gli esterni si abbassano accanto ai centrali in una linea a 5, tipico degli schemi con la retroguardia a 3. Il centrocampo si schiera a 4, con i trequartisti che si allargano ma non troppo: a loro è affidata la prima pressione, con l’aiuto del centravanti. I due mediani garantiscono la giusta copertura centrale, mentre gli esterni si alzano in pressione se l’azione avversaria si sviluppa per vie laterali. Se le linee vengono saltate, una grossa mano la danno i centrali difensivi, aggressivi in anticipo sui palloni giocati in verticale. Nella fase immediatamente successiva alla perdita della sfera, il pressing si alza all’istante senza sconvolgere le posizioni, in modo da permetterne il recupero.

Pragmatismo, immediatezza, attendismo: il dogma di Mourinho

Opposto lo schema tattico di Mourinho, da sempre (o quasi) fedele al dogma 4-2-3-1. Se nel Porto campione d’Europa nel 2004, lo Special One utilizzava il trequartista e le due punte, dal Chelsea in poi si è stabilizzato sul già citato 4-2-3-1, sia all’Inter, che al Real Madrid, passando nuovamente per i Blues d’Inghilterra, il Manchester United e infine il Tottenham, la sua più recente parentesi. Al contrario di quanto possa sembrare però, l’offensività del modulo è relativa e ben bilanciata. La parola d’ordine dopotutto è pragmatismo. Niente astratto possesso palla, quanto velocità in verticale e immediata ricerca della posizione. La costruzione dal basso non è un must have del vate di Setùbal, non è frequente vedere uno dei due mediani abbassarsi in ricezione, per quanto ovviamente questo possa accadere nell’arco dei 90 minuti. Piuttosto, l’azione si sviluppa si in verticale, passando però dai suggerimenti delle fasce. Ciò è possibile quando i terzini si alzano e servono gli uomini incaricati di completare la manovra offensiva. Non è raro vedere la punta e il trequartista abbassarsi e ricevere palla dall’esterno, con i due attaccanti laterali che al contrario si accentrano avanzando la posizione. In questo modo, sfruttandone la velocità, si dimezza il tempo necessario per arrivare in porta. Un ruolo chiave è quello del centravanti, che deve saper giocare anche lontano dalla porta e imbucare velocemente per l’inserimento dei trequartisti esterni (un esempio è Kane, bravissimo ad arretrare e costruire e servire in profondità Son, letale negli ultimi 25 metri). I due mediani nel frattempo, più di rottura che di costruzione, fanno da guardia ai centrali difensivi, pronti a riorganizzarsi quando la sfera viene persa.

La fase di transizione negativa, ovvero quella immediatamente successiva alla perdita del pallone, non è aggressiva, quanto volta a ricomporsi velocemente. In pochi pressano subito, gli altri arretrano e si stabilizzano nelle zone di competenza. In fase di non possesso quindi, si applica un 4-4-2 base, con i trequartisti esterni che si abbassano sulla linea dei mediani. Tutta la squadra sposta il suo baricentro in basso, raggruppandosi in 30 metri, seguendo l’azione avversaria con calma. Se si sviluppa centralmente, i due mediani chiudono sulle mezzali, mentre gli esterni si abbassano ulteriormente sia per dare una mano lateralmente, sia per impossessarsi rapidamente del pallone in caso di riconquista. Se l’azione avversaria si sviluppa sulle fasce invece, è immediato il raddoppio dell’esterno in aiuto al terzino di turno. Va da sè che l’arma migliore in un assetto simile, è il contropiede, con la squadra pronta a sprigionare tutta la sua velocità non appena ne ha l’occasione.

Per concludere, è evidente la differenza d’approccio a entrambe le fasi dei due allenatori. Se Fonseca punta sul pressing e il predominio del gioco, fatto si di verticalità, ma anche di costruzione ragionata, Mourinho al contrario bypassa la fase prettamente dedicata al possesso, preferendo velocizzare i tempi di conclusione, relegando il centrocampo a semplice reparto di copertura. É diverso anche il baricentro, evidentemente più basso per Mou, così come la pressione, con un assetto più attendista. Fonseca invece adotta un atteggiamento più aggressivo, la ricerca della posizione originaria è il piano B. Diversi i nodi da sciogliere, il mercato su tutti, così come sono differenti gli approcci utilizzati dai giocatori della Roma finora, abituati a pensare in un modo e ora “costretti” ad agire in un altro, nel nome della revolução dei Friedkin.