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Conferenza Mihajlovic: «Eh già, sono ancora qua. Ibra? Tutto in stand-by» VIDEO

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La conferenza stampa di Sinisa Mihajlovic dalla sala stampa dello stadio Dall’Ara insieme ai medici del Sant’Orsola

(-Dal nostro inviato a Bologna, Antonio Parrotto) Conferenza stampa a Bologna. Dalla sala stampa del Dall’Ara parla mister Sinisa Mihajlovic, tecnico del Bologna, insieme ai medici del Bologna. Seguiremo la conferenza live grazie alla presenza del nostro inviato. Start ore 11. Inizia la conferenza.

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Inizia la conferenza stampa (presente la dirigenza e la squadra): «Vi ringrazio per la vicinanza. Ringrazio anche la squadra che è fa di tutto pur di non allenarsi». Interrompe Blerim Dzemaili: «Dirti che ci sei mancato è poco. Siamo contentissimi che ti abbiamo ritrovato. Sappiamo che non sei molto contento di noi ma cercheremo di renderti di nuovo felice».

Riprende parola Mihajlovic: «In questi 4 mesi, difficili, ho conosciuto medici straordinari, medici che mi hanno curato, sopportato e supportato. Ho un carattere forte e difficile ma loro sono sempre stati meravigliosi (si commuove menzionando tutti i medici e gli infermieri, ndr). Mi hanno dato tanto affetto, li ringrazierò per tutta la vita. In questi 4 mesi ho pianto e mi sono rotto le palle di piangere. Passo la parola ai medici che devono tornare a salvare altre vite».

Le parole del dottore Michele Cavo dell’Istituto di Ematologia Seragnoli dell’Ospedale Sant’Orsola: «Parlo dietro espressa richiesta di Sinisa, una richiesta che ho accolto subito con piacere. Mi scuso con chi mi ha cercato in questo periodo ma dovevamo essere cauti e prudenti in considerazione della complessità del percorso di cure. La storia di Mihajlovic vale per tutti i pazienti che sono nell’istituto di ematologia. Torniamo indietro di 4 mesi, nel momento in cui noi abbiamo dovuto mettere in campo una serie di accertamenti che erano legati ad altri motivi. Ci sono stati dei segnali iniziali che hanno poi portato Sinisa a fare una visita ematologica, c’erano delle perplessità sulla natura della diagnosi. La diagnosi che ha ricevuto era quella di una leucemia acuta e mieloide. Il primo ciclo è durato più di 30 giorni, il secondo ciclo è stato un pochino più breve. Perché 43 giorni? Perché noi utilizziamo farmaci efficaci ma stupidi, che non possono capire cosa colpire e per uccidere tutte le cellule tumorali abbiamo dovuto uccidere virtualmente quel poco di cellule residue che c’erano («Avete fatto piazza pulita, dice Sinisa»). Abbiamo poi cercato un donatore compatibile, partendo dalla famiglia, e poi abbiamo cercato un donatore nei registri e la scelta finale è stata quella di prendere un donatore da registro e oggi è passato un mese esatto dal trapianto. Sinisa mi ha chiesto di venire qui per chiudere un cerchio aperto 4 mesi prima e dal suo punto di vista è legittimo farlo. Dal nostro punto di vista quel cerchio non è ancora chiuso e abbiamo bisogno di tempo per capire la risposta, per monitorare Sinisa e le possibili complicanze. Mi sembra di aver colto un sentimento trasversale che ha circondato Sinisa in questo periodo. Lui ha sempre visto le cose in positivo ma a dispetto di questo carattere robusto e vigoroso e si è sempre fidato di noi anche quando i no gli stavano stretti e ora siamo felici di restituirlo alla comunità sportiva».

Le parole della dottoressa Francesca Bonifazi: «Per fare un trapianto serve un donatore e nel registro internazionale ci sono circa 36 milioni di donatori e presso il Sant’Orsola risiede la sede regionale del registro. La donazione è volontaria, gratuita e anonima: il paziente non sa chi è il donatore, il donatore non sa chi è il donatore. Il trapianto del midollo osseo non è un intervento chirurgico. Le cellule devono essere uccise e si dà possibilità alle nuove cellule che arrivano dal donatore di attecchire, di ripartire da zero. A un mese possiamo dire che c’è stato l’attecchimento ed è importante. Ad oggi c’è l’assenza di complicanze e non è poco. Il decorso post trapianto è stato regolare e le condizioni generali sono considerate soddisfacenti ma occorre cautela, i primi 100 giorni sono i più delicati perché facciamo un nuovo sistema immunitario. Il ritorno alla vita normale sarà graduale, come per tutti i pazienti e valuteremo di volta in volta la sua presenza in contesti di grande affollamento, certamente non limiterà l’indomito spirito guerriero che abbiamo avuto il privilegio di conoscere e apprezzare in questi 4 mesi».

