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Pulici analizza: «Il Toro ha smarrito i suoi valori. Cairo non ha capito cosa significa essere granata. Bisogna avere speranza. Essere cacciato nell’82? Rimane una ferita»
Nel giorno del 119° compleanno del Torino, Paolo Pulici analizza su La Stampa la crisi granata tra identità perduta e ricordi di una vita
Nel giorno amaro del 119° compleanno del Torino, segnato da crisi di risultati e contestazioni alla presidenza Cairo, prende la parola il simbolo per eccellenza della storia granata: Paolo Pulici. Il bomber da 172 reti in 437 partite, icona di un Toro vincente e combattivo, su La Stampa analizza con rammarico il momento attuale, sottolineando la perdita dei valori storici del club.
IL TIFO – «Sarà una malattia, ma chi l’ha creata? Giocatori che non mollavano mai e davano tutto. Ora non è più così».
LA PERDITA DEI VALORI – «È solo una conseguenza diretta di un errore madornale. Nessuno trasmette quelli che erano i valori del Toro e quindi la squadra non sa neanche dove sta giocando o quale maglia sta indossando. Cairo non l’ha mai capito e ha mandato via tutti quelli che sapevano di Toro».
L’AUGURIO PER I 119 ANNI – «Di tornare ad essere il Toro, quando vinceva e faceva paura a tutti».
LA SPERANZA – «Bisogna sempre avere speranza, la vita è una speranza unica e il Toro è speranza».
IL SIGNIFICATO DI “ESSERE TORO” – «Che non devi tremare in campo, ma pensare di essere forte per poter sfidare chiunque. Poi si può perdere o vincere, ma devi dare tutto sempre. Solo che per farlo devi essere un giocatore di un certo livello: questi non giocano da Toro».
UNA VITA GRANATA – «Sono 17 anni al Filadelfia: una vita. E sarei rimasto ancora di più, se Moggi non mi avesse cacciato nel 1982: per me è ancora una ferita. Però il Toro mi ha dato tutto, compresa la fortuna di avere Ferrini come capitano. Con lui ho capito che prima di essere giocatori, bisogna essere uomini. Questa è la base: giocavi come un uomo e dovevi comportarti in una certa maniera. Io non ero un capitano con la fascia, ma mi sentivo un capitano nell’anima».
L’EREDITÀ TRASMESSA AI GIOVANI – «La soddisfazione più bella dopo tanto tempo è vedere bambini che tifano Toro e sanno che cosa abbiamo fatto per questa maglia. Perché papà, mamme o nonni hanno trasmesso lo spirito granata. Sabato ero a Rivoli per inaugurare una rotonda dedicata al Grande Torino e c’era tanta emozione».
IL DOMINIO JUVE NEGLI ANNI ’70 – «Potevamo fare filotto negli Anni 70, ma all’epoca la Juve vinceva e comandava…».
IL FALLIMENTO DEL 2005 E L’ANONIMATO ATTUALE – «Il fallimento ha portato all’anonimato e di conseguenza a questo bilancio con Cairo. Io in campo ho sfidato 28 volte la Juve: 5 pareggi e 5 sconfitte, poi tutte vittorie. È una media pazzesca… Se l’avessero salvato all’epoca, come invece hanno fatto per altri club, magari ora sarebbe stato un Toro diverso».
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