Moreno Torricelli, la schiena dritta di un Trap-player - Calcio News 24
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2015

Moreno Torricelli, la schiena dritta di un Trap-player

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«A Trapattoni devo la mia carriera, ma il più grande fu Lippi. Sacchi? Avrei voluto conoscerlo meglio…»

Alle sue spalle uno scorcio di Alpi Apuane da levare il respiro. Nei suoi muscoli la vaporosa fatica di un torneo di beach-soccer andato in scena il giorno prima ed organizzato da una elegante marca di orologi svizzeri. Sul suo torace – magro ed imponente come quando frenava gli ardori agonistici di Signori, Weah, Balbo o Ronaldo – l’abbronzatura di un sole che non lascia davvero scampo. I capelli, invece, sembrano quelli di un vecchio pirata che, sul campo, sa ancora mettersi il pugnale tra i denti. O finalmente degni di un Geppetto, come amava chiamarlo il suo amicone Roby Baggio in quei superlativi anni ’90. Ok, siamo nell”esclusiva Forte dei Marmi e da queste parti abbiamo già avvistato parecchia serie A: attuale (Riccardo Meggiorini), recente (Valerio Bertotto e Samuele Dalla Bona), profumata di anni ’90 (il nostro interlocutore) e già consegnata da trent’anni al mito (Stefano Tacconi). Una bella line-up, non c’è che dire.

L’idea nasce un paio di minuti dopo l’agguerrita finale che ha visto prevalere (ai rigori) i ragazzi locali del Forte contro gli All Stars che siamo appena andati a presentarvi. La sabbia è ancora appiccicata ai polpacci che subito parte la proposta di CalcioNews24: «Moreno, ti andrebbero due chiacchiere sulla tua vita?». La risposta è un anticipo da antologia sul centravanti mediatico: «Volentieri, facciamo domani in spiaggia verso mezzogiorno. Il mio ombrellone tanto lo conosci.». E così eccoci qui, seduti su di un lettino a fissare il Tirreno e pronti ad azionare il rewind di un campione. Lui, Moreno Torricelli, difensore eclettico con la gloria ingombrante del suo passato (le tantissime vittorie alla Juventus e quel divorzio storico per accasarsi agli arci-rivali della Fiorentina) e la leggerezza di una favola (il passaggio subitaneo dalla Caratese alla Vecchia Signora, dall’Interregionale al Campionato più bello del mondo) che ancora oggi fa sospirare i romantici del pallone. Noi con un registratore in mano. Si può partire.      

Cos’è ormai il calcio per te? Una nostalgia o un vizio a cui non riesci a dire di no?
«É passione, è vita. Quando c’è da guardare qualche grande calciatore allo stadio o in tv, io ci sono sempre; e, nel mio piccolo, cerco ancora di partecipare a questa giostra bellissima. Adesso, per esempio, sto allenando dei ragazzi in Val D’Aosta esclusivamente per il piacere di farlo e mi va bene così.»

Il tuo cuore è sempre equamente diviso tra Juventus e Fiorentina?
«Non solo. Ovunque ho giocato, mi sono lasciato dietro parecchi amici e tifosi, quindi per me è tutta un gran questione di affetti: nella Caratese così come nella Juve, in maglia viola, ma anche per quel che riguarda l’Oggiono, l’Arezzo, l’Espanyol…»

Però alla fine hai deciso di vivere a Lillianes, microscopico comune della Val D’Aosta. Non a Barcellona, in riva all’Arno o sotto la Mole.
«Mi sono trasferito là per amore della mia donna. E poi mi piace vivere in una comunità di appena 400 abitanti, lontanissima dalle frenesie delle metropoli e dove tutti – ma proprio tutti – sono pronti ad aiutarsi reciprocamente. É bello stare a Lillianes, non mi ci vedrei altrove.»