Iniziano le domande: Il fatto che Sinisa sia una persona famosa, quanto è stato pesante o quanto è stato importante?

Dottor Cavo: «Non è stato un peso. Il fatto che Sinisa sia uscito allo scoperto subito ha permesso di porre i riflettori su una malattia e sulle cure. Se vogliamo parlare di un risultato positivo della restituzione del guerriero va bene, è stato un gioco di squadra».

Si può definire la guarigione dopo i 100 giorni?

Dottoressa Bonifazi: «Si riducono i rischi, non si può definire una guarigione. Il bollino del guarito, in genere, viene dato dopo 5 anni ma già dopo 2 anni c’è meno rischio».

L’atteggiamento del paziente quanto può aiutare?

Dottor Cavo: «Lo ha aiutato da un punto di vista psicologico perché non si è lasciato travolgere dagli eventi. Prendendo spunto dall’evento, c’è un messaggio verso gli altri pazienti: ‘Sappiate che se cadete vi potete rialzare’. Conta lo spirito e io parlando con lui non ho mai percepito la minima incertezza sul fatto che noi non potessimo arrivare qui a raccontare questa storia».

C’è la possibilità una volta finito il percorso di sapere chi ti ha salvato la vita?

Dottoressa Bonifazi: «No, per legge. E’ possibile che il donatore e il ricevente comunichino tra di loro. Nel corso degli ultimi anni con i social non so quanto possano reggere le precauzioni di fronte all’impatto dei social».

