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2009

Fernando Daniel Pandolfi, quello che doveva sostituire Totti…

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Fernando Daniel Pandolfi nasce a Buenos Aires, in Argentina, il 29 maggio del 1974. Inizia la sua carriera di calciatore nelle file del Vèlez Sà¡rsfield. Giovane e talentuoso attaccante, vive solo marginalmente l’indimenticabile ciclo dei “Fortineros” che, sotto la guida di Carlos Bianchi, nella prima metà  degli anni ’90 dominano la scena calcistica sudamericana, facendo incetta di trofei, tra cui l’accoppiata Libertadores-Intercontinentale, quest’ultima strappata al Milan di Capello.

Nel biennio 1995-1996, invece, sbocciate le sue doti tecniche, Pandolfi diventa uno dei giocatori più importanti nel doppio successo in campionato della squadra del quartiere di Liniers: Apertura ’95 e Clausura “?96. Successi ai quali seguono quello della Supercoppa Sudamericana nel 1996 e della Recopa Sudamericana nel 1997, ai rigori contro il River Plate, con Pandolfi che, pur entrando a pochi minuti dalla fine, ha la giusta freddezza per realizzare uno dei penalties.

Gli ottimi risultati conseguiti da Bianchi durante questo periodo spingono il presidente della Roma, Franco Sensi, ad ingaggiarlo come allenatore del club capitolino.

A Roma Carlitos non ne indovina una, facendosi esonerare ad aprile con la squadra che annaspava a metà  classifica. Appena arrivato, sfoggia una serie di “perle” da paura, la prima è l’acquisto del fedelissimo Roberto Trotta, ex difensore del Vèlez (un bidone clamoroso!), tra le altre poi quella di assegnare al promettente Totti la maglia numero 17, con una bizzarra giustificazione: Ã?«In Argentina “? spiega “? la maglia numero 17 del Vèlez l’avevo data a un giovane trequartista con buone qualità , si chiama Pandolfi: dato che anche Totti è giovane, quella deve essere la sua magliaÃ?». Parrebbe un attestato di stima nei confronti del Pupone, peccato però che dopo poco tempo Bianchi, a causa dello scarso feeling col talento giallorosso, entra nell’ordine delle idee di cedere Totti, in quanto non lo reputa adatto a giocare nella Roma! Addirittura ha già  pronto il nome del fantasista che avrebbe dovuto sostituire l’attuale capitano giallorosso, miglior giocatore della Roma di tutti i tempi. Manco a dirlo un altro suo pupillo dei tempi del Vèlez, proprio Fernando Pandolfi.

Non passa giorno a Trigoria che Bianchi non parli di lui con qualcuno. Ciò nonostante Pandolfi la maglia della Roma non la vestirà  mai, perchè quella vecchia volpe di Sensi non si lascia abbindolare due volte, e scottato già  dal flop di Trotta, piuttosto che dar nuovamente retta al pur carismatico tecnico argentino, follemente desideroso di portare in giallorosso un altro giocatore della sua ex squadra, lo manda a casa, con tanti saluti a Pandolfi.

Chi invece, decide di scommettere sulla talentuosa mezzapunta del Velez è Luciano Gaucci, padre-padrone del Perugia, sempre a caccia del “colpo a sorpresa”.

Ed è così che nell’estate del 1997 Attlio Perotti, tecnico accomodatosi sulla panchina più calda d’Italia, si vede recapitare il “pacco” regalo: prestito per un anno con diritto di riscatto, la formula dell’acquisto da parte del Perugia.

La società  umbra, dopo la retrocessione di pochi mesi prima, “deve” tornare a tutti i costi in serie A, gli ordini di Gaucci a tal riguardo sono espliciti. Proprio per questo motivo il sanguigno presidente perugino allestisce una formazione di assoluto rispetto, vendendo e acquistando a spron battuto, rivoltando la squadra come un calzino, secondo il suo proverbiale modus operandi.

La rivoluzione è totale, con l’addio ai big Negri, Giunti, Goretti, Gautieri e l’arrivo di vecchi bucanieri della cadetteria, seguiti da un foltissimo nugolo di giocatori rastrellati da ogni parte del mondo.

Calciatori, comunque, che non sembrano affatto essere degli sprovveduti, considerato che ci si trova davanti a nazionali, gente che ha vinto scudetti e che ha partecipato ai Mondiali.

