Bressan: «La mia rovesciata, tra Zidane e Ronaldo» - ESCLUSIVA
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Bressan: «La mia rovesciata, tra Zidane e Cristiano Ronaldo» – ESCLUSIVA

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Mauro Bressan, ex di Bari e Fiorentina, è entrato nel mito grazie alla splendida rovesciata contro il Barcellona: il suo racconto

Il nome di Mauro Bressan, per chi è cresciuto col calcio degli anni ’90, rievoca un’immagine iconica di quegli anni: la rovesciata da fuori area in Champions League contro il Barcellona. Sono tanti gli aneddoti che l’ex centrocampista di Fiorentina e Bari ha raccontato in esclusiva per Calcionews24, ma non si può partire inevitabilmente da quel momento.

Il suo gol contro il Barcellona in Champions League, la mitica rovesciata da fuori area del 2 novembre 1999, è stato decretato da France Football come la seconda rete più bella della storia della competizione, dopo quella di Zidane e prima della rovesciata di Ronaldo allo Stadium. Come si sta tra questi due?

«Sono rimasto sorpreso, ma sono molto orgoglioso. Già qualche anno fa la UEFA aveva stilato una classifica dei 10 migliori gol della Champions League, però adesso un periodico prestigioso come France Football che mi mette al secondo posto, sicuramente mi inorgoglisce. C’erano 50 gol: essere arrivato dopo Zidane, e soprattutto prima di Ronaldo, vuol dire che hanno pensato che la mia rovesciata sia leggermente migliore di quella di CR7. Secondo me è una questione di gusto, perché sono due rovesciate diverse: quella di Ronaldo è un gesto di potenza perché va a prendere la palla a due metri d’altezza, la mia invece con una palla che cade dall’alto e ho dovuto calcolare il tempo esatto per coordinarmi. Io che faccio rovesciate fin da bambino dico che è più facile quando la palla ti arriva dal lato perché hai il tempo di guardare sia il pallone che la porta».

Una grande Fiorentina quella che lo ha visto protagonista, con un nome su tutti, ovvero quello di Gabriel Batistuta. Una sua istantanea sul Re Leone?

«Io ci ho giocato un solo anno, poi lui ha pensato bene di andare alla Roma a vincere lo Scudetto. Nel girone d’andata non mi aveva tanto sorpreso, perchè era tormentato dai problemi alle caviglie e alle ginocchia ed aveva avuto anche un infortunio muscolare. Giocava non essendo al massimo, quindi non lo vedevo con la sua solita forza. Poi nel girone di ritorno era totalmente un altro giocatore, ed ho potuto ammirarlo da vicino. Ha fatto delle cose impressionanti: bastava mettere il cross e lui arrivava sempre prima, aveva un senso del gol spaventoso. Lo dice anche Totti: Batistuta aveva un’abilità straordinaria nell’aprire i varchi in attacco».

In porta invece c’era Toldo, che con lei ha giocato anche nelle giovanili del Milan.

«Quando ci siamo visti alla Fiorentina è stato divertente: abbiamo vissuto insieme Milanello nel lontano 1989 e poi ci siamo ritrovati in viola. Avevamo dei rapporti molto buoni, essendo tutti e due veneti e venendo dalla stessa squadra (il Montebelluna), quindi abbiamo fatto questa strada insieme. Abbiamo fatto carriere diverse dopo il Milan per poi ritrovarci insieme alla Fiorentina».

Quella Fiorentina venne allenata anche da Roberto Mancini. Si vedevano le sue doti da grande tecnico? Cosa ne pensa del suo apporto alla Nazionale?

«Fino a febbraio abbiamo avuto Terim. Io ne parlo sempre molto bene, perché secondo me non è stato capito a livello globale. Magari non era a livello degli allenatori italiani di adesso sulla preparazione atletica, ma è il miglior allenatore che ho avuto per come caricava la squadra e per il carisma. Entravi in campo e sapevi di essere talmente carico ed eri certo di poter giocare alla grande. Da novembre a gennaio giocammo un calcio strepitoso, conditi dal 4-0 al Milan, la Coppa Italia, il 3-3 alla Juve con doppietta di Chiesa. Facevamo davvero un bel calcio. Poi subentrò Mancini e si vedeva già la sua personalità, il fatto di aver giocato tanto a calcio era una cosa favorevole per lui. Io penso abbia messo tanto di suo per la costruzione di questa Italia, nel formare e plasmare campioni, ed è qui che si è vista maggiormente la sua mano».

Le piace la nuova impronta societaria data da Rocco Commisso?

«Quando una squadra, in questo caso la Fiorentina, ha la fortuna di avere un presidente così lungimirante come Commisso è un qualcosa di importante. La squadra deve avere sempre una struttura definita a livello societario, poi ci sono giocatori che vengono e vanno. Prendiamo ad esempio la Juventus, con Agnelli che ha cambiato la società partendo dallo stadio. Lo stadio secondo me è fondamentale, per portare la Fiorentina nelle top 4 d’Italia. Commisso sta creando una certa credibilità. Ancora però, oggigiorno, un giocatore davvero forte prima di andare alla Fiorentina, pensa alla Juve, all’Inter, al Manchester City».

Federico Chiesa ricorda papà Enrico in alcune movenze?

«Sì, ma non è un goleador come suo papà. Quando mi fanno questa domanda dico che magari si somigliano quando iniziano a correre perché si incurvano, solo che il papà non aveva tanta voglia (ride, ndr). Enrico aveva un senso del gol fenomenale, in 30 centimetri riusciva a coordinarsi e di destro o di sinistro tirava delle bordate… una velocità d’esecuzione incredibile».

E in quegli anni la Serie A era piena di campioni.

«In Italia c’era il meglio in quegli anni: sette squadre (le famose 7 sorelle) che potevano vincere lo Scudetto, con campioni da tutte le parti. Il più forte di tutti è stato sicuramente Ronaldo Il Fenomeno: gli ho visto fare delle cose con i miei occhi impressionanti, facevi fatica a starci dietro anche con lo sguardo. Un altro era Veron, anche se era discontinuo io ho fatto sempre fatica a giocare contro di lui: forse era più cattivo di Rui Costa, ma aveva corsa e tecnica, una cosa impressionante. Poi si parla poco anche di Boksic. Mi ricordo una scena, quando io giocavo al Bari: lui è partito con un difensore attaccato alle spalle e andava avanti lo stesso. Ogni partita trovava sempre dei giocatori importanti».