Emerson Pereira da Silva, uno dei tanti bidoni firmati Gaucci - Calcio News 24
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2009

Emerson Pereira da Silva, uno dei tanti bidoni firmati Gaucci

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Emerson Pereira da Silva nasce a San Paolo (Brasile) il 21 agosto 1973.

I primi passi da calciatore li muove nella fucina di talenti che è il settore giovanile del San Paolo, ed è proprio con il club paulista che fa il suo esordio tra i professionisti nel ’93; due sole presenze, che gli valgono comunque la convocazione nella nazionale verdeoro per i mondiali Under 20 in Australia. Competizione che si aggiudica proprio la Seleà§ao, in cui figurano, tra gli altri, Dida tra i pali e Mario Jardel come centravanti.

Con la maglia del San Paolo, nonostante la giovane età , partecipa, nelle vesti di “starring-partner”, alla conquista dei numerosi successi del biennio 1992-1993, culminati con la splendida accppiata Coppa Libertadores – Coppa Intercontinentale. Insieme a lui giocano tanti grandi giocatori brasiliani di vecchia e nuova generazione, tra i quali: il sempiterno Toninho Cerezo, Raì, Cafu, Zetti, Luiz Mà¼ller e le giovani promesse Rogèrio Ceni, Doriva, Paulo Roberto Jamelli, e Juninho Paulista. Un gruppo davvero di tutto rispetto, sapientemente “mixato” dal compianto TelઠSantana.

Chiuso da tanti campioni, Emerson decide di trasferirsi al Colo Colo, prestigioso ed ultratitolato club cileno, e ne diventa ben presto un prezioso baluardo della mediana. Le buone prestazioni con la maglia del club di Santiago de Cile attirano le attenzioni degli osservatori di Luciano Gaucci, vulcanico patron del Perugia, che da lì in poi seguono il metronomo brasiliano.

Sapendo dell’interessamento del Perugia, Emerson, che rivendica origini lucane, dichiara poco prima del trasferimento: “Questa è una grande occasione: non tutti i giorni hai la possibilità  di essere ingaggiato da una squadra italiana. Questo, però, sarà  solo il primo passo: il prossimo sarà  quello di passare a una grande del calcio italiano”.

L’addio al Colo Colo non è facile per il brasiliano, e pare addirittura che i tifosi eressero barricate, più o meno simboliche, pur di impedirne il trasferimento. Ciononostante, il presidente, Peter Dragicevic, a dire il vero anch’egli molto restio alla cessione del brasiliano, trova l’accordo con Gaucci sulla base del prestito oneroso (per 500 milioni di lire), con diritto di riscatto in favore degli umbri fissato a 5 miliardi del vecchio conio.

Entusiasmato dalla buona tecnica di questo centrocampista, il pittoresco presidente perugino, dopo averlo strappato in un lungo tira e molla con i cileni, esclama di aver portato a Perugia il nuovo Falcà£o!

Appena sbarcato alla corte di Castagner, Emerson si lascia scappare una profetica dichiarazione: “Perugia rappresenta la mia grande opportunità  di mettermi in mostra. Darò tutto me stesso, anche per cercare di conquistare la nazionale brasiliana”. Quanto alle sue caratteristiche tecniche, è lui stesso ad illuminare i tifosi: “Sono un giocatore tecnico, alla Nakata. Però opero più arretrato del giapponese. E non segno tanti gol come lui”.

Gli uomini mercato del Perugia, specializzati in “esotici” acquisti low-cost, cullano la speranza di aver pescato la classica perla nascosta con questo brasiliano atipico, la cui omonimia col più famoso centrocampista verdeoro è motivo di speranzosi accostamenti tra i tifosi umbri.

Con il 32 sulle spalle, Emerson fa il suo esordio in Serie A alla 7^ giornata. Non ha nemmeno il tempo di ambientarsi che Castagner, considerata l’assenza di Nakata, lo promuove subito titolare, ma il Perugia perde ad Empoli 2-0 e l’impressione che il brasiliano lascia ai più è quella di un’assoluta inadeguatezza nel surrogare il giapponese.

Col passare dei giorni, e degli allenamenti, emergono, inevitabilmente, i problemi di adattamento al frenetico calcio italiano. Emerson, nonostante l’ottima tecnica e l’abilità  nel possesso di palla, si rivela subito troppo lento e macchinoso per la nostra Serie A.
Impelagato in questioni di passaporto, essendo il quinto extracomunitario del Perugia (che aveva già  in rosa: Rapaic, Nakata, Ze Maria, Erceg e, dopo la partenza di quest’ultimo, l’ecuadoregno Kaviedes!) viene accantonato per diverse partite, anche perchè non riesce ad ottenere la tanto attesa nazionalità  italiana, dovutagli, a dir suo, per lontane ascendenze Potentine. Vittima, inoltre, di un equivoco tattico sull’esatta posizione da tenere in campo (trequartista, riserva di Nakata o più propriamente regista davanti alla difesa?), Emerson gioca la miseria di due sole gare di campionato.

Castagner, prima del suo esonero, suggerisce di darlo via solo in prestito. Lo cerca anche il Paris St. Germain, ma Gaucci, preso atto che Emerson non rientra nei piani del subentrante Boskov, trova l’accordo con gli israeliani del Maccabi Haifa per la cessione a titolo definitivo. Si chiude così, dopo pochi mesi, l’avventura perugina di Emerson Pereira da Silva.

L’esperienza israeliana chiude la sua avventura europea. Subito dopo, infatti, Emerson ritorna a respirare l’aria di casa, dove veste le maglie di Corinthians prima e Juventude poi.

Nel 2000 la Fifa organizza la prima edizione del Mondiale per club, competizione che sostituisce la Coppa Intercontinentale. Il format porta in finale due squadre brasiliane, il Vasco da Gama della coppia Edmundo-Romario e proprio il Corinthians di Emerson. La spunta ai rigori il club di San Paolo che festeggia così il primo successo internazionale della sua storia. Emerson, come ai tempi del “Tricolor paulista”, non mette piede in campo, e non compare nemmeno nell’elenco dei calciatori convocati per il torneo, ma resta il fatto che anche questa volta si conferma nelle curiose vesti di “talismano portafortuna”¦non giocatore!”.

Nel 2003, il suo vecchio amico cileno, Josè Sierra, compagno di spogliatoio nel San Paolo e nel Colo Colo, lo chiama all’Union Espaà±ola per l’ennesima esperienza in terra cilena, l’ultima della sua carriera.

“Il Cile “? diceva “? è la mia seconda patria”, e del resto, è proprio in Cile che Emerson ha vissuto le sue stagioni migliori, lasciando a tutti ottimi ricordi, mentre in Italia, il misterioso brasiliano, non lascia alcuna traccia del suo passaggio e viene ricordato esclusivamente come uno dei tanti stranieri passati al Curi durante la presidenza di Big Luciano.

Antonio Vespasiano