Bombardini: «La Lazio stava capendo di poter vincere» - ESCLUSIVA
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Bombardini: «La Lazio stava capendo di poter vincere» – ESCLUSIVA

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Davide Bombardini, in esclusiva a Calcionews24, affronta i temi relativi al campionato e alla ripresa dopo l’emergenza Coronavirus

Davide Bombardini, ex di Roma, Atalanta e Bologna, parla della possibile ripresa della Serie A dopo l’emergenza Coronavirus. Ecco le sue parole sui temi relativi al campionato in esclusiva per Calcionews24.

Si parla di ripresa della Serie A, con tutte le discussioni del caso sulla ripresa dell’attività. Ci saranno difficoltà, a livello atletico, per i calciatori?

«Cambia qualcosa sicuramente. Innanzitutto ci vuole almeno un mese per ritornare ad una forma decente, dopo due mesi di inattività un giocatore ne risente; anche se qualcuno si è allenato a casa, con il tapis roulant magari, ma non è come allenarsi con i compagni. Per chi ha avuto la fortuna di allenarsi bene in questo due mesi, con spazio a disposizione, potrà giovarne. La condizione fisica per la ripresa sarà importante: chi starà meglio alla ripresa riuscirà ad arrivare prima ai suoi obiettivi. Mi auguro quindi che si riparta perché secondo me ci sono tante incognite. Ripartire sarebbe un qualcosa di buono per tutti, per il movimento calcistico e una spinta morale per tutti. Però ho i miei dubbi, basterebbe veramente anche un solo giocatore contagiato e si ritorna da capo. Due squadre di calcio che si affrontano muovono 300 persone e deve essere tutto a posto, perché basta una sola persona contagiata per far ripiombare tutto allo stato attuale».

Stavamo assistendo ad un campionato equilibrato. Ci sarà qualche squadra che cambierà volto dopo lo stop per l’emergenza Coronavirus?

«Le più penalizzate saranno Lazio e Atalanta perché erano le due squadre che stavano meglio, anche moralmente. La Lazio stava alla grande, stava capendo che poteva farcela a vincere questo campionato Poteva essere la sorpresa di questo anno calcistico. Però sono ancora tutte lì, si riparte da come si era finito. Lazio e Juve sono distanti un punto, poi c’è anche l’Inter».

Nel 2002 il grande salto alla Roma. Fu un passaggio affettato? Cosa non funzionò con i giallorossi?

«Fu un passaggio non affrettato, ma grande per me. È vero che avevo fatto una stagione strepitosa in Serie B (con il Palermo, ndr) e mi volevano molte squadre in Serie A. Io non avevo mai giocato in A e sono andato in una Roma che aveva appena vinto lo Sudetto con dei grandissimi campioni. In attacco c’erano Batistuta, Totti, Cassano, Montella e Delvecchio che ora varrebbero non si sa quanto e giocherebbero titolari in qualsiasi squadra d’Europa. Anche il modulo un po’ mi ha penalizzato, con quel 3-5-2 dove sulle fasce giocavano Candela e Cafù. Una Roma di grandissimo livello. Trovare spazio era dura. Io dico sempre che quando ero in panchina e giocavano Totti e Cassano, mi giravo e c’era Batistuta, dall’altra parte Montella, un po’ più in là Delvecchio; anche per subentrare la concorrenza era dura. Un’esperienza che andava fatta, perché se ti vuole una squadra al livello della Roma è difficile dire di no. Magari sarebbe stato meglio passare per una squadra più tranquilla e poi arrivarci un anno dopo. Ma come si dice, “o la va o la spacca”».

Poi il passaggio alla Salernitana dove tutti ti ricordano con affetto. Pensi sia l’anno buono per il ritorno dei granata in Serie A?

«Quest’anno è dura. Con il mister e con la condizione fisica però, potrebbe essere la sorpresa. Adesso, con questo stop, si resetta tutto. La Serie B non è la Serie A: c’è un grande livellamento tra le squadre, a parte il Benevento che ha una rosa che non c’entra niente con la Serie B. Potrebbe giocare un ruolo fondamentale la condizione fisica. Ventura su questo i giocatori li fa lavorare bene. Non è escluso niente. Si deve provare a salire in A. Quest’anno almeno qualcosa si è mosso, a livello di campionato. Non è il campionato anonimo che siamo abituati a vedere negli ultimi anni. Se fosse stato un campionato normale, magari alla lunga non ce l’avrebbe fatta».

Nella tua parentesi a Bologna sei stato allenato da Sinisa Mihajlovic, che ha mostrato una grande forza umana dopo la malattia. Cosa ci dici di lui?

«Un allenatore di grande personalità, la stessa che ha mostrato anche da giocatore. La sua forza, la personalità, è quello che ti trasmette. Infatti quest’anno il Bologna ha avuto due facce: quando c’era Sinisa e quando non c’era; diciamo che nella prima parte non poteva essere sempre presente. Con lui in panchina la squadra è cambiata, si nota la differenza».

Per conlcudere, volgendo lo sguardo ai giocatori, in chi ti rivedi nei protagonisti di questo campionato?

«Il problema è che sono cambiati anche un po’ i ruoli. Io mi sono visto sempre un po’ trequartista, dietro le punte. Oggi non ci sono più i numeri 10. Giocano tutti con tre attaccanti, con punte esterne. Non c’è più la figura del numero 10 fuori dagli schemi. Magari posso rivedere qualcosa in Bernardeschi, anche se lui è più forte sia tecnicamente che fisicamente, ma con le dovute proporzioni rivedo qualcosina di me stesso. Lo reputo un grande talento. E’ un giocatore a cui se gli vengono dati troppo compiti, viene limitato. Con Allegri ha fatto vedere di più, forse perchè era meno puntiglioso sugli schemi. Alla Fiorentina aveva fatto vedere molto di più. Secondo me lui deve giocare, tenerlo in panchina è quasi un insulto. Come tenere Dybala in panchina: come fai a tenerlo in panca nel campionato italiano?»