Riprende parola Mihajlovic: «Voglio ringraziare chi mi ha scritto lettere, chi ha pregato per me, chi ha fatto striscioni, cori, pellegrinaggi. E’ stato commovente e molto bello, mi sono sentito nel mondo del calcio, il mio mondo, molto protetto. Mi sono sentito parte di una famiglia. Volevo ringraziare tutti i tifosi delle squadre italiane e straniere ma soprattutto i tifosi del Bologna che mi hanno fatto sentire come un fratello, come un figlio. Ringrazio la società in tutte le sue componenti, magazzinieri, staff, presidente. Non hanno mai messo in dubbio la mia permanenza a Bologna, nessun dubbio e questo mi ha fatto sentire tranquillo e non sono cose da tutti i giorni. Vorrei ringraziare i miei amici più stretti che mi hanno aiutato nei momenti più difficile. Il ringraziamento più sentito va a mia moglie e ai miei figli (si commuove di nuovo, ndr). A mia moglie che è stata tuitti i giorni con me e mi ha mostrato un’altra volta di essere molto fortunato per avere una donna accanto così, forse è l’unica persona che conosco ad avere più palle di me: ti amo amore. Poi ai miei figli che sono la mia vita e hanno accettato la possibilità del trapianto, anche con paura, ed è stata una grande dimostrazione di amore verso di me e non è una cosa così scontata e posso capirlo, non è scontato e loro lo hanno fatto. Grazie anche a mio fratello e a mia madre che vive in Serbia. Se mi sono scordato qualcuno mi perdonerà. Ho passato 4 mesi tosti, sono stato rinchiuso in una stanza d’ospedale da solo, con aria e acqua filtrata, volevo prendere una boccata d’aria fresca e non potevo farlo. Non mi sono mai sentito un eroe, solo un uomo. Forte, con carattere, ma sempre un uomo con le sue fragilità. Queste malattie non si possono vincere solo con coraggio, servono le cure e quando sono entrato in ospedale ho capito che ero nel posto giusto ma voglio dire a tutti quelli che sono malati di leucemia o che hanno qualche altra malattia grave che non si devono sentire meno forti se non affrontano la malattia come l’ho affrontata io. Non c’è da vergognarsi se si ha paura, l’unica cosa che non devono perdere mai è la voglia di vivere. E’ una malattia bastarda, ci vuole pazienza. Si ragiona giorno dopo giorno, bisogna darsi dei piccoli obiettivi, giornalieri e settimanali. Ogni giorno in più in ospedale è un giorno più vicino all’uscita. Ognuno affronta la malattia alla propria maniera ma mi sento di dire che se ci credi, se sei forte, dopo arriva il sole. Quando arrivi al trapianto ci possono essere complicanze e tutto ma tu guarisci. E’ tutto difficile dal punto di vista psicologico, passare 4 mesi in una stanzetta senza poter prendere una boccata d’aria non è facile, è difficile, perciò devi essere forte di testa e devi trovare la forza attraverso la gente che ti vuole bene. Anch’io ho paura ma è una paura che ti fa rigare dritto. Sono andato 2 giorni in campo e stavo benissimo, ieri mi sono preso un giorno libero perché ero stanco. La prima volta sono dimagrito 13 kg, adesso 9. Ci sono momenti di stanchezza, prendo 19 pastiglie al giorno, ci sono certi bomboloni, ma li prendo perché il mio obiettivo era uscire dall’ospedale. Tornerò per le visite ma non andrò a dormire là, vado a casa mia. C’è stato l’attecchimento, poi devi mangiare e non è facile perché ho perso gusto, una bistecca o un pezzo di carta è la stessa cosa, poi devo prendere le pastiglie per bocca e non per endovena. Spero di uscire come uomo migliore. Nella vita precedente la pazienza non era il mio forte. Per questa malattia devi avere pazienza e ora mi godo ogni minuto della giornata. Tutto quello che ti sembrava dovuto, normale, io lo vedo in un’altra maniera. Esco fuori, sembra una cosa da niente (si commuove nuovamente, ndr) e prendere boccate d’aria diventa una cosa bellissima. Ora non parliamone più. Non Mihajlovic leucemia ma Mihajlovic allenatore del Bologna. Sapevo che avrei condizionato la squadra, l’atteggiamento, la classifica, le partite giocate, ma non volevo che questa diventasse una scusa. Loro lo sanno quanto voglio bene a staff e squadra e quanto loro mi vogliono bene ma mi sarei aspettato di più. Io ho lottato ogni giorno, anche con 40 di febbre ho cercato di essere presente con Skype, partite, telefonate. Tutti i giorni ho fatto sacrifici per arrivare a un certo obiettivo e speravo di vedere in campo questa forza e questo sacrificio ma non sempre è successo così e questo mi dispiace. Nonostante tutto vi devo dire che sono incazzato nero per i risultati, per il comportamento, per l’atteggiamento, per i risultati. Ho detto alla squadra che da adesso in poi si deve dare il 200%. Ora dobbiamo riprendere a fare punti. Chi non lo fa avrà problemi con me e vi assicuro che non è una cosa bella. Andremo a vedere il Bologna che vogliamo vedere tutti, quello dell’anno scorso e quello che abbiamo visto in diverse partite di quest’anno. Mia moglie ha postato una frase di un mio amico, Eros, quando siamo usciti dall’ospedale ‘Più bella cosa non c’è’. Era la frase più adatta. Vuol dire che riprendi la tua vita, ti godi la vita e sicuramente è così. Oggi voglio usare una frase di un altro grande, Vasco Rossi: ‘Eh già, io sono ancora qua’. Non mollerò niente, ci sarò sempre perché mi fa sentire vivo e non posso andare oltre le mie possibilità. Devo mettere il cuore da parte e ragionare con la testa ma sicuramente sarò molto più presente e sono sicuro che riusciremo a mettere le cose a posto».

Dzemaili dopo la gara aveva detto che non saresti stato contento.

«Ormai ci conosciamo, gli avevo chiesto una grande prestazione. Anche con una vittoria non sarebbe cambiato nulla, con il Parma non c’era nulla della mia squadra».

Hai visto degli occhi diversi in questi pochi giorni?

«Non te lo posso dire perché ho visto gli allenamenti con la tv, ho visto cose positive e negative. Una cosa è essere là e un’altra guardare le cose attraverso negli schemi. In questi pochi giorni ho rivisto la squadra che vedevo io. Io ora gli ho parlato e gli ho detto che tutti dobbiamo dare il 200%, altrimenti sono cazzi amari. Non abbiamo Ronaldo e Messi, chi fa quello che gli dico gioca, altrimenti sarà panchina o tribuna, chiunque sia».

Che effetto le ha fatto vedere il mondo del calcio riunirsi accanto a lei?

