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2014

La fortuna di vivere la storia

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Se tutti gli altri giocano un Mondiale Leo Messi ne sta giocando due: la perla all’Iran e il passaggio di consegne

MESSI MARADONA ARGENTINA IRAN BRASILE 2014 – Cominciamo a sgombrare il campo dai dubbi: i segnali iniziano ad esserci. Tutti. Nel pieno della loro devastante portata. Due partite, due gol, due volte decisivo. Due capolavori a dirla tutta, perché tra i due gol di Leo Messi si fa fatica a scegliere il più bello. Decisivi, si è detto: sì, perché se non ci fosse stato lui l’Argentina non ne avrebbe vinta una.

IL PASSAGGIO DI CONSEGNE – Ed invece si ritrova a punteggio pieno. Due vittorie: 2-1 alla Bosnia, 1-0 all’Iran. Due partite brutte come poche altre che mandano l’Argentina in vetta al gruppo F ma che più di tale prevedibile fattore alimentano la verificabilità di quel che invece poteva essere solo sospettato: può essere il Mondiale di Leo Messi. E dunque andare a smuovere il sacro: quell’ancora innominabile (in patria) parallelo con Diego Armando Maradona. Il primo segnale di questo Brasile 2014: guardate attentamente l’ultimo gol in maglia argentina del Pibe de Oro (Usa ’94, Argentina-Grecia 4-0 esattamente vent’anni fa, 21 giugno del 1994, riportato in fondo all’articolo) e confrontatelo con la gemma della Pulce. Vi risulterà impossibile sviare dal raffronto. Sono due reti praticamente identiche che sembrano segnare il definitivo passaggio di consegne.

LA LEADERSHIP – Ma i segnali non sono soltanto astrali: è il ruolo di Messi in quest’Argentina ad iniziare a ridurre il divario. Lo avevamo detto: squadra in grado di vincere soltanto grazie all’irrazionalità del suo talento e non grazie ad inutili ricerche di equilibrio. Ma andiamo con ordine: a non innescare neanche il parallelo ci ha sempre pensato la circostanza – ricordata con forza dal popolo argentino – che vede la Pulce incapace di affermarsi come leader della sua nazionale. Troppo giovane e poco utilizzato nel 2006, assente mai giustificato nel 2010. E non è andata meglio in Coppa America con la finale persa nel 2007 – peraltro in favore del Brasile – e nella debole performance casalinga del 2011. Un disastro complessivo insomma. Qualora invece Leo Messi riuscisse a trainare l’Argentina fino a condurla al successo – con il destino che gli mette davanti il Mondiale in Brasile, pensate al rapporto tra le due popolazioni e dunque all’ipotetico delirio vissuto in Argentina – ecco che la legittimazione arriverebbe proprio dalla sua patria.

LA PARABOLA DI MESSI – Il fenomeno argentino ora ha preso la scia del suo indescrivibile connazionale: lo impone la storia personale ed a livello di club, il peso che sta avendo nel Mondiale della sua nazionale e l’ennesima perla della sua carriera nello scenario del Mineirao di Belo Horizonte. Tra Argentina ed Iran partita di fatto archiviata a reti inviolate dove a dire il vero le eccezionali parate di Romero hanno salvato una Seleccion troppo brutta per essere vera: al 93’ inoltrato ecco la gemma, Messi prende palla a venticinque metri dalla porta, finta di corpo su Reza e calcio a giro in un angolo di tiro che non esiste. E’ la vittoria che non esiste ma che urla a gran voce: la Pulce c’è. Era atteso a fucili carichi e con gli occhi dell’intero mondo calcistico puntati addosso: quel mondo pronto a marchiarlo definitivamente come la guida mancata. Come uno di poco carattere. Lui sta smentendo tutti con i fatti, ha preso la scia e se non cambia tenore può entrare in corsia di sorpasso. La Coppa per mettere il muso avanti e diventare il numero 1 della storia: ma per questo è troppo presto. E’ una favola le cui pagine sono ancora tutte da scrivere. L’inarrivabile bellezza di un Mondiale è il vanto di vivere fatti che sono al confine tra il reale ed il leggendario.