Perotti, suo malgrado, si vede costretto a gestire un esagerato spogliatoio internazionale, che raduna atleti da ogni dove: dai belgi Emmers e Versavel, ai serbi KociÃ?Â? e MjialkoviÃ?Â?, passando per il danese Thorninger, lo svizzero Lombardo e l’argentino Docabo, senza contare chi, in quel Perugia era già  uno dei leader, il croato Milan RapajÃ?Â?. Insomma una summa indistinta di lingue e culture, non solo calcistiche, totalmente diverse, degna della migliore edizione di “Giochi senza frontiere”.

Tra tutti questi, lo straniero di cui però non si fa altro che parlare in città  è proprio Pandolfi, “il Totti sudamericano”. Il chiacchieratissimo argentino al suo arrivo, presa in affitto una villetta in periferia, non tarda a mettere subito le cose in chiaro: Ã?«Faccio pochi gol, ma ne faccio fare tantiÃ?».

Nel ritiro precampionato di Norcia, Pandolfi sciorina tutti i suo colpi migliori, dando un saggio della sua classe con grandi giocate, tocchi sopraffini e assist da favola, il tutto lasciando talvolta il segno anche con fantastici gol da cineteca.

L’ex Vèlez, balzato fuori dal cilindro nelle ultime ore di campagna acquisti, ha una singolare somiglianza con Michael Platini, nonchè il timbro vocale stranamente identico a quello dell’idolo della sua infanzia: Diego Armando Maradona. Grazie alle sue caratteristiche tecniche, invece, in patria è stato accostato in molte occasioni al grande Enzo Francescoli, per via delle comuni affinità  di gioco. Dal suo paese si porta dietro non solo l’importante paragone con il grande calciatore uruguaiano, ma anche uno strano soprannome: “El Rifle”, la mitraglia. Spiega lui: Ã?«Mi ha chiamato così mio padre: un po’ per prendermi in giro perchè ho le gambe magre e affusolate, un po’ perchè quando prendo la mira…Ã?». Evidentemente la modestia non è il suo forte, e le ottime prove con la maglia del Vèlez sembrano dargli ragione.

Prima dell’inizio del campionato di B il Grifone deve giocare il turno preliminare di Coppa Italia. La squadra da affrontare per Pandolfi e soci è il Savoia. All’andata nulla più di uno scialbo 0-0, il ritorno, invece, vede protagonisti i nuovi acquisti del Perugia: Versavel con una doppietta e proprio “El Rifle” che segna il terzo e ultimo gol per il definitivo 3-1 finale. Grazie a questo successo la società  di Gaucci approda al secondo turno, dove l’aspetta il Napoli. Ed è proprio contro i partenopei che l’estroso argentino mostra tutto il suo repertorio, segnando una doppietta nel 3-2 con il quale il Perugia si impone all’andata, scatenando l’entusiasmo di mezza città : gol, tocchi raffinati, magie e spettacolo, per una notte da incorniciare.

Ã?«à? il Boca Juniors il sogno di ogni calciatore del mio Paese. Io per fortuna l’entusiasmo del Boca l’ho ritrovato qui a Perugia. à? il clima che fa per me questo, mi galvanizzo, rendo mille volte di piùÃ?», le appassionate parole dell’attaccante argentino.

Il saggio Perotti, però, esperto conoscitore del calcio nostrano, ne frena subito il facile entusiasmo, smontando l’alta considerazione che Pandolfi ha di sè con il vecchio, ma sempre efficace, sistema del bastone e della carota. Ã?«Pandolfi “? dice “? ha doti tecniche come pochi al mondo, però gli ho dovuto ricordare che al calcio gioca il collettivo e non uno soltanto. Ho l’impressione che abbia voglia di ascoltarmi. Lo vedo crescere… Ci faccio un grande affidamentoÃ?».

Il tecnico perugino lo prova in attacco in appoggio al danese Thorninger, per sfruttarne l’ottima visione di gioco e la buona attitudine al passaggio smarcante. A fargli posto sembra dover essere RapajÃ?Â?, considerato “di troppo” ad inizio stagione (salvo poi rientrare in rosa e diventare addirittura uno dei punti fermi della squadra). Lui, ad ogni modo, si sente un centravanti puro, ma Ã?«”¦ l’importante è andare in campo e fare gol. Per il resto obbedisco e bastaÃ?».

