Inter, né Spalletti né Asamoah: le colpe sono di una società debole
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Inter, né Spalletti né Asamoah: le colpe sono di una società debole

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Inter, né Spalletti né Asamoah: le colpe sono di una società debole, incapace di soffocare gli istinti di un ambiente abituato a farsi male da solo

In debito di energie. Mentali, prima ancora che fisiche. Mentali, non meno importanti di quelle fisiche. Perché anche e soprattutto sotto il profilo nervoso l’Inter si è riscoperta fragile nella buia notte di San Siro contro il Psv, lasciando per strada una delittuosa qualificazione agli ottavi di Champions League. La questione è annosa, e solo marginalmente riguarda le tanto vituperate sostituzioni di Spalletti o la preoccupante involuzione di Asamoah. Perché l’ambiente nerazzurro è specialista nel farsi male da solo, e ancora una volta ci è riuscito. Con una lunghissima e snervante vigilia a base di polemiche e sospetti, tutti lentamente cucinati in casa. Dalle tensioni per la festa di Wanda ed un SuperClasico vissuto da spettatore nei confronti di Icardi – il migliore in campo nell’inopinato pareggio contro gli olandesi già fuori da tutto – ai timori di una demotivata prestazione in salsa catalana – ma il Barcellona il suo l’ha tutto sommato fatto, a differenza degli uomini di Spalletti –.

Tutto un vociare che ha turbato la preparazione a quella che avrebbe dovuto rappresentare la partita dell’anno in casa nerazzurra. E che, in qualche modo, l’ha effettivamente rappresentata. Distogliendo attenzione e concentrazione dall’obiettivo unico dei tre punti, sfocando il bersaglio all’interno del mirino. Bersaglio puntualmente mancato, nonostante non si sia verifica nessuna delle mortifere eventualità su cui però alla vigilia si è discusso in lungo e in largo. Per masochistica natura di un ambiente che non riesce proprio a rinunciare a farsi del male dal solo, per debolezza di una società tutto intorno che deve imparare a gestire queste situazioni e soffocare questi istinti. Altrimenti continuerà a risultare tanto facile quanto inutile puntare il dito contro l’allenatore o il giocatore di turno, inserito suo malgrado all’interno di un meccanismo inceppato. E si continuerà a guardare il dito, appunto, e non la luna.

@DanieleGalosso