Fabian Valtolina! Ha pareggiato il Piacenza! - Calcio News 24
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2015

Fabian Valtolina! Ha pareggiato il Piacenza!

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Gli anni d’oro del Piacenza e quel 3-3 con la Roma impreziosito da una rovesciata storica

Quando Leonardo Garilli comprò il Piacenza l’incubo del fallimento era molto più tangibile di quanto si pensasse. Era il lontano 1983 e lo stadio ancora prendeva il nome dalla Galleana, il quartiere a sud della città dove il Piacenza si sarebbe trovato a ospitare le gare dell’allora Serie C2. Trentadue anni dopo la Galleana c’è ancora e si è ampliata, sono sorti alcuni centri commerciali e lo stadio, a parte il nome, è sempre lo stesso. In mezzo però è cambiato tutto. Il Piacenza ha fatto in tempo a finire nell’élite del calcio italiano, c’è rimasto un po’ e poi alla fine, complici alcune sciagurate gestioni, è fallito una volta per tutte. Garilli morì nel dicembre del 1996, con il Piacenza in Serie A, e per sua fortuna non vide mai i Lupi giocare contro l’Inveruno e il Mapellobonate. Garilli oggi è il nome dell’impianto dove gioca il Piacenza, uno stadio che solo a vederlo ricorda certi assolati pomeriggi degli anni Novanta, quando quell’ellissi colorata di bianco e di rosso ribolliva di entusiasmo mentre il Piace, con le unghie e con i denti, cercava disperatamente di salvarsi in uno dei campionati più difficili del mondo, quello dei Del Piero e dei Ronaldo, dei Signori e dei Baggio. E proprio in quel Garilli, in una domenica piena di sole, bastò un pallone alzato quasi al limite dell’area di rigore – una classica azione alla via il parroco, un traversone gettato là senza troppe pretese ma con frenesia – per far esplodere una città intera. Il tempo si fermò al novantacinquesimo di Piacenza – Roma, una delle partite più incoscienti della storia della Serie A.

MAGGIO 1998 – Nel maggio del 1998, a due giornate dalla fine, la classifica in coda dice Napoli e Lecce aritmeticamente retrocessi, Brescia e Atalanta in corsa a distanza rispettivamente di quattro e due punti dal Piacenza quintultimo, Empoli e Bari vicini alla salvezza così come il Vicenza a cui serve veramente poco. Il Piacenza ha appena finito di pareggiare una partita drammatica contro l‘Inter a San Siro, gli uomini di Guerini erano reduci da un tris all’Atalanta nella giornata precedente e hanno difeso al limite delle proprie forze un punto che odora di Serie A contro un’Inter decimata psicologicamente dagli errori di Ceccarini sette giorni prima a Torino. E mentre la Juventus mette fieno in cascina per lo Scudetto numero venticinque, il Piacenza si prepara alla terza salvezza di fila, la seconda al cardiopalmo. Il Piace di quegli anni parla italiano e basta, al massimo qualche dialetto. Non si vede uno straniero in squadra da tempo immemore e la risalita in A con Gigi Cagni nel 1995 è stato una sorta di zenith calcistico per i biancorossi. L’anno prima le cose sembravano essersi messe per il verso sbagliato ma una straordinaria vittoria contro il Perugia all’ultima giornata consegnò la B agli umbri e uno spareggio storico agli emiliani, vittoriosi con il Cagliari per tre a uno. Nel 1997-98 la squadra parte per salvarsi e piano piano vede delinearsi il suo destino: l’ennesima entusiasmante lotta per sopravvivere, fosse anche all’ultimo secondo dell’ultima partita di campionato. In tal caso però è l’ultimo secondo della penultima di campionato a essere particolarmente interessante perché al Garilli – rinominato da poco in onore al grande presidente – arriva la Roma, una squadra forte ma discontinua, con palesi fragilità in difesa che rispondono al nome di Zeman, il tecnico boemo che imperversa in quegli anni e che fa della spregiudicatezza offensiva un’arma e un cruccio. Guerini da par suo è più tradizionalista e la gara è da cosiddetta tripla. Sarà uno spettacolo.