Un piccolo luogo fatato per un ex ragazzo che visse una delle ultime favole ambientate nel calcio italiano?
«Forse sì. Non c’è giorno che passi in cui non mi auguro che qualche altro giovane possa vivere un’esperienza simile alla mia: dall’Interregionale alla Juventus nel giro di appena due mesi. Pazzesco, vero? So di giocatori di campionati minori che sono riusciti ad arrivare in serie A nel giro di 3/4 anni, ma in un lasso di tempo così breve credo che sia successo solo a me. E ringrazio tuttora Giovanni Trapattoni per aver tramutato quel sogno in realtà.»

Un po’ di merito, comunque, spetta anche a te. Per un uso spropositato di volontà ferrea…
«Sì, chiaramente ci vuole anche quella ma l’ostacolo più difficile resta ottenere una benedetta chance, una sola in tutta la vita, per poter mettersi in mostra… Io l’ho avuta e il Trap, di suo, ci ha messo la faccia. Non so quanti altri tecnici avrebbero corso un rischio simile, a quei tempi come al giorno d’oggi. Sai, stanno tutti a parlare dei ‘giovani’, di ‘valorizzazione del vivaio’, ma poi fanno sempre giocare gli stranieri o i giocatori d’esperienza. Il Giuàn no.»

Lanciamoci subito in un giudizio definitivo sul Trap.
«Un tuo collega, una volta, mi ha definito l’unico vero Trap-player in un mondo fatto di banali top-player: credo che una definizione migliore di quella non potesse trovarla! (ride) Trapattoni è stato il massimo per me, prima e dopo. Quando mi prese dalla Caratese nel ’92, mi fece disputare appena due amichevoli e poi decise di buttarmi nel fuoco della serie A. In passato ero stato vicino al Verona, ma andare alla Juventus è una di quelle cose che può sconvolgerti l’esistenza: non tanto sul campo, quanto fuori. Ecco, lì il Giuàn  fu insuperabile: mi insegnò ad essere un calciatore sul terreno di gioco ed un uomo conclusa la partita.»

Quando dici “dopo”, ti riferisci al brusco distacco da Torino?
«Beh, la storia è nota: nel ’98 la Juve decise di non puntare più su di me ed io, senza fare polemiche, raggiunsi Trapattoni a Firenze sfiorando subito lo scudetto con la Viola. Ok, avevo ancora tre anni di contratto con i bianconeri ed un ‘gobbo’ che va a giocare per la Fiorentina è sempre un evento azzardato, però dentro di me sentivo di poter fare grandi cose. E di rubare lo stipendio a Torino proprio non mi andava: io a 28 anni, nel pieno della carriera, volevo giocare…»

Di Marcello Lippi, invece, che mi racconti?
«Tutto il bene possibile. Lui resta tuttora il mio ideale di allenatore per quei suoi metodi tutti improntati sull’intensità. Un grande psicologo che non sa che farsene della tirannia. Non per niente è stato campione del mondo due volte, con la Juventus e con l’Italia

Arrigo Sacchi un po’ tiranno lo era quando vestiva la tuta…
«Avrei voluto conoscerlo meglio: l’ho incontrato solo in Nazionale, per brevi periodi (i famosi “stage sacchiani”, NdR), e non l’ho mai visto come un mio allenatore al 100%. A lui collego però una piccola amarezza: aver giocato solo 20 minuti durante l’Europeo del ’96 nella partita decisiva contro la Germania. Qualche settimana prima avevo vinto la Champions League contro l’Ajax e mi sentivo davvero in un periodo di forma strepitosa. La kermesse britannica avrei voluto viverla più a fondo, ma alla fine l’ultima parola che conta è sempre quella del Mister. E va rispettata.»

Cosa andò storto durante quell’Europeo inglese?
«La seconda partita con la Repubblica Ceca. E poi il rigore tirato male da Zola contro i tedeschi. Peccato, perché quella era una gran bella Nazionale piena di talenti, ma il calcio è anche questo: sbagli una cosa in un torneo breve e vai subito a casa.»