«Ho sentito il mondo del calcio come una seconda famiglia. Prima della malattia dividevo la gente, o mi amavano o mi odiavano. Dopo la malattia sono riuscito a unire la gente, ultimo esempio è Torino dove mi hanno applaudito per 3-4 minuti. E’ stato bello sentire l’affetto della gente dove magari qualche mese prima ero nemico numero uno, hanno guardato l’uomo, quello che non ha avuto paura di mostrarsi, anche se non era presentabile. Quando ho fatto conferenza il 13 luglio ho detto che avevo rispetto per la malattia ma che l’avrei guardata negli occhi e così è stato, non avrò mai dubbi su questo. Io sono fatto così. A Verona sembravo un morto che cammina ma l’avevo promesso alla squadra e dovevo farlo per forza. In quei 90 minuti ci sono stati momenti in cui mi girava la testa ma lo dovevo fare, per dimostrare di aver lottato tutti i giorni, di fare sacrifici, di fare tutto per amore del proprio lavoro ma anche per tutti quelli che mi hanno voluto bene ma credo che tutti gli altri che si trovano in questa situazione, quando sentono questo affetto da tutti, non puoi deludere la gente. All’ultimo posto metti te stesso, al primo posto metti la famiglia, gli amici, la gente, sarebbe stata una delusione troppo grande. Mi faceva sentire vivo tutto questo. Quando sono uscito dall’ospedale e sono andato allo stadio mi ha dato forza ulteriore per andare avanti. Così si arriva alla fine. Non siamo ancora alla fine ma io dico fine perché sono uscito da quel cazzo di ospedale. Io sapevo già chi veniva a bussare perché stai tutto il giorno lì chiuso, con tutte le seghe mentali che ti fai. Però l’affetto è stato fondamentale, senza la mia famiglia non so se ce l’avrei fatta».

Cosa vi siete detti con Ibrahimovic?

«Ci siamo parlati un mese fa e anche una decina di giorni fa. Lui è interessato, verrebbe per me e l’amicizia che ci lega ma ci sono anche altre soluzioni, lo capisco. Prima del 10 dicembre non accadrà, mi dirà la sua scelta ma ora è tutto in stand-by».

Avete immaginato un calendario operativo?

«Si vive giorno per giorno. Posso andare al centro sportivo, non devo stare molto tempo chiuso con tanta gente, devo portare la maschera. Posso stare fuori, basta che non piove. Non devo prendere sole. Non posso andare allo stadio perché c’è tanta gente e puoi prendere un virus, che non significa che l’8 dicembre con il Milan non possa stare in panchina, o con l’Atalanta. Io ho fatto già la battuta ai dottori. Il 18 ottobre ad esempio già pensavo al 15 novembre per la partita, gli facevo la pressione, a volte ci sono riuscito e a volte no. Posso stare in campo durante l’allenamento ma non allo stadio ma tra Milan e Atalanta, una delle due o tutte e due, ci sarò. Vediamo anche gli esami. Non posso viaggiare perché nei treni e negli aerei sei nel chiuso, puoi andare in macchina con i filtri puliti, a Roma, Napoli e Lecce è lunga ad esempio, non sono ancora nelle condizioni per poter affrontare un viaggio così lungo ed essere forte ma giorno dopo giorno mi accorgo che sto iniziando a riprendere le forze. Il 22 quando finisce il campionato vado a casa con mia madre che mi preparerà la roba serba e riprenderò i kg».

Il suo percorso da allenatore invece come è stato?

«Non ero presente e questo fa la differenza. Sapevo che loro all’inizio avrebbero dato tutto ma sapevo che a lungo andare sarebbe successo quello che è successo, non mi piacevano nemmeno le scuse sulla mia assenza. Tornando un po’ alla normalità, visto che posso essere più presente, sono sicuro che riprenderemo a fare le cose che dobbiamo fare e l’ho visto in questi ultimi giorni e ora si sta alzando il livello».

Hai fatto l’allenatore di te stesso in ospedale.

«Mi è servito a tenere allenata la mente. Stando chiuso e sdraiato, la mia distrazione era leggere, guardare film e guardare gli allenamenti e mi sentivo vivo e mi ha aiutato molto nel quotidiano. Ho tenuto la riunione con la squadra dopo la Sampdoria e gli ho detto che avrei dovuto fare la chemioterapia e il trapianto gli avevo detto che per 3 settimane non ci saremmo sentiti e abbiamo perso 3 partite, avevo sempre la febbre, ero sempre a letto a dormire, ero un ebete e non ero neanche in grado di parlare».

Del Sinisa precedente cosa hai deciso di lasciare dietro?

«Mi sono promesso di incazzarmi di meno ma non ce la faccio, è più forte di me. Avrò più pazienza ma sarò più cazzuto, non ce la faccio a non incazzarmi».

Ci racconti le tue domeniche a guardare il Bologna?

«Dovevi fartelo raccontare dalle infermiere e le sentivo che dicevano ‘lascia stare ora, è incazzato’. Urlavo spesso. Ci sono state domeniche in cui non vedevo l’ora di affrontare e vederli. Speravo di vedere la squadra che mi piace, qualche volta l’ho vista ma sapevo che non sarebbe stato semplice, se non c’è un allenatore che non gli sta sempre addosso è normale, anzi, hanno fatto anche abbastanza. Io non mi accontento, volevo di più. Ho fatto 100 telefonate a Renato per spiegargli le cose, sono stato presente, le domeniche passavano veloci, il problema era stare senza partite, al primo ricovero era estate ed era dura, non c’era un cazzo in tv, non c’erano partite».

Cosa pensa del Var e delle polemiche?

«Il Var è una cosa utile, sui falli di mano le cose non sono chiare, magari non sono io abbastanza intelligente per capirlo. Quando succede a noi dicono che non è stato fatto apposta. Sui fuorigioco siamo sicuri che non sbagliano e abbiamo risolto almeno una cosa. Io credo sia utile, bisogna fare le regole un po’ meno complicato, ci vuole un ingegnere nucleare per capire quando è fallo. Il difensore con le mani dietro la schiena non è in posizione naturale. Poi sinceramente in questi mesi ho avuto altro a cui pensare e magari fra qualche mese dirò meglio quello che penso».

Irrompe Fenucci.

«Credo però sia giusto fare una riflessione. Noi abbiamo avuto i nostri casi e la politica è quella di non commentare le decisioni arbitrali a caldo. Se vogliamo che il Var diventi la moviola in campo dobbiamo crederci ma questo è un indirizzo sbagliato. Il Var è d’aiuto per l’arbitro, abbiamo visto che in Italia sono aumentati i rigori. La prima cosa che dovremmo fare è smetterla di lamentarci ogni volta per non trasformare il Var in moviola in campo dove ogni singolo contatto si trasforma in rigore».

Ci terrebbe a conoscere il donatore?

«Ci terrei, è una cosa molto bella ma purtroppo non si può perché non te lo fanno sapere. Sicuramente gli faccio fare una lettera ma non è possibile conoscere il donatore».

Volevo farle spendere una parola su Tanjiga, il tuo secondo.

«Ci conosciamo da 30 anni, è come un fratello e fa parte della mia famiglia. E’ una persona che capisce di calcio ma soprattutto è uno che ti dice quello che pensa, a me non piacciono gli yes man, magari sbaglia ma mi fa riflettere. Anche da lui mi aspettavo di più, come da tutti gli altri».

C’è stato un attestato che non si aspettava? Ha seguito la Nazionale del suo amico Mancini?

«Con Mancio non ci parlavo quasi da 4 anni ed è stato uno dei primi a chiamarmi e a venire a trovarmi. L’ho sentito molte volte, ci siamo parlati tante volte, del Bologna e della Nazionale, di calcio e di tutto. Sono contento che abbiamo rimesso a posto la nostra amicizia. Ho una certa età e non posso trovare nuove amicizie. Durante questi anni ho perso diverse amicizie e mi sento di dire mai per colpa mia ma con questa malattia ho ricominciato a parlare con delle persone con cui non parlavo da 4-5 anni e questo mi ha fatto piacere. Ho visto i disegni dei bambini che mi hanno fatto piacere, un video messaggio con dei bambini che hanno avuto la malattia e io ho rimandato a loro il messaggio, piccoli gesti che danno forza a tutti e due».

Il momento più bello è stato quando la squadra è venuta a Brescia. In Serbia sei allenatore dell’anno, in Italia pensano di assegnarti la Panchina d’Oro.

«Penso che sono venuti a ripulirsi la coscienza, lo dicevo scherzando. Penso che abbiamo vinto a Brescia perché loro sono rimasti in 10. Sono stato contento ma c’erano anche delle cose che non andavano. Per quanto riguarda i premi. In Serbia mi hanno dato il premio, in Italia si parla e io accetterei il premio solo se mi viene dato per quello che ho fatto con il Bologna, se me lo danno perché sono malato non va bene, se me lo danno perché abbiamo fatto un miracolo con il Bologna lo scorso anno lo accetto, altrimenti non mi serve».

Termina la conferenza stampa di Mihajlovic.

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