GARILLI D’INFERNO – Al fischio d’inizio dell’arbitro Braschi di Prato il Garilli è un catino di ventimila anime venute da tutta Piacenza e in gran numero anche da Roma per una sfida che vale sì la salvezza, ma dall’altra parte si insegue l’Europa e il sorpasso sulla Lazio. Il sole batte cocente sul campo di gioco, la tensione si taglia a fettine e ne viene fuori un primo tempo bruttino dal punto di vista della qualità. Peccato, perché in campo ci sono individualità di spessore, una di queste è Gianpietro Piovani, a Piacenza dal lontano 1990. È lui ad avere l’occasione della vita su calcio di rigore ma è sempre lui a fallire l’opportunità clamorosa che da un certo punto di vista contribuisce a stappare il match. A fine primo tempo sempre Piovani si ripresenta sul dischetto per il secondo rigore di giornata decretato dall’arbitro toscano. Prende la rincorsa e calcia di collo destro, Chimenti si sposta verso la destra e con il pugno sinistro tocca facendo cambiare direzione al pallone e, paradossalmente, mandandolo in rete. Il Garilli esplode, il Piacenza è avanti mentre Brescia e Atalanta pareggiano, quel gol vorrebbe dire biglietto per la Serie A 1998-99. Mentre i festeggiamenti vanno avanti incessanti e incuranti che il primo tempo non sia ancora finito e che ci sia un ex in campo, Eusebio Di Francesco, solo davanti a Sereni. E come spesso succede in certi casi, l’ex non perdona, segna ma non esulta e si va a riposo sull’uno a uno. Gli animi sono bollenti perché la direzione di Braschi non piace né a destra né a manca e al rientro nel tunnel c’è tensione. Sfocerà tutta in spettacolo nei secondi quarantacinque minuti di gara: pronti via e le notizie che arrivano da Brescia sono interessantissime con il Napoli in gol grazie a Bellucci. Nel giro di un minuto però tornano gli incubi. Altro rigore al Garilli, stavolta per la Roma, va Totti e batte Sereni, siamo due a uno per la Roma e a gioire adesso è solo lo spicchio giallorosso. Sei minuti e la giostra delle emozioni torna a girare: su torre da destra il neonetrato Murgita stoppa e va con il corpo indietro a calciare davanti a un Chimenti già in terra, la conclusione è sghemba e va all’incrocio 2-2. A dieci dalla fine arriva il gol del Brescia con Neri che sembra dare i tre punti alle Rondinelle e qualche giro di orologio più tardi invece Paulo Sergio si veste da Ronaldo. Il brasiliano con un doppio passo in corsa stende Vierchowod e la piazza all’incrocio. Lo stadio ancora una volta è ammutolito, non sa che la Provvidenza arriverà solo quando tutto sarà finito e avrà le sembianze di un’ala di Limbiate.

NOVANTACINQUE – Quando entra al minuto numero settantaquattro Fabian Natale Valtolina è uno dei tanti buoni giocatori di quel Piacenza e di quella Serie A così competitiva. Certo, non è un fenomeno, ma fa sempre il suo e non sfigura mai. Poi ha quel nome così strano, Fabian Natale, che sembra un divo da rotocalco. Non segna molto ma gioca spesso in propensione offensiva e decide di rischiare il tutto per tutto quando Paulo Sergio segna il tre a due e da Udine e Brescia arrivano notizie non troppo confortanti. La Roma è nervosa, il Piacenza è andato vicino al gol con Tramezzani ma ha preso un palo clamoroso, sulle due panchine c’è aria di gazzarra. Braschi si avvicina a quella del Piacenza e dice “Oh, non siamo mica al mercato!”, giusto per dare un’idea del clima. In tutto questo frastuono arriva una palla dalla difesa e Murgita stacca di testa al limite colpendo a campanile. Valtolina è spalle alla porta e qualche metro avanti al punto dove atterrerà la sfera. Non c’è tempo da perdere perché i cinque di recupero stanno scadendo, bisogna tirare in porta il prima possibile. La difesa della Roma è incredibilmente schierata in linea a protezione della propria porta con Aldair e Zago pronti a gettarsi su quel pallone vagante spizzato da Murgita. Valtolina corre verso il limite dell’area e i capelli lunghi saltano sulle spalle dando molta più dinamica al movimento. Fabian Natale Valtolina decide di saltare, mette la testa all’ingiù e prova a arpionare il pallone con il piede destro. È un colpo meraviglioso, il suo corpo rimane issato sul terreno del Garilli per due lunghissimi secondi mentre il pubblico in curva e in tribuna resta col fiato sospeso ad assistere inerme. Alcuni si ricordano di Pasquale Luiso, che l’anno prima in rovesciata al Milan e nella solita porta aveva fatto perdere il lavoro a Tabarez, ma non c’è tempo per i ricordi. Non c’è tempo per niente, se non per quella palla uncinata col collo del piede da Valtolina che si dirige verso lo specchio della porta. Chimenti si protende, Piacenza è tutta lì a guardare il pallone che muore proprio all’incrocio dei pali e gonfia la rete per il tre a tre.

FELICI E CONTENTI – Il gol di Valtolina è la cartolina di uno dei pomeriggi più pazzi di sempre. Seguiranno caciara con rosso a Guerini, dichiarazioni al veleno sia dell’allenatore piacentino che di Zeman, quattro in pagella a Braschi e grida di sconforto da Brescia e Udine, dove intanto l’Udinese è andata avanti con Alessandro Calori, uno che quando c’è da scrivere la storia non si tira indietro. Ma intanto il Piacenza ha pareggiato, si è portato a più due sul Brescia ed è quasi salvo perché la domenica successiva giocherà contro il retrocesso Lecce in un match che, alla moda dell’epoca, è già vinto. Valtolina si toglie la maglia, corre verso la bandierina del calcio d’angolo ma è sommerso da una squadra e da un popolo interi. Ha segnato il gol più bello e più importante di tutta la sua vita, ha scalato una montagna per mandare il pallone in rete e far rimanere il Piace in A. E il Piace in A ci rimarrà davvero anche se quello sarà l’ultimo gol di Valtolina con i Lupi, passerà al Venezia e diventerà uno di quei giocatori di cui ogni tanto si sente parlare per qualche gesto episodico o estemporaneo oppure perché la sua figurina era introvabile oppure per chissà quale altro motivo. A Lecce il Piacenza vincerà tre a uno e rimarrà nella massima serie, dove giocherà altri quattro campionati prima di sparire dalla mappa del calcio italiano e riapparire con troppe varianti. Oggi in quella porta del Garilli segnano giocatori di Serie D Girone B, con la speranza che un giorno si possano tornare a vivere quei pomeriggi afosi di maggio quando la Roma sembra pure una squadra battibile e gente come Valtolina si veste da Crujiff.