Tu di mosse, sul campo, ne hai sempre sbagliate pochissime…
«Stai tranquillo che di errori ne facevo anch’io! (ride) La mia fortuna è stata che ho sempre avuto questa grandissima incoscienza a guidarmi. Tutti, nel calcio, parlano di ‘pressione psicologica’, che giocare con 40mila persone che ti alitano sul collo è diverso che esibirti di fronte a 40: ma ne siamo proprio sicuri? Il pallone è il pallone: è un oggetto che rotola e va calciato per bene. Sia che il passaggio devi farlo a Baggio che a Mazzoleni, un mio vecchio compagno nell’Interregionale…»

Insomma, non avevi bisogno dello psicologo come tanti tuoi attuali colleghi.
«Macchè, sull’erba mi sentivo a mio agio. Giocavo, urlavo, sudavo, facevo il mio. Era una sensazione meravigliosa e, te l’ho detto, un po’ incosciente.»

Ci avresti mai creduto che l’indimenticabile notte di Roma del 22 maggio 1996 (Juventus-Ajax. Torricelli eletto migliore in campo) avrebbe coinciso con l’ultima vittoria bianconera in una finale di Champions League?
«No, e non prendere la mia come semplice arroganza. Quella era una squadra fortissima che, grazie ai nuovi innesti, avrebbe potuto ripetersi anche nel ’97 e nel ’98. Quella Juventus poteva aprire un ciclo leggendario tipo l’Ajax degli anni ’70, il Liverpool o il Barcellona di Messi, ma sulla nostra strada trovammo Borussia Dortmund e Real Madrid. Ecco, ancora oggi quando ci ripenso mi torna sù il magone…»

Fu colpa del campionato italiano delle “sette sorelle” a farvi arrivare cotti a quelle due finali continentali?
«Non credo. Fu più che altro il caso. Col Borussia avevamo vinto tantissime volte. Io nel ’93 conquistai anche una Coppa UEFA contro i gialloneri, eppure quella volta a Monaco di Baviera vai a capire cosa sia successo veramente nelle nostre teste… Col Real Madrid, invece, ho ripassato tante volte mentalmente la rete di Mijatovic: nacque da un tiro sbilenco di Roberto Carlos con il brasiliano che, se avesse preso in pieno il pallone, lo avrebbe sparato sicuramente a Rotterdam! (la finale si tenne ad Amsterdam, NdR) La dura legge del gol, direbbe qualcuno.»

Come ci si rialza da due batoste simili? Magari aver lavorato per sei anni fuori dal mondo del calcio, aver fatto precedentemente il falegname e il magazziniere, può aiutare a restare coi piedi per terra…
«Perdere brucia sempre, te lo posso assicurare; ma la meraviglia di questo sport è che c’è sempre una rivincita dietro l’angolo, una nuova partita da giocare. Il bello del calcio, forse, è proprio questo…»

Il bello del calcio, magari, è essere Moreno Torricelli: un giocatore amato da chinque voglia bene al football.
«Grazie. (gli spunta un sorriso) Anche oggi, a distanza di dieci anni dal mio ritiro, continuo a ricevere dimostrazioni d’affetto da ogni parte d’Italia. La mia storia ha colpito tantissime persone e l’esempio del mio sogno ha ispirato molti calciatori in erba. Credo non possa esistere gratificazione più grande.»

Un mio amico, juventino sfegatato, mi ha appena mandato un sms. Te lo leggo (testuale): “Dì a Moreno che gli ho voluto tanto bene anche quando giocava nella Fiorentina”…
«Non è l’unico. Una volta un ultrà del Toro si è avvicinato urlandomi: ‘Sei gobbo, Torricelli, ma non ce la faccio proprio a tifarti contro!’. Mi sono quasi commosso.»

Intervista a cura di Simone Sacco ; per comunicare: calciototale75@gmail.com