Le scintillanti prestazioni di Pandolfi in Coppa Italia non hanno però un immediato riscontro in campionato e così, pian piano sparisce dalla circolazione. “El Rifle” rimane scarico, o per meglio dire si inceppa in più di un’occasione. Nove presenze, 421 minuti totali, casella dei gol fatti desolatamente vuota, il tutto condito da prestazioni decisamente non all’altezza della sua fama. E così, prima di Natale, “quello più bravo di Totti” viene messo alla porta. Pandolfi rientra a Buenos Aires per le feste e non torna mai più a Perugia.

Ã?«Quando tornai dall’Italia cominciai a vivere il calcio in modo diverso, con responsabilità , ma sentivo che non era la mia vitaÃ?», queste le parole di Pandolfi qualche tempo dopo la fine della sua carriera calcistica. Inequivocabile segno di un suo personale malcontento.

Ad ogni modo, però, continua a giocare in Argentina qualche altro anno, indossando sempre la “V” del suo amato Vèlez. Grazie agli 11 centri della stagione 1998-99, Marcelo Bielsa, ex tecnico, tra l’altro, proprio del Vèlez, lo fa esordire con la maglia dell’Argentina.

Nel 2000 il suo vecchio mentore Carlos Bianchi, alla ricerca di un rimpiazzo per tamponare le continue assenze del bizzoso Riquelme, lo porta al Boca. Vive la sua personalissima “notte da leoni” nel 5-3 del Boca all’Olimpia, nel girone della Coppa Mercosur, dove schierato titolare realizza una roboante tripletta che stende i paraguaiani. Il prosieguo della stagione da Xeneize, però, non è all’altezza delle sue aspettative. Nonostante le eccelse ed indiscutibili doti tecniche, non trova molto spazio, nè altrettanta continuità , chiuso com’è dal mostro sacro Riquelme.

Pur tuttavia porta a casa il torneo d’Apertura del 2000 e replica poi il doppio successo raggiunto anni prima col Vèlez, vincendo l’Intercontinentale, sempre nel 2000, senza ovviamente mettere piede in campo, e la Libertadores l’anno dopo, competizione dove scende in campo 6 volte realizzando 1 gol.

Chiude la sua avventura col Boca dopo 23 presenze e 5 reti tra coppe e campionato. Si ripropone al Vèlez, ma stanco del calcio e desideroso di aprire una nuova parentesi della sua vita, decide di appendere gli scarpini al chiodo, nonostante fosse nel pieno della maturità  calcistica, per intraprendere una nuova carriera”¦quella del musicista!

Ã?«Avevo alcuni amici che provavano vicino casa mia e gli mancava un chitarrista, fu così che cominciai a suonare con loro. Un giorno mi invitarono a suonare in un bar e lì dovetti prendere una dura decisione. Io in quel periodo giocavo nel Boca e se lo avessi fatto mi avrebbero crocifisso. Era un compito molto duro, visto come è l’ambiente del calcio, la gente non capisce che ti piacciono altre cose. Mi crocifissero, e dopo sei mesi mi ritiraiÃ?».

Pandolfi dimostra di avere un grande coraggio lasciando una professione nella quale tutto sommato non se la passava poi tanto male, per fare quello che veramente gli piaceva e lo rendeva felice. La sua scelta inizialmente non è veramente capita nè dai tifosi e nemmeno dai familiari, i quali, moglie a parte, avrebbero preferito che continuasse a giocare.

Fortunatamente per lui dopo le cose andarono meglio: Ã?«Quando arriva il momento nella tua vita in cui devi prendere una decisione, devi prenderla e non ascoltare gli altri. Seguire un po’ l’istinto, e se ti va male o bene questo è un altro discorso. Però se passi tutta la tua vita pensando di fare quello che ti piace ma non lo porti a termine, finirai per avere dei risentimentiÃ?». Perle di saggezza regalate da un uomo che pare davvero aver raggiunto una serenità  d’animo che evidentemente il calcio non gli regalava.

Dopo aver chiuso con il calcio “El Rifle” ha dato libero sfogo alla sua verve creativa. Ha dato vita, infatti, ad un complessino rock, i “Mil Hormigas”, con il quale ancora oggi strimpella felice. Chissà , magari se decidesse un giorno di darsi al jazz lo si potrebbe rivedere in Umbria, certo è che la delusione data ai tifosi del grifone difficilmente riuscirà  a riscattarla con qualche assolo di